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 2014  febbraio 21 Venerdì calendario

“IL PREZZO NON È ESAGERATO MA LA FUSIONE PUÒ FARE FLOP”


Vale davvero 19 miliardi di dollari? E’ ragionevole che una società con appena quattro anni di vita, 52 dipendenti e un fatturato di 50 milioni di dollari venga comprata a un prezzo ben superiore alla capitalizzazione di borsa dell’intero gruppo Fiat Chrysler? O non si tratta piuttosto di un caso di esuberanza giovanile destinato a gonfiare l’ennesima bolla speculativa?
All’indomani della conquista di WhatsApp, società leader della messaggeria istantanea, da parte del ventinovenne Mark Zuckerberg, fondatore di Facebook, i guru del settore hi tech e gli analisti di Wall Street si interrogano sulla logica (e sui rischi) dell’operazione. Da parte sua Michael Wolff non ha dubbi.
«Mega-acquisizioni del genere — dice a Repubblica il biografo di Rupert Murdoch, che è tra i maggiori esperti americani di new media — sono essenziali al modello di business su cui fanno leva le grandi piattaforme che dominano il web. Tutte puntano alla crescita attraverso aziende esterne, anche per impedire che esse finiscano in mano ai concorrenti. E tutte si ripromettono di integrare con saggezza le nuove entità: ma non sempre riescano a vincere la scommessa».
Wolff, cominciamo da una domanda venale: a suo avviso 19 miliardi per WhatsApp sono troppi?
«Ad ogni annuncio di questi accordi miliardari, c’è chi grida allo scandalo. La cifra pagata sembra alta, ma di sicuro Zuckerberg si sarà fatto i conti con attenzione: ad esempio avrà messo in relazione il prezzo pagato per ognuno dei 450milioni di utenti WhatsApp, che è di circa 42 dollari, rispetto ai 170 dollari che valgono a testa, secondo Wall Street, il miliardo e 200milioni di utenti Facebook e i 212 dollari degli utenti di Twitter. È comunque difficile, se non impossibile, prevedere il successo di operazioni simili: da un lato sono indispensabili per la sopravvivenza delle grandi piattaforme; dall’altro rischiano di fare affogare i protagonisti, come è spesso accaduto».
Si riferisce a qualcuno in particolare? Forse alla mossa temeraria di Aol quando comprò TimeWarner all’inizio del millennio? Qualcuno la definì la peggiore fusione della storia del capitalismo.
«Nell’universo del web abbiamo visto spegnersi o offuscarsi tante stelle considerate invincibili. Penso al tramonto di Netscape, ai tanti passi falsi della Microsoft di Steve Ballmer, agli sbagli di Yahoo. Ma ha ragione lei: la fusione Aol-TimeWarner finì per essere una delle cause e, assieme, la vittima più eccellente della bolla della new economy».
Nel 2001, quando Steve Case, artefice del miracolo Aol, si comprò TimeWarner per 164 miliardi di dollari, pensava di aver creato il più grande gruppo hi tech e multimediale del mondo. Invece?
«Ha solo contributo alla bolla e, al suo scoppio, ne ha pagato le conseguenze: il gruppo si è disintegrato».
Se non ci fosse stato Mark Zuckerberg, chi altro avrebbe speso 19 miliardi per mettere le mani su WhatsApp?
«Ripeto: la cifra sembra alta, ma non è certo fuori della portata di altre “piattaforme dominanti” come Google o Microsoft. E proprio Google, che finora ha fatto tutte acquisizioni azzeccate, a cominciare da YouTube e per finire con l’ultima, la Nest Labs, conferma il modello di crescita seguito dai protagonisti del settore».
Su che cosa scommette Zuckerberg?
«Sul fatto che WhatsApp possa aprire a Facebook nuovi campi, come quelli dei mezzi di pagamento o della distribuzione delle App, e al tempo stesso possa farle superare i ritardi nella telefonia mobile. E’ vero che gli ultimi dati trimestrali hanno visto un recupero del fatturato ottenuto con gli smartphone, ma non basta».
Perché Facebook e gli altri concorrenti vanno sempre alla ricerca di occasioni esterne invece di sviluppare nuove iniziative dall’interno? Ne avrebbero sicuramente i mezzi…
«Sì, ma le tecnologie sono sempre in rapidissima evoluzione e spesso si rivelano più produttive le start-up che non i gruppi consolidati».
A suo avviso l’accordo Facebook- WhatsApp avrà conseguenze nei rapporti tra i media tradizionali e i nuovi mezzi digitali?
«Non in modo diretto, è solo una conferma delle enormi trasformazioni in atto. Ad esempio evidenzia l’entusiasmo dei mercati finanziari per le società a rapida evoluzione tecnologica, mentre i media tradizionali continuano a battere la fiacca. Mette anche in risalto il cambiamento demografico: sono le giovani generazioni a usare a tutto spiano la messaggeria istantanea, mentre sono le vecchie a comprare ancora i quotidiani di carta».
Resta un dubbio: ce la farà Zuckerberg, dopo aver sborsato 19 miliardi, a sfruttare WhatsApp dal punto di vista degli incassi pubblicitari?
«La vera sfida è proprio quella degli introiti. Certo avrà una base immensa: 2 miliardi di utenti tra Facebook, Instagram e WhatsApp. Ma come tradurre questi numeri in un aumento del fatturato? Per il momento Zuckerberg si gode la notorietà e i miliardi. E a breve termine non penso che il suo impero possa barcollare. Ma per il più lungo periodo sono pessimista: temo che il gruppo Facebook avrà problemi quasi irrisolvibili sul fronte delle entrate»
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