Valentina Errante, Il Messaggero 21/2/2014, 21 febbraio 2014
QUELLE CAUSE “FUTILI” DIETRO ALLA PROTESTA
LA POLEMICA
ROMA Dalle infiltrazioni di acqua pretestuosamente addebitate a una responsabilità dei vicini, sperando in un risarcimento, ai ”finti” contenziosi avviati solo per ottenere un fido dalle banche, con fatture emesse a fronte di prestazioni inesistenti che diventano una garanzia. Sono cinque milioni le cause pendenti davanti ai tribunali civili italiani ed è lungo l’elenco di quelle intentate in mala fede che adesso potrebbero diventare un problema per gli avvocati, chiamati a pagare in prima persona insieme ai clienti. Sono le cosiddette liti temerarie, che col diritto hanno poco a che fare, secondo il disegno di legge varato dal consiglio dei ministri a dicembre, comporterebbero un conto anche per i legali che le hanno portate avanti.
LA LITE TEMERARIA
La nuova misura, definita punitiva dagli avvocati, in realtà, configura la lite temeraria solo in caso di mala fede o colpa grave. Significa che chi si è costituito o ha resistito in giudizio sapeva di non avere diritto e di conseguenza, con il suo comportamento, ha provocato un danno per la controparte. La modifica all’articolo 96 del codice di procedura civile pare sia stata inserita all’ultimo momento al ddl su suggerimento di Dario Franceschini, ministro per i Rapporti con il parlamento.
I CASI
La lite temeraria si estende a tutti i tipi di contenziosi e organi giurisdizionali. Lo scorso dicembre Equitalia è stata condannata a pagare i danni per l’illegittimo fermo amministrativo disposto sull’auto di un’insegnante, perché il provvedimento si riferiva a un vecchio contenzioso oramai prescritto: ”lite temeraria”. Con la nuova legge anche l’avvocato dell’ente che riscuote i tributi si sarebbe trovato in difficoltà. Poi ci sono le cause evidentemente infondate. Nel 2011 il tribunale di Perugia aveva dichiarato la cessazione degli effetti civili del matrimonio di una coppia. Il marito, però, ha impugnato la sentenza, sostenendo che il Tribunale non avesse verificato compiutamente la rottura definitiva della comunanza di vita e la possibilità di ricostituirla. L’uomo riteneva lesivo della sua posizione di cattolico praticante il fatto che la pronuncia anticipasse la decisione di annullamento attualmente in corso. Reclamo, respinto dalla Corte di appello, che ha condannato il marito a pagare seimila euro per lite temeraria, bollando il reclamo come «consapevolmente infondato e meramente strumentale». Il fervente cattolico però non si è arreso e in Cassazione ha eccepito gli stessi argomenti. Gli è andata male: cinquemila euro da pagare. Con la nuova legge anche l’avvocato, che in punta di diritto aveva sostenuto quegli argomenti, sarebbe stato condannato a mettere mano al portafoglio