Beatrice Borromeo, Il Fatto Quotidiano 21/2/2014, 21 febbraio 2014
PALAZZO CHIGI, MINISTRI IN VOLATA
[Gratteri, il pm che spaventa Alfano e i suoi] –
Il testa a testa è tra due magistrati antimafia che, al momento, sono i più accreditati per guidare il ministero della Giustizia: il napoletano Raffaele Cantone e il calabrese Nicola Gratteri. Il primo, raccontato anche da Roberto Saviano in Gomorra, ha arrestato alcuni tra i più potenti capimafia napoletani, ottenendo l’ergastolo per il boss Francesco Schiavone, detto Sandokan.
Ma, almeno fino a ieri sera, l’ago della bilancia pendeva di più verso il procuratore aggiunto di Reggio Calabria, che mercoledì scorso ha incontrato il braccio destro del premier incaricato, Graziano Delrio. Scelta che, se venisse confermata, autorizzerebbe a immaginare una rivoluzione negli uffici di via Arenula. Ma se il nome di Gratteri ha ricevuto, oltre a un apprezzamento trasversale, persino il via libera di Silvio Berlusconi, a mettersi di traverso è stato invece Angelino Alfano. “Non voglio un giustizialista al ministero della Giustizia”, ha detto l’ex delfino del Cavaliere. In effetti la caratteristica che più distingue il 56enne Gratteri, e che forse spaventa Alfano, è proprio l’intransigenza (“La giustizia è una cosa seria” è il suo motto e anche il titolo di un suo libro).
L’ultima volta che si è parlato del pm, appena una settimana fa, è stato per via dell’operazione “New Bridge”, che ha sgominato l’alleanza sempre più robusta tra alcune cosche calabresi e le famiglie di Cosa Nostra americane. In ballo c’erano spedizioni da 500 chili a volta di cocaina ed eroina e il riciclaggio di milioni di euro. Soprattutto, c’era il consolidamento di una mafia sempre più ricca (fattura oltre 40 miliardi l’anno, pari a circa il 3 per cento del Pil italiano) e globale. Tanto da spingere un allarmato Fbi a chiedere l’aiuto della Procura di Reggio Calabria: “La ’ndrangheta, ultimamente, è diventata una delle nostre priorità. E abbiamo bisogno di appoggiarci a magistrati del calibro di Gratteri per contrastarla”, ha detto un agente speciale del Federal Bureau.
MA PER SCOPRIRE il lato “giustizialista” che tanto inquieta l’ex Guardasigilli Alfano, bisogna andare nel feudo di Gratteri, Gerace, un borgo medievale in provincia di Reggio. Lì è la gente del paese a raccontare la dedizione al lavoro che l’ha accompagnato pure nel giorno del suo matrimonio: “Ha lasciato l’ufficio alle 18 e dopo mezz’ora di messa ha fatto segno al prete, che era suo zio, di spicciarsi perché doveva tornare alle sue indagini”. Al Bar del Tocco ricordano gli ottimi voti a scuola e, soprattutto, il fatto che, tempo dopo, “Nicolino” ha arrestato un buon numero di ex compagni di classe che si erano affiliati. “È stata una cosa difficile da fare, certo, ma che altra scelta avevo?”, spiega lui. L’ultimo degli amici d’infanzia a finire in manette è stato un ragazzo con cui Gratteri giocava a calcio all’oratorio, arrestato l’anno scorso mentre veleggiava al largo di Miami con 320 chili di cocaina in stiva. “Ha chiesto subito di parlare con me: i mafiosi sanno che non baro. Io non prometto nulla in cambio di una testimonianza. Arrivo in carcere, accendo il registratore e pretendo che dicano la verità. E loro mi rispettano per questo”, dice Gratteri. Ma i nemici sono cresciuti a ogni arresto: nell’estate del 2012 un pentito ha raccontato che erano arrivati in Calabria 16 chili di tritolo pronti a far saltare in aria il magistrato e la sua scorta. “Io sto attento: non faccio dieci metri senza protezione, non entro in un cinema da 20 anni, ho il mare a otto chilometri da casa e non ci vado. Non do occasioni. Questo – chiarisce – è un lavoro che puoi fare solo se sei fortemente motivato. Direi ostinato. E per me la difesa della legalità è una ragione di vita”.
E su come tutelarla, Gratteri ha le idee chiare. Tanto che, proprio assieme a Cantone, magistrato di Cassazione altrettanto ammirato per la lotta alla camorra, ha stilato una relazione per Enrico Letta con le ricette più efficaci per contrastare la mafia e rimettere in sesto la macchina in avaria della giustizia.
Tra i punti forti: l’aggressione dei patrimoni mafiosi, l’introduzione del reato di auto-riciclaggio, la modifica del 416 ter (perché oggi un politico delinque solo se compra voti con soldi, e non con favori) e l’inasprimento del 41-bis, così da assicurare l’isolamento totale dei detenuti. Idee, forse, un po’ troppo “giustizia-liste” per un ministro della Giustizia.