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 2014  febbraio 21 Venerdì calendario

LE OPERE D’ARTE MODERNA? BUTTATE CON LA SPAZZATURA


Finalmente in Italia abbiamo una grande critica d’arte. Possiamo dare alle fiamme una volta per tutte le recensioni bolse dei giornali; stracciare i cataloghi delle mostre di avanguardia farlocca, tanto inutili quanto costosi. È compiuta la vendetta contro la categoria degli assessori alla Cultura che sperperano soldi pubblici e privati al solo scopo di propinare esposizioni pretenziose ben oltre il limite del ridicolo. E tutto questo grazie ad Anna Macchi, signora pugliese di 47 anni. Un’eronia che - come molti grandi benefattori dell’umanità - agisce senza mire pubblicitarie, guidata dal solo buonsenso.
Questi i fatti. A Bari, nella sala Murat di Piazza del Ferrarese, inaugura la mostra di arte contemporanea Display Mediating Landscape. Succede che un’addetta alle pulizie della sala raccolga da terra quel che le sembra un cumulo di immondizia. Poi, ligia al dovere, si assicura che il suddetto pattume sia smaltito come merita. Risultato: sono finite al macero opere di Nicola Gobbetto, David Jablonowski e alcune pubblicazioni in edizione limitata dell’associazione Flip di Napoli. Valore complessivo tra i dieci e i dodicimila euro.
In sostanza la geniale signora che ha fatto? Ha visto delle cartacce a terra e ha pensato che si trattasse di roba da buttar via. Del resto, ne aveva tutto l’aspetto. Scorrendo le foto pubblicate sul web dal Corriere del Mezzogiorno, possiamo farci una vaga idea di che cosa contenga la mostra (rimarrà comunque aperta al pubblico fino al 28 febbraio). Fogli di carta incorniciati, manifesti appoggiati a terra chissà perché, perfino un’opera realizzata con i biscotti Oro Saiwa. Forse Anna non li ha visti oppure le mancava il caffelatte: avrebbe potuto ricavarne una sostanziosa colazione.
Di fronte alla straordinaria performance, l’assessore al Marketing territoriale Antonio Maria Vasile ha dovuto inventarsi una giustificazione da rifilare ai giornali e ha detto: «Questo è tutto merito degli artisti che hanno saputo interpretare al meglio il senso stesso dell’arte contemporanea, cioè quello di interagire con l’ambiente circostante». Ma quale merito degli artisti. Qui il vero atto artistico l’ha compiuto la donna delle pulizie. Le cui parole, fra l’altro, brillano di verità. Intervista da Repubblica, spiega di aver visto «cartoni a terra, bottiglie di birra sopra i cartoni... Stava il bordello». E aggiunge: «Non mi sono accorta di nulla. Cosa ne potevo sapere? Se sono pentita? No, ho fatto il mio lavoro». Brava, così si fa. Anzi, i creativi che hanno visto i loro gioielli finire in discarica dovrebbero essere contenti: l’intervento della signora ha donato alle loro opere una vitalità inaspettata e probabilmente immeritata. Gli artisti in questione sono entrati in un’opera d’arte a loro insaputa. Come nel bellissimo romanzo di Massimiliano Parente appena pubblicato da Mondadori, Il più grande artista del mondo dopo Adolf Hitler. Nel libro, il protagonista Max Fontana scambia per l’opera di un genio dell’arte il materiale dimenticato da un imbianchino sul luogo di lavoro. Qui è avvenuto il contrario: le opere sono state scambiate per pattume e, giustamente, cestinate.
Segno che ormai, come diceva Tom Wolfe, senza istruzioni per l’uso la gran parte dell’arte contemporanea perde di senso. Bisognerebbe allora prendere esempio da Marcel Duchamp, l’artista francese che tra il 1915 e il 1923 ha lavorato a un’opera chiamata il Grande Vetro (in realtà il titolo recita La Sposa messa a nudo dai suoi Scapoli, anche). Durante un trasporto, il vetro si danneggiò, e Duchamp ne fu felice. Il Caso era intervenuto a completare il suo capolavoro. Ma - come nel caso del romanzo di Parente - si trattava di grande arte. Per quanto riguarda Bari, invece, siamo più della parti della commedia all’Italiana. Per la precisione nel film Le vacanze intelligenti, quando Alberto Sordi porta la moglie Anna Longhi alla Biennale e in un padiglione vedono un’opera composta di imbuti. Lei commenta: «Pure io li metto così quando spiccio la cucina». E lui: «Ma che cazzo c’entra la cucina! Questa è una scultura, siamo alla Biennale!».