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 2014  febbraio 21 Venerdì calendario

LA SICUREZZA DI ROMA? IN MANO ALL’UOMO DELLA MAGLIANA


Questa storia sembra la sceneggiatura di un film, ma non lo è. Al centro della vicenda c’è il più importante istituto di vigilanza privato di Roma e sullo sfondo, ma neppure troppo, la banda della Magliana. Chi passeggia per la città Eterna può incrociare le auto bianche dell’Istituto di vigilanza Città di Roma Metronotte srl (già cooperativa). I suoi uomini in divisa antracite sono ben visibili in via Veneto davanti all’ambasciata statunitense presso cui prestano servizio. Ma i vigilantes del gruppo, oltre 700, sono sparpagliati per tutta l’Urbe. Sono davanti ai palazzi del potere, custodiscono gli ospedali più importanti, a partire dal policlinico Umberto I, la metropolitana, la Banca d’Italia, la Rai e le sedi diplomatiche.
Ma chi vigila su Roma è vigilato a sua volta. O per lo meno lo è quello che secondo la procura della Capitale è il «dominus» e «presidente di fatto» della società, al secolo Fabrizio Montali da Milazzo (Messina), quarantunenne rampollo dell’ex sottosegretario socialista Sebastiano. Fabrizio l’8 novembre scorso è stato condannato dal tribunale di Roma a un anno e sei mesi per usura. Nello stesso processo ha preso sette anni e sei mesi per estorsione aggravata dal metodo mafioso il settantasettenne Enrico Nicoletti, considerato lo storico tesoriere della Banda della Magliana. «Tu non sai chi sono io, ho fatto estorsioni, omicidi, sequestri di persona» avrebbe minacciato la vittima di turno. L’altro ieri i finanzieri della tributaria si sono presentati nella sede di Guidonia della Metronotte srl, alle porte di Roma, per contestare a Montali nuove accuse. L’azienda tra il 2010 e il 2012 avrebbe evaso 6 milioni di Iva e prodotto un buco di 10 milioni di euro in una società del gruppo trasferita in Romania. I militari, su ordine del pm romano Luca Tescaroli, hanno effettuato numerose perquisizioni: nelle case di Fabrizio, in quelle del padre, a Roma e Messina, dell’amministratore delegato Stefano Ingrassia, del presidente di Confcooperative del Lazio Carlo Mitra, ex presidente e ora consulente della società.
Ad accendere i riflettori sulle presunte malefatte del sodalizio sono stati un coraggioso sindacalista della Fisascat Cisl, Mauro Brinati, e l’ex direttore generale della Città di Roma Vincenzo Pergolizzi. Quest’ultimo, ex carabiniere dalla schiena dritta e con trent’anni di esperienza nella vigilanza privata, il 28 giugno 2012 si era presentato in procura con un esposto di cinque pagine e 21 corposi allegati in cui aveva denunciato Fabrizio Montali come «amministratore/socio occulto», cosa tanto più grave visti «i controlli cui questo tipo di attività è sottoposta dalla Prefettura e dalla Questura». Un amministratore che «si muove in modo eccessivamente disinvolto con il chiaro intento di coinvolgere e servirsi di altre persone per condurre in porto i propri piani, salvo poi disfarsi di chi come me non ha ritenuto di dover fungere da sua “controfigura”». Secondo Pergolizzi, Montali non temeva controlli perché questi «sarebbero stati bloccati attraverso gli ispettori di Confcooperative ». Brinati nelle sue denunce è stato persino più diretto e già nel luglio 2010 in una lettera riservata aveva allertato il leader Cisl Raffaele Bonanni e il presidente nazionale di Confcooperative Luigi Marino sui piani di Montali.
All’epoca il giovanotto e il padre avevano acquisito il controllo della cooperativa di metronotte più grande di Roma. Ma, secondo Brinati, con fini tutt’altro che no bili. Ai suoi capi aveva mostrato anche lo specchietto che Montali avrebbe schizzato in sua presenza. Lo schema con cui il «dominus» oggi sotto inchiesta immaginava di svuotare le casse dell’azienda: creazione di un buco da 6 milioni, ispezione telecomandata di Confocooperative, messa in liquidazione, collocazione in mobilità dei lavoratori, riassunzione a zero scatti e zero livelli. Brinati, sdegnato, aveva buttato Montali fuori dalla stanza e aveva denunciato tutto a Mitra, presidente dei vigilantes e nel contempo presidente vicario di Confcooperative. Ma nessuno intervenne. Così Brinati denunciò con ricevuta di ritorno la cosa alla Direzione investigativa antimafia, alla Guardia di finanza, ai carabinieri, alla procura, alla questura e alla prefettura. Senza esito. Anzi, padre e figlio entrarono ufficialmente negli organigrammi aziendali.
Intorno all’istituto di vigilanza vennero costituite ad hoc cooperative di servizi che, secondo Pergolizzi e Brinati, avrebbero dovuto fungere da scatole cinesi per stornare fondi. Nel 2011 Montali, finito sotto processo insieme con Nicoletti, dismette ufficialmente i panni di dirigente dell’istituto (per evitare di perdere la licenza per la vigilanza), venendo assunto come semplice dipendente. Non risulta intestatario di nulla. L’auto non è sua, non ha case, il contratto di affitto dell’appartamento di piazza Farnese dove viveva sino al 2012 era intestato alla Città di Roma service che «sublocava» alla Nuova città di Roma. L’ennesimo intreccio. Nel processo in cui è stato condannato, Montali ha indicato come domicilio un vicolo di Trastevere. Sul campanello c’è scritto Montali-Gammelli, ma i vicini non sembrano conoscerlo. Sino a qualche tempo fa la fidanzata ufficiale dell’uomo era la quarantacinquenne segretaria di un assessore regionale laziale della giunta di Renata Polverini. I ben informati dicono che politico e imprenditore fossero intimi.
L’unica foto che circola di Montali è quella sul podio di una gara automobilistica. Infatti primeggia nelle gare della Coppa Italia categoria Turismo, campionato organizzato dalla Peroni Race. Chi vuole scovare il pilota deve seguire le sue macchine o per lo meno quelle che usa. Auto che non passano inosservate. Come l’Audi A6 scura che gli investigatori hanno avvistato diverse volte davanti al quartier generale di Guidonia. Ma soprattutto l’Hummer grigio del 2008 intestato all’ennesima cooperativa. Un macchinone acquistato nel febbraio 2013 a 641 euro. E proprio la vicenda riguardante un’auto ha portato Montali alla condanna di novembre. Secondo i giudici un imprenditore in difficoltà gli avrebbe chiesto in prestito 30 mila euro offrendo in pegno la sua Bmw praticamente nuova. Montali avrebbe accettato proponendo un tasso usurario.
Dalle carte processuali emerge a suo carico un precedente degli anni ’90 per delitti contro il patrimonio. I magistrati ricordano anche le dichiarazioni di vittime e testimoni su Fabrizio: «Millantava crediti nei confronti dell’assessorato all’urbanistica» ha dichiarato uno. E ha aggiunto: «Mi ero reso conto che dietro a Montali c’erano i Nicoletti ».
Per i detrattori l’obiettivo del pilota era quello di «intestarsi la metà, un terzo, due terzi» delle società di imprenditori in difficoltà. Magari con i soldi degli stessi Nicoletti. Accuse queste che, però, sino ad ora si sono infrante contro il muro della prescrizione. Infatti tra le imputazioni di Montali c’era pure quella di aver fatto da prestanome alla famiglia Nicoletti, mail reato è stato contestato fuori tempo massimo. Per lo stesso motivo i figli dell’ex boss della Banda della Magliana, Antonio e Massimo, e lo stesso Montali si sono salvati da una condanna per corruzione. Ora le indagini del pm Tescaroli, oltre ad approfondire i reati fiscali e contabili, dovranno verificare di chi siano i denari investiti nella società. E se ci sia dietro l’ombra della criminalità organizzata.