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 2014  febbraio 21 Venerdì calendario

QUEI SOLDATI INDIANI CHE L’ITALIA ADDESTRÒ NELLA LOTTA AGLI INGLESI


I due marò e l’esercito indiano del Duce. È un peccato che nell’aspro dibattito che si è svolto in questi due anni sulla ingiusta detenzione dei nostri due soldati in India nessuno storico abbia ricordato alle autorità indiane che il nostro Paese ha incoraggiato e ha sostenuto la lotta per l’indipendenza indiana dal colonialismo inglese. Nel corso dell’ultima guerra mondiale il nostro esercito cattura centinaia di soldati indiani sul fronte militare dell’Africa settentrionale. Questi militari vengono tenuti nel campo di villa Marina, all’11° chilometro di via Casilina. Il principale punto di riferimento di questa operazione politica è senza dubbio Muhammad Iqbal Shedai, leader del Partito Rivoluzionario Indiano. Benito Mussolini autorizza la nascita di un governo indiano in esilio in Italia e fa aprire una radio clandestina che crea non pochi problemi agli inglesi. Si tratta di «Radio Himalaya». Questa emittente manda in tilt l’intelligence inglese che fa di tutto per rintracciare la stazione di trasmissione nel Nord dell’India. In realtà questa radio trasmette sulle onde corte da via IV novembre, nel pieno centro di Roma.
Shedai è amico di numerose personalità fasciste: nella seconda metà degli anni ’20 conosce Arnaldo Mussolini, il fratello del duce, ed in seguito viene protetto politicamente dal ministro degli Esteri Galeazzo Ciano. Durante la seconda guerra mondiale Shedai visita molti campi di concentramento italiani nei quali sono rinchiusi soldati indiani, molti dei quali hanno disertato dall’esercito inglese. Su pressione del leader nazionalista indiano il ministero degli Esteri mette in atto uno «Schema di lavoro per l’India» (aprile 1941) con lo scopo di poter utilizzare questi prigionieri in funzione anti-inglese. In questo schema viene sostenuta la necessità di alimentare la guerriglia al confine indo-afghano e di utilizzare il maggior numero possibile di soldati indiani per addestrarli e inviarli in India allo scopo di sollevare rivolte contro gli occupanti inglesi. Ma i tedeschi sono molto più abili. Aggirando le disposizioni del ministero degli Esteri, i comandi tedeschi riescono a farsi consegnare oltre 1000 prigionieri indiani per soddisfare la necessità tedesca di utilizzare queste forze nel nord Europa. Ma Ciano è contrario a questa concessione perché ritiene falsa la sincerità del sostegno nazista alla causa indipendentista indiana. Lo stesso Shedai viene invitato più volte a Berlino. Ma decide di non andare perché sa che il sostegno tedesco non è sincero.
Gli italiani costituiscono il centro militare «I», meglio noto come battaglione «Azad Hindoustan» («India libera»), con lo scopo di addestrare questi soldati. I militari indiani, poco più di un centinaio, partecipano ad una cerimonia di giuramento nella quale dichiarano di «osservare le leggi e i regolamenti militari italiani, considerandomi come alleato dell’Italia nella lotta contro i comuni nemici». I soldati vengono sottoposti ad un intenso addestramento. Ma qualcosa non va per il verso giusto. Il 10 novembre 1942 i 185 soldati si ammutinano dopo che si è sparsa la notizia di un imminente trasferimento in Africa settentrionale. Anche se la formula del giuramento non lascia alcun dubbio, molti di loro sarebbero voluti tornare in India per battersi contro gli inglesi. Ma la realtà era un’altra. Le notizie della battaglia di El Alamein impressionano molti soldati indiani.
I vertici militari italiani non prendono bene questa rivolta. E il 12 novembre 1942 sciolgono il battaglione e tolgono ogni beneficio ai soldati che tornano ad essere, a tutti gli effetti, prigionieri di guerra. Da quel momento il ministero della guerra e quello degli Esteri si disinteressano della questione. Anzi, le autorità italiane impediscono al leader nazionalista filotedesco Chandra Bose di recarsi in Africa settentrionale per reclutare nuove truppe. Solo Muhammad Iqbal Shedai resta al suo posto e continua a collaborare anche con la Repubblica sociale italiana. Prima di accusare formalmente i nostri soldati di terrorismo le autorità indiane dovrebbero conoscere questa pagina della loro storia. Almeno per comprendere che l’Italia non ha mai guardato a loro con ostilità.