Silvio Piersanti, il Venerdì 21/2/2014, 21 febbraio 2014
BARBONI USATI PER RIPULIRE FUKUSHIMA
Tokyo. Droni, robot e barboni, con questa mistura di mezzi altamente tecnologici e disperatamente umani, la Tepco (Tokyo Electric Power Co.), società responsabile degli impianti nucleari di Fukushima, spera di risolvere il problema della rischiosa opera di rimozione di 1.533 barre di combustibile nucleare, in parte esaurite e in parte fresche, rimaste tra le macerie della centrale distrutta dal terremoto e dal susseguente tsunami di tre anni fa, nel marzo 2011.
La radioattività nella centrale, e intorno ad essa, è talmente alta che nessun operaio accetta più di lavorarci. Secondo dati resi pubblici recentemente, basterebbe un’ora di esposizione per uccidere un uomo. Si fanno quindi ricognizioni a bassa quota con i piccoli aerei teleguidati per misurare il tasso di radioattività nell’aria, si introducono nelle zone critiche robot per ispezioni interne prolungate, e, per operazioni che i robot non sono ancora in grado di compiere, si ricorre all’opera dei barboni, individui disperati che accettano di rischiare la loro povera vita per i 90 dollari al giorno offerti dalla Tepco. Una cifra con la quale, peraltro, debbono fronteggiare anche una sorta di pizzo mafioso. Scandalosamente, è infatti la yakuza, la mafia giapponese, che arruola i senzatetto andandoli a reclutare nelle stazioni ferroviarie e della metropolitana. Lo ha rivelato Seji Sasa, membro di una famiglia mafiosa, in un’intervista rilanciata dalla Reuters. La Tepco paga alle società protette dalla yakuza un tanto a barbone e la famiglia mafiosa incassa la sua regolare tangente ma, non sazia, mette in tasca anche circa la metà della paga giornaliera di quei derelitti, come pagamento per la sistemazione in economici dormitori e per buoni-pasto. Secondo la Reuters, sono 733 le società impegnate nell’operazione di bonifica di Fukushima, con un giro d’affari di 23 miliardi di euro, una succulenta torta di cui la yakuza si ritaglia una buona fetta.
La Tepco ha due problemi che non preoccupano solo la popolazione giapponese, ma tutta l’area del Pacifico. Il primo è lo spostamento semi-manuale dalle barre nucleari del reattore N.4, attualmente sommerse nella piscina di raffreddamento dove, secondo il Japan Times, le radiazioni sono quattordicimila volte più intense di quelle emesse dallo scoppio della bomba atomica su Hiroshima.
Il secondo sono le perdite giornaliere di circa 300 tonnellate d’acqua altamente inquinata nell’oceano Pacifico. Si calcola che attualmente ci siano 100 mila tonnellate di acqua di raffreddamento e di acque sotterranee immagazzinate che in parte raggiungono il mare a causa di perdite o perché periodicamente riversate per evitare straripamenti dei depositi che aumenterebbero l’inquinamento del suolo, già nove volte più radioattivo di quello di Chernobyl. Si pensa di arginare le perdite di acqua radioattiva con un muro di ghiaccio sotterraneo lungo un chilometro e mezzo, che il governo spera di poter terminare entro l’anno. Ma è un progetto senza precedenti che pone continui problemi ai tecnici. Se sarà mai completato, richiederà altissimi costi di gestione: solo l’elettricità necessaria per mantenerlo ghiacciato costerebbe circa 30 milioni di euro l’anno, per un numero indefinito di anni, tra i 20 e i 100 mila. Quest’ultima cifra indica lo stato di inoffensività. Un lasso di tempo che sembra sfiorare l’eternità.
«Vi posso assicurare che la situazione nucleare è sotto controllo» affermò il primo ministro Shinzo Abe, portandosi le mani al cuore, nell’ultimo, decisivo appello, ai delegati del Comitato Olimpico riunito a Buenos Aires, il 7 settembre dell’anno scorso, per decidere a quale città assegnare i Giochi del 2020. Bugia colossale, secondo tutti gli osservatori non foraggiati dal governo. La situazione non è mai stata sotto controllo, era lungi dall’esserlo al tempo di quel discorso, continua a non esserlo ora, e certamente non lo sarà nel 2020 quando migliaia di atleti ed accompagnatori giungeranno a Tokyo che dista meno di 200 chilometri da Fukushima.
Secondo l’ultima road map compilata congiuntamente dal governo e dalla Tepco, la dismissione dei quattro reattori danneggiati richiederà ancora 40 anni, ma molti esperti ritengono iperottimistica questa stima. David Suzuki, pluripremiato divulgatore scientifico multimediale, è tra quelli che disegna gli scenari più catastrofici. «Fukushima è la più terrificante realtà che si possa immaginare» ha detto recentemente a un congresso scientifico tenuto ad Alberta, in Canada. Avrebbe dovuto disquisire su ecosistemi idrici ma, spinte bruscamente da parte le cartelle preparate, si è lanciato in un improvvisato e drammatico appello a governi e scienziati a ben considerare i problemi di Fukushima. «Se il quarto reattore collasserà a causa di un’altra scossa sismica, possiamo dire addio al Giappone e alle nazioni limitrofe, e l’intera costa occidentale degli Usa dovrà essere evacuata» ha sentenziato.
L’ex primo ministro Naoto Kan ha dichiarato che il terreno sotto il reattore N. 4 è già sprofondato di oltre 70 centimetri. Se questo cedimento continuerà, potrà causare il crollo della struttura con il conseguente totale prosciugamento della vasca di contenimento e un’inevitabile catastrofica fusione. Le previsioni più pessimistiche contemplano la possibilità che in caso di un nuovo incidente si dovrebbe affrontare, tra l’altro, un compito senza precedenti nella storia dell’uomo: l’evacuazione di 30 milioni di abitanti della grande Tokyo, la più popolosa del mondo.
La Tepco ha fatto realizzare una gru mobile di 273 tonnellate che è stata installata sul tetto della edificio del reattore 4. Telecomandata da una cabina separata, la gru solleverà le barre di combustibile una per una e le depositerà in una cassa di acciaio. Tutta l’operazione avverrà sotto il livello dell’acqua della piscina di raffreddamento del reattore. Quando la cassa sarà piena (può contenere un massimo di 22 barre) verrà chiusa ermeticamente, sollevata e depositata all’esterno. Sarà caricata su un automezzo e portata in un altro sito dove verrà di nuovo immersa in una piscina appositamente preparata in cui rimarrà per un imprecisato numero di decenni. Il sito non è stato ancora individuato perché nessun comune del Giappone si è detto disposto ad ospitarlo.
Se, con buona fortuna, tutto andrà bene al reattore 4, si estrarranno con lo stesso sistema le barre dei reattori 1, 2 e 3. Questa seconda fase avverrà proprio in concomitanza con i giochi olimpici ed è probabile e comprensibile che ci saranno atleti che rinunceranno a prendervi parte se non saranno rassicurati al cento per cento da scienziati neutrali.
Nonostante la martellante campagna di sicurezza lanciata dal governo, e la sistematica disinformazione sui dati reali della situazione, la maggioranza dei giapponesi è molto preoccupata. Le confezioni di compresse allo iodio (protezione contro il cancro alla tiroide) sono andate a ruba e le ditte farmaceutiche non riescono a far fronte agli ordini.
E poi c’è la incrollabile fede nell’energia nucleare di Abe. Sordo ad ogni invito alla prudenza da parte dei movimenti verdi, ha dato disposizioni perentorie perché i 56 reattori del Paese siano di nuovo attivati in tempi brevissimi. Il premier sostiene che se il Giappone vuole rimanere tra le grandi potenze ha bisogno dell’energia nucleare. Il Giappone esporta reattori e componenti di centrali nucleari in tutto il mondo per centinaia di miliardi di dollari. L’immagine di un Giappone messo in ginocchio da un incidente nucleare stride con quella di un Paese ancora massiccio esportatore di tecnologia nucleare, profeta di quella stessa energia che sta rischiando di distruggerlo: sarebbe un harakiri della millenaria civiltà nipponica.