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 2014  febbraio 21 Venerdì calendario

SINDACO MODELLO TSIPRAS

[Colloquio Con Luigi De Magistris] –

Un partito ce l’ha già. Si chiama Napoli. E dopo il flop di Ingroia alle politiche, s’è pure convinto che di sigle e microliste in Italia ce ne siano già troppe. Così mentre Renzi entra a palazzo Chigi, il sindaco di Napoli Luigi De Magistris studia la sinistra. Con un occhio a Matteo «elemento di novità per tutti». E l’altro ad Alexis Tsipras, il leader di Syriza, che sta catalizzando attorno a sé intellettuali e pezzi di un’italica gauche delusa, pronti a sostenere la lista "L’altra europa con Tsipras" alle Europee. L’ex pm non farà, dice a "l’Espresso", una vera campagna elettorale, per tenersi buono quel Pd che gli serve per salvare la sua città dal dissesto. Ma farà il tifo, però, per quel giovane greco già invitato a Napoli: «Dove molte cose che abbiamo fatto somigliano alla sua idea di politica».
Le piace Renzi premier?
«Renzi mi piace, è un sindaco. E conosce i problemi veri del Paese. La sua vera, grande scommessa sarà il Sud. Affrontare in modo diverso, rispetto agli ultimi vent’anni di governi, la questione meridionale. Qui sta nascendo una nuova classe dirigente forte, penso a Emiliano, penso a Orlando. C’è una rinnovata voglia di legalità e di rilancio. Se saprà capirla, sarà una svolta vera per l’Italia».
A Napoli lei vinse contro destra e sinistra. Sta dicendo che ha cambiato idea?
«A Napoli siamo un’esperienza anomala, con i difetti e i pregi dell’anomalia. Diceva Pasolini, non per paragonarmi, forza e debolezza stanno nella nostra indipendenza. Quindi non mi colloco».
Ma parla con il Pd, con Sel, con la sinistra?
«Sì, stiamo costruendo rapporti interessanti. Anche perché la mia elezione fu qualcosa di unico, di irripetibile. Oggi il Pd di Renzi è una grande opportunità di cambiamento per tutti. Anche per chi non è del Pd. E Napoli può essere un bel laboratorio per la nuova sinistra italiana».
Cosa intende per nuova sinistra? Ne sta nascendo una attorno ad Alexis Tsipras. Potrà contare anche su di lei?
«Io non ho un partito, né vi aderisco. Il sindaco di Vienna, quando gli spiegai che non avevo riferimenti nella politica italiana, mi disse: "Certo, è Napoli il tuo partito". Ed è così, proprio così. Quindi io non posso schierarmi, perché Napoli è il centro della mia azione. Ma mi sento vicino a Tsipras. Mi sembra molto simile a quello che stiamo facendo qui».
’O Tsipras alla napoletana?
«Beh. Le faccio un esempio. Con la spending review di Monti, mi dissero di chiudere mense e asili. E io feci una delibera, che il direttore generale del Comune si rifiutò di firmare: scrissi che a Napoli le scuole si chiudono solo in caso di guerra, di terremoto o di carestia».
Immagino che seguì proprio un terremoto.
«Diciamo un putiferio».
E come finì?
«Avevo ragione io. La Corte dei conti archiviò tutto e spiegò nelle motivazioni quel che era lo spirito della mia delibera. Ovvero che non si può imporre tagli contro la Costituzione, contro i diritti fondamentali delle persone, dei bambini. Ecco che tornano i temi di Tsipras: con la depressione non si fa ripartire l’Europa, né si attenuano le differenze sociali».
Ma fra poco ci saranno le Europee. Sarà in campo o resterà neutro?
«Proprio neutro... no. Parteciperò a dibattiti con Tsipras senz’altro. Verrà a Napoli presto. E io ci sarò, con lui, a dialogare. Pur senza fare la tradizionale campagna elettorale».
Come invece fece alle politiche, con Ingroia: Rivoluzione civile.
«Abbiamo visto che andò male. I piccoli partiti non servono al Paese».
E l’Italicum le piace? Favorisce il bipolarismo, pochi grandi partiti.
«Serve semplificazione, ma se vuole saperlo l’Italicum non mi entusiasma troppo».
E perché mai?
«Perché fa rientrare dalla finestra quello che la Consulta fa uscire dalla porta».
Parla dei listini bloccati?
«Ormai i parlamentari non hanno più un rapporto carnale con il territorio. E quindi sono venute meno le battaglie che si facevano per le città. A volte giuste, a volte meno giuste. Ma chiare. Così le cose restano come adesso».
C’è sempre il Movimento 5 Stelle. In fondo le piaceva. O ha cambiato idea?
«Molte cose che dicono e che propongono le condivido. E furono importanti, questo è vero, per la mia elezione in Europa. Penso che i contenuti vadano recuperati, ma non mi piacciono i modi».
In che senso i modi?
«Il M5S sembra un movimento di destrutturazione, una valvola di sfogo della rabbia del Paese. Ecco, troppa rabbia e poca identità. Così servono a poco. Io li ascolto e sento a volte parole in cui mi riconosco, parole mie. Altre volte rispunta una destra inquietante, che mi ricorda periodi che è meglio non ricordare. Renzi dovrebbe introdurre gli elementi di quel disagio nella sua azione di governo. Dovrebbe creare maggiore radicalità».
Oggi si sente più politico o magistrato?
«Il magistrato ha la toga dentro, anche se si dimette. E io sono uno dei pochi che si è dimesso. Per cui lo resti sempre. Ma io credo nel primato della politica».
E cosa pensa di Berlusconi e dell’eterna questione giustizia che lo ammanta?
«Guardi... Da magistrato, criticavo la giustizia. Criticavo le correnti, la corruzione che c’era anche fra i magistrati. Oggi che sono sindaco, lo faccio un po’ di meno. Ma non appena dico queste cose, passo per difensore di Berlusconi. Ecco il punto: una delle cose più negative della presenza di Berlusconi sullo scenario politico è stato impedire un dibattito franco sulla giustizia».
Lei da dove partirebbe?
«I tempi sono maturi per una riforma che guardi con più attenzione ai diritti. Va ridotta al minimo la custodia cautelare, l’avviso di garanzia deve tornare a essere una garanzia».
Cosa pensa di Berlusconi e della via giudiziaria alla sua fine politica?
«Per via giudiziaria ha già avuto una botta pesante, e non è finita probabilmente. Non mi piace l’idea che un politico debba finire per via giudiziaria, perché è una sconfitta della politica. Io non demonizzo Berlusconi, e critico chi lo fa. Quel che mi sento di dire è che, condannato e decaduto, va maneggiato con cura».
Cioè?
«Bisogna avere un po’ più di cautela nel legittimarlo, così come nel denigrarlo. Corriamo il rischio concreto di farne un martire. Ecco, forse in questo senso, Renzi una mano gliel’ha data».
I sindaci però si giudicano da quel che fanno. Lei cos’ha fatto?
«Partirei dalla fotografia di quel che ho trovato: 1,5 miliardi di debiti e 850 milioni di disavanzo. A quel punto potevo giocare la partita del dissesto e incolpare quelli di prima. Ma non l’ho fatto perché la gente che mi ha votato aveva voglia di vita».
E ora si può dire "vedi Napoli, poi vivi"?
«Beh, Napoli non diventa Ginevra in due anni e mezzo, se è questo che vuole dire. Quello di Renzi è il quarto governo che si insedia da quando sono sindaco. Facciamo due conti: Berlusconi tagliò, Monti tagliò, qualcosa in meno tagliò Letta. A differenza di Roma, poi, che con Alemanno e Marino ha avuto due leggi speciali, le salva-Roma, io non le ho mai chieste né volute per Napoli».
Sembra strano detta così.
«No. Appartengo a quel Sud che vuole riscattarsi con le proprie forze. E che non sta col cappello in mano. Marciamo sulla strada giusta, ma siamo a un bivio».
Quale bivio?
«Roma può far saltare tutto a un metro dal traguardo o farci finire il lavoro».
Cosa dovrebbe fare Renzi?
«Una norma correttiva generale che eviti il dissesto dei Comuni che hanno iniziato un percorso di sistemazione del debito, ma che hanno avuto problemi dalla Corte dei Conti prima di terminare il percorso».
Ma se la Corte contesta i bilanci?
«La Corte dei Conti fa una fotografia, senza tenere conto di quel che è successo. Abbiamo dimezzato il disavanzo, i creditori si pagano in un terzo del tempo, i cantieri sono ripartiti, consulenze a zero, e senza licenziare nessuno. Perché ogni posto in meno è una famiglia in crisi, un disagio sociale. E potrei continuare».
Adesso non dica che siete Ginevra, però.
«C’erano le cataste di rifiuti in strada. Non saremo Ginevra, ma non ci sono più. Siamo l’unica grande città che ha attuato il referendum sull’acqua pubblica. Che ha tolto la gestione immobiliare ai privati. I turisti non venivano, adesso siamo la quinta città per turismo. Alberghi pieni, ristoranti pure. Insomma Napoli è viva. E non può avere proprio adesso il cartellino rosso. Non vogliamo aiuti, a noi basta che non ci fermino».