Lirio Abbate E Paolo Biondani, L’Espresso 21/2/2014, 21 febbraio 2014
POTENTE UGUALE IMPUNITO
Gong, tempo scaduto: il reato c’è, l’imputato lo ha commesso, ma il processo è durato troppo, per cui il colpevole ha diritto di restare impunito. Nel gergo dei tribunali si chiama prescrizione. È il termine massimo concesso dalla legge per condannare chi ha commesso un reato. In teoria è una nobile garanzia: serve a evitare che uno Stato autoritario possa riesumare accuse del lontano passato e perseguitare i cittadini con processi infiniti. Il guaio è che in tutti i Paesi civili la prescrizione è un evento eccezionale, mentre in Italia è diventata la regola per intere categorie di reati. Una scappatoia legale che premia soprattutto gli imputati eccellenti e la criminalità dei colletti bianchi. E nega giustizia al popolo delle vittime dei reati. E provoca pure danni alle casse dello Stato: le somme, in molti casi si parla di decine di milioni di euro, sequestrati agli imputati in fase di indagine perché ritenute provento della corruzione o concussione, una volta dichiarato prescritto il reato devono essere restituite agli "illegittimi" proprietari. E così, grazie alle leggi-vergogna sulla prescrizione, le tante caste, cricche, logge o lobby della politica e dell’economia possono continuare a rubare. Mentre restano senza giustizia i cittadini danneggiati da truffe, raggiri finanziari, evasioni fiscali o previdenziali, corruzioni, appalti truccati, scandali sanitari, omicidi colposi, traffici di rifiuti pericolosi, disastri ambientali, morti sul lavoro, violenze in famiglia, perfino abusi sui bambini.
«L’Italia è l’unico Paese del mondo in cui la prescrizione continua a decorrere per tutti e tre i gradi di giudizio», è la diagnosi tecnica di Piercamillo Davigo, l’ex pm di Mani Pulite che oggi è giudice di Cassazione: «All’estero di regola il conteggio si ferma con il rinvio a giudizio o al massimo con la sentenza di primo grado, dopo di che non si prescrive più niente. Da noi invece il colpevole può farla franca anche se è già stato condannato in primo e secondo grado e perfino se è l’unico a fare ricorso, quindi è proprio lui ad allungare la durata del processo. Quando proviamo a spiegarlo ai magistrati stranieri, non riescono a capacitarsene: "Che senso ha?"».
Il senso di questa anomalia italiana è una massiccia impunità: solo nell’ultimo anno giudiziario, come ha detto il primo presidente della Cassazione invocando una «riforma delle riforme», sono stati annientati dalla prescrizione ben 128 mila processi penali. Come dire che in Italia, ogni giorno, evitano la condanna almeno 350 colpevoli di altrettanti reati. La prescrizione facile è da decenni un vizio nazionale: basti pensare che i processi di Mani Pulite, nati dalle storiche indagini milanesi del 1992-1994, si erano chiusi con un bilancio finale di 1.233 condanne, 429 assoluzioni e ben 423 prescrizioni. Già ai tempi di Tangentopoli, insomma, il 20 per cento dei colpevoli riusciva a beffare la giustizia. Invece di risolvere il problema, le cosiddette riforme dell’ultimo ventennio lo hanno aggravato. Il tasso di impunità è salito alle stelle, in particolare, con la legge ex Cirielli, approvata nel 2005 dal centrodestra berlusconiano, che ha reso ancora più breve la via della prescrizione: termini dimezzati, applicazione automatica, obbligo per i giudici di concederla per ogni singolo reato, anche se il colpevole ha continuato a commetterne altri. E così, mentre la crisi economica spinge molti Stati occidentali a punire severamente i reati finanziari e il malaffare politico, in Italia i più ricchi e potenti riescono quasi sempre a sfuggire alla condanna. A documentarlo sono i dati del Dipartimento per l’amministrazione penitenziaria (aggiornati al novembre 2013), raccolti in esclusiva da "l’Espresso": sugli oltre 60 mila detenuti si contano soltanto 11 accusati per corruzione, 26 per concussione, 46 per peculato (cioè per furto di denaro pubblico), 27 per abuso d’ufficio aggravato.
In Germania per reati economici finanziari vi sono in cella 8.600 detenuti. Di fronte all’enormità di un’evasione stimata nel nostro Paese di 180 miliardi di euro all’anno, in cella per frode fiscale ci sono soltanto 168 persone e appena tre arrestati per reati societari o falso in bilancio.
SALVATAGGI ECCELLENTI
La prescrizione all’italiana ha salvato centinaia di imputati eccellenti. L’elenco è interminabile, ma il re delle prescrizioni è sicuramente Silvio Berlusconi, che i giudici hanno dovuto dichiarare «non più punibile» prima per le tangenti a Bettino Craxi, per la corruzione giudiziaria della Mondadori (danni accertati per 494 milioni di euro) e per i colossali falsi in bilancio della Fininvest (caso All Iberian, fondi neri per 1.550 miliardi di lire) e poi, proprio grazie alla legge ex Cirielli approvata dalla sua maggioranza, per le mazzette da 600 mila dollari versate al testimone inglese David Mills, in cambio del silenzio sui conti offshore del Cavaliere. Che ora attende che si prescriva in appello anche la condanna per il caso dell’intercettazione trafugata nel dicembre 2005 per screditare il suo avversario politico Piero Fassino. Persino la prima condanna definitiva di Berlusconi per frode fiscale, quella che gli è costata il seggio in parlamento, è stata ridimensionata dalla prescrizione: le sentenze considerano pienamente provata un’evasione da 368 milioni di dollari, ma la ex Cirielli ha lasciato sopravvivere solo l’ultimo pezzetto di reato, per cui l’ex premier ora deve versare all’Agenzia delle Entrate solo dieci milioni.
A sinistra, il miracolato più in vista è Filippo Penati, ex capo della segreteria del Pd: accusato di aver intascato tangenti per oltre due milioni di euro, aveva detto di voler rinunciare alla prescrizione, ma poi non l’ha fatto, e ora resta sotto processo solo per le accuse più recenti e difficili da dimostrare. Tra i big della finanza, autostrade e costruzioni, spicca il caso di Fabrizio Palenzona, che si è visto annullare l’accusa di aver intascato almeno un milione di euro su una rete di conti di famiglia tra Svizzera e Montecarlo, mai dichiarati al fisco e scoperti grazie alle indagini sulle scalate bancarie del 2005. Nel mondo della sanità, la sparizione dei primi reati, provocata dalla solita ex Cirielli, ha fatto tornare in libertà perfino il chirurgo della "clinica degli orrori" Pierpaolo Brega Massone, nonostante la condanna a 15 anni e mezzo. Nel pianeta giustizia, la prescrizione ha salvato l’ex giudice romano arrestato per tangenti Renato Squillante e altri magistrati con i conti all’estero. Tra i casi più recenti c’è la prescrizione ottenuta dal costruttore della "cricca" Diego Anemone per i famosi finanziamenti illeciti versati all’insaputa dell’ex ministro Claudio Scajola, che a sua volta è stato assolto nonostante siano stati usati per l’acquisto della sua casa romana. Mentre l’ex governatore del Molise, Michele Iorio, si è visto cancellare solo in Cassazione la condanna a 18 mesi per abuso d’ufficio e ora può tornare a fare politica nella sua regione. Verso la prescrizione si avviano molti altri scandali come le frodi milionarie di "Lady Asl" alla sanità laziale, le grandi truffe sui farmaci, i danni subiti da migliaia di risparmiatori con i famigerati bond-spazzatura della Cirio (vedi box a pag. 37).
La prescrizione facile, in sostanza, costringe la giustizia italiana, già rallentata da mille cavilli e inefficienze, a una corsa contro il tempo che per molti reati è perduta in partenza. E a truccare l’orologio a favore dei colpevoli sono proprio leggi come la ex Cirielli. Per capire quanto siano ingiusti e spesso drammatici gli effetti della prescrizione all’italiana, basterebbe che i politici legislatori non ascoltassero solo gli avvocati-deputati degli inquisiti, ma anche le vittime dei reati.
VITTIME BEFFATE
«Mi chiamo Roberto Bicego, ho 66 anni, sono il primo paziente veneto a cui il luminare della cardiochirurgia Dino Casarotto aveva impiantato, nel novembre del 2000, una valvola-killer brasiliana, così chiamata perché scoppiava nel cuore dei pazienti. Quando si è saputo che aveva preso le tangenti dalle aziende fornitrici, il professore è stato arrestato e condannato in primo grado, ma non ha mai confessato niente, non ha chiesto scusa a noi malati, non ha risarcito nulla e in appello ha ottenuto la prescrizione. Io ho perso il lavoro, la salute, la tranquillità, ancora oggi ho dolori al torace. Il tribunale aveva accolto le richieste dei nostri legali, Giovanni e Jacopo Barcati, e ci aveva concesso un risarcimento provvisorio di 50 mila euro. Ma dopo la sentenza d’appello la direzione dell’ospedale di Padova ci ha intimato di restituirli con gli interessi. Adesso siamo noi a dover pagare i danni: roba da matti».
«Sono Giovanni Tomasi, figlio di Clara Agusti, che ha 74 anni e non può muoversi da casa. I medici dicono che mia madre ha subito troppe operazioni, per cui non può più sostituire le sue due valvole cardiache, anche se una è difettosa. Facendosi corrompere, è come se il chirurgo l’avesse condannata a morte. Eppure anche lei ha ricevuto questo decreto ingiuntivo che le impone di risarcire l’ospedale. Ma che giustizia è questa?». Condanna a morte non è un modo di dire: dei 29 malati di cuore che si erano costituiti parte civile nel processo di Padova, solo uno aveva rifiutato di rioperarsi: «È morto durante il processo, il giorno dopo una visita di controllo. Gli hanno trovato pezzi della valvola-killer in tutto il corpo».
«Sono Emanuela Varini, la moglie di Annuario Santi, che era un po’ il simbolo delle tante vittime di quelle valvole perché era rimasto paralizzato e seguiva tutte le udienze in carrozzella. Mio marito è morto nel 2008, non ha fatto in tempo a vedere che è finito tutto in prescrizione. Anche a Torino erano stati corrotti due chirurghi, ma hanno confessato e sono stati condannati: il professor Di Summa, quando ha visto mio marito in tribunale, è scoppiato a piangere e gli ha chiesto perdono. Il chirurgo di Padova invece non ha risarcito nessuno e dopo la prescrizione siamo ancora in causa con l’ospedale».
LADRI DI VITA
A Roma sono cadute in prescrizione tutte le appropriazioni indebite che hanno svuotato le casse di 29 cooperative edilizie che hanno lasciato senza casa circa 2.500 famiglie. L’ex dominus del "Consorzio Casa Lazio" e i suoi presunti complici restano sotto accusa soltanto per bancarotta, ma il processo, lungo e complicato come per tutti i fallimenti a catena, è ancora in primo grado e i risarcimenti restano un sogno. «Le vittime sono migliaia di poveracci che hanno pagato gli anticipi e sono rimasti senza casa», spiega un avvocato di parte civile, Fabio Belloni: «Ci sono molte giovani coppie che avevano impegnato la liquidazione dei genitori, operai e impiegati che hanno perso tutti i risparmi: il Comune ha dovuto aiutare gli sfrattati che erano finiti a dormire per strada. Centinaia di famiglie, dopo aver versato più di centomila euro ciascuna, ora hanno solo la proprietà di un prato in periferia, neppure edificabile».
A Milano è ancora fermo in appello, dopo le prime condanne e molte prescrizioni, il processo per le massicce attività di spionaggio illegale compiute dalla divisione sicurezza del gruppo Pirelli-Telecom tra il 2001 e il 2007, con la complicità di ufficiali corrotti anche dei servizi segreti: almeno 550 operazioni di dossieraggio che hanno colpito 4200 persone e decine di società private o enti pubblici. Lo scandalo aveva spinto il Parlamento a imporre per legge la distruzione dei dossier ricattatori: obiettivo raggiunto per i politici spiati, ma non per la massa di lavoratori e cittadini che avevano già subito i danni. E così, la prima vittima conclamata della banda dei super-spioni, il signor D.T., ex dirigente licenziato ingiustamente dalla filiale italiana di una multinazionale americana, non ha mai avuto giustizia, anche se l’intera maxi-inchiesta era partita proprio dal suo caso: «Sono stato spiato per mesi da una squadra di poliziotti corrotti, che per screditarmi non hanno esitato a inventarsi una falsa inchiesta per pedofilia», ricorda D.T. con voce disperata. «Sono stato mobbizzato, perseguitato per due lunghissimi anni: il manager che aveva pagato quel dossier 65 mila euro, ha diffuso quelle calunnie in tutta l’azienda, quindi i colleghi che mi erano amici hanno cominciato a chiamarmi "anormale", a farmi passare per folle... È stato un inferno, ho avuto un gravissimo esaurimento nervoso, da allora non ho più una vita normale. Ho saputo di essere stato spiato illegalmente solo quando il pm Fabio Napoleone ha trovato la mia pratica: ero il dossier numero 323. Dopo l’arresto, le spie hanno confessato tutto, ma i poliziotti corrotti non sono stati nemmeno processati: era tutto prescritto già all’udienza preliminare. Ho perso il lavoro, la fiducia in me stesso, la serenità familiare e nessuno mi ha risarcito».
PEDOFILI GRAZIATI
La legge ex Cirielli favorisce anche i colpevoli di reati odiosi come le violenze contro i bambini. A Roma sono già caduti in prescrizione tre dei quattro processi aperti contro R.P., un padre degenere accusato di aver maltrattato e picchiato la moglie, arrivando a cacciarla da casa di notte con una neonata, in un drammatico quadro di abusi sessuali sulla figlia minorenne che lei aveva avuto nel precedente matrimonio. Condannato per tre volte in primo grado, l’uomo ha sempre ottenuto la prescrizione in appello. Nel quarto processo, il più grave, ora è imputato di violenza sessuale sulla ragazzina, nonché di averla sequestrata, alla vigilia della deposizione, per costringerla a ritrattare: tribunale e corte d’appello lo hanno condannato a quattro anni e otto mesi, ma l’udienza finale in Cassazione è stata rinviata per un difetto di notifica al prossimo marzo, quando rischia di essere tutto prescritto. «Al di là dei risarcimenti, le vittime dei reati hanno soprattutto un desiderio di giustizia che si vedono negare», spiega l’avvocata Cristina Michetelli.
La ex Cirielli sta cancellando anche reati ambientali che minacciano intere comunità e compromettono la filiera alimentare. Della prescrizione facile hanno potuto beneficiare, tra gli altri, i diciannove inquisiti nella maxi-inchiesta sulle campagne avvelenate in Toscana e Lazio: sono imprenditori dello smaltimento, procacciatori d’affari e autotrasportatori che raccoglievano masse di rifiuti pericolosi, truccavano le carte, li riversavano negli impianti di compostaggio (rovinandoli) e poi li rivendevano come concimi da spargere nei terreni agricoli, che ora sono contaminati. In primo grado avevano subito condanne fino a quattro anni, con interdizione dalla professione, ma in appello la prescrizione ha cancellato anche i reati superstiti: ora sono tutti liberi e risultano incensurati, per cui possono tornare a fare il loro lavoro nel ciclo dei rifiuti.
IL BUCO NELLE LEGGI
A completare il quadro dell’impunità, oltre alla prescrizione facile, sono le lacune normative che impongono di assolvere l’imputato che abbia commesso fatti considerati illeciti dai trattati internazionali, ma non dalle leggi in vigore in Italia. Un esempio per tutti: Francesco Corallo, il re delle slot machine del gruppo B-Plus-Atlantis, è riuscito a far cadere l’accusa, che lo aveva costretto alla latitanza, di aver pagato tangenti a un banchiere, Massimo Ponzellini, in cambio di prestiti per 148 milioni di euro: la Popolare di Milano infatti ha ritirato la querela, rendendo così impossibile processare entrambi per quella «corruzione privata». Anche i grandi evasori che nascondono montagne di soldi all’estero non vengono quasi mai perseguiti dall’Agenzia delle Entrate, perché le prove raccolte con le indagini penali fuori dai confini nazionali non possono essere utilizzate dal fisco italiano: tra i beneficiari di questo divieto, spiccano l’ex ministro Cesare Previti e i suoi colleghi avvocati condannati per corruzione di giudici. E fino a quando non diventerà reato l’auto-riciclaggio, non sarà possibile punire neppure i boss mafiosi che hanno nascosto o reinvestito le ricchezze ricavate con il racket delle estorsioni o i traffici di droga: il codice attuale infatti permette di incriminare solo eventuali complici esterni, ma non direttamente i padroni dei tesori criminali. Benvenuti in Italia, il Paese dell’impunità per i ricchi e potenti.