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 2014  febbraio 15 Sabato calendario

MARCO BELINELLI USA ON THE ROAD


Quando la Snack Camera si sofferma su uomini, donne e ragazzini obesi mentre s’ingozzano di zucchero filato e altre schifezze, l’At&t Center scoppia in fragorose risate. Il lungo time-out di una partita un po’ noiosa, che gli Spurs stanno dominando, procura divertimento esagerato. «Qui è così: benvenuti in America», dice Marco Belinelll con una. punta di sarcasmo, parlando del suo nuovo palcoscenico: il quinto in 7 stagioni Nba. «Non sono riuscito a trovare un solo ristorante italiano decente», si lamenta tollerante. Quando vivi all’estero gran parte dell’anno (circa dieci mesi), i paragoni con San Giovanni in Persiceto, a un passo da Bologna, sono inevitabili. E durante la lunga chiacchierata, rilassato e riflessivo. Beli di confronti ne farà parecchi. Un onesto bilancio che gli farà ammettere: «Il mio futuro lo vedo in Italia. Qui sto bene, mi sento a mio agio, ma probabilmente perché so che la porta di casa mia è sempre aperta».
Ha percorso gli States in lungo e in largo, con una breve puntata (una stagione) anche in Canada, a Toronto («Ogni volta che ti muovevi dovevi passare la dogana, una vera rottura di scatole»). Un luogo liberal e cosmopolita come San Francisco; il profondo Sud, a New Orleans; le grandi metropoli, Chicago, e Toronto appunto; il vecchio West, ultimo dei suoi traslochi, a San Antonio. Ha già stilato la sua personale classifica, come fosse una guida Michelin: «San Francisco, Chicago e Toronto. Ma il basket non c’entra, perché del Canada ho i ricordi più brutti. È il campionato in cui non sono migliorato. Anche se la città è straordinaria. Vivevo a Yorkville, in centro, ristoranti e negozi alla moda. È ciò che mi piace, stare in mezzo ai posti belli, sentirmi circondato dalla gente. Come a Chicago: appartamento sull’elegante Michigan Avenue nel cuore della città».
Il basket non c’entra perché San Antonio, che ancora conosce poco è sistema sul fondo del ranking («ma la gente è proprio fantastica»), è dove invece sta ritagliandosi un ruolo da protagonista. Ora ha centrato pure il traguardo della convocazione all’All Star Game (nella gara dei tiri da tre), ma quello a cui punta è molto più ambizioso: «Voglio vincere il titolo. Lo sogno la notte e farei qualunque cosa; per riuscirci». E qui, in mezzo ai cowboy del Texas, cestisticamente parlando si sente come a casa. «Mi hanno accolto come uno di famiglia fin dal primo giorno», spiega. Il temuto coach, Gregg Popovich, lo ha abbracciato come fosse suo figlio. L’unica piccola e bonaria discussione con il rinomato allenatore, Beli l’ha avuta su un ristorante. Racconta: «Mi ha suggerito di andare in un posto che era tremendo e forse non si aspettava che io, uno appena arrivato, gli dicessi in faccia che era pessimo. Allora sapete cosa ha fatto Pop? Mi ha fatto trovare sullo sgabello di fronte all’armadietto dello spogliatoio un biglietto di prenotazione per Bliss, il top che c’è qui. Lo chef mi ha fatto assaggiare tutto il menù e naturalmente il conto non è mai arrivato. Capite che tipo è Pop? Non solo il più grande tecnico, ma una bellissima persona». Beli si esprime con un’inflessione bolognese che in questi anni non si è intaccata di una virgola. Anche quando ti parla della sua città preferita: «San Francisco è il mio primo amore. Quando ci vado in trasferta e passo il Golden Gate Bridge, ancora mi emoziono. Ero un ragazzino alla mia prima esperienza fuori casa, avevo scelto di vivere in un appartamento esageratamente grande a Berkeley e i compagni mi chiamavano “Cookie Monster”, perché non facevo altro che sgranocchiare dei biscotti appena scoperti. E poi mi ero creato un gruppo di amici con Andris Biedrins: fuori tutte le sere a mangiare. Perché è ciò che in assoluto mi diverte di più: le cene con gli amici. Sì, come a San Giovanni».
Riprende: «Anche a New Orleans c’era un bei giro, tanto tempo assieme a Peja Stojakovic. È il tiratore più forte che abbia mai visto. Mi ha insegnato un po’ di cose. Mi diceva: “Beli, quando tiri finisci il gesto della mano e mantieni sempre l’equilibrio”. Con lui facevamo balotta». Scusi? «Sì, balotta. Sono le uscite in banda, come a San Giovanni». Nostalgia canaglia. Ma gli amici laggiù, li sente? «Tutti i giorni, al telefono o via skype».
E te li cita uno a uno per nome e cognome: «Michele Serra, Andrea Garagnani, Matteo Savioli, Marco Barbieri, Alessandro Saponaro che però è di Castel Maggiore (quasi fosse una colpa; ndr) e vive a Miami». Si è mai sentito solo. Beli? Ci pensa su per un po’: «Sì, all’inizio l’idea mi spaventava. Però, crescendo, capisci che puoi star bene anche per conto tuo. Aiuta a riflettere e a occuparti delle tue cose». E qui a San Antonio, balotta la fa? «Ancora no. Gli amici sono i compagni, come Manu (Ginobili) o Boris (Diaw). Usciamo assieme in trasferta, ma qui è diverso perché alcuni sono sposati o fidanzati e non puoi chiedergli di uscire la sera».
E lei non ce l’ha la fidanzata? La domanda, diretta e personale, non sembra metterlo a disagio. «Mi dichiaro single. Mi diverto, conosco gente. Ma bisogna stare attenti. La Nba è informatissima sulle persone che frequenti e ti danno lezioni su come comportarti». Si ferma, sorride: «Le ragazze americane sono probabilmente più spontanee delle italiane. Ma credo abbastanza nel principio di “moglie e buoi...”. Sarà una cosa stupida da dire: a me piacciono le ragazze belle. Non faccio differenze fra bionde o brune». E si mette a ridere.
Confida che gli piace rimanere a casa nelle rare occasioni in cui non gioca: «Perché al ristorante voglio andarci in compagnia, mi scoccia mangiare da solo. In cucina non sono un fenomeno, ma una pasta al pomodoro, una bistecca e delle verdure riesco a farmele». Descrive la sua giornata tipo: «Quando arrivo dall’allenamento verso le tre, dedico due ore ai messaggi e alle telefonate. Poi, Rimetto sul megaschermo con Apple Tv. Amo i thriller e gli horror, ma se non c’è qualcuno con me sugli horror passo. Poi spippolo sulle partite Nba. Ne faccio scorpacciate. Cerco di guardare quelle in cui è impegnata la prossima avversaria. Mi fanno impazzire Charles Barkley e Shaquille nei panni di commentatori su Tnt». E ammattisce pure per gli shopping center, gli acquisti on line e le colazioni con pancetta, uova bianche e gialle. «E french toast», aggiunge. Continua: «Ho imparato a comprare su Internet. C’è un sito, Fancy, che vende di tutto: cucchiai, portacenere, lenzuola, cuscini, scarpe. E io compro, compro, compro. Ogni giorno mi arrivano scatoloni enormi. Accumulo roba. Mi piace vestirmi alla moda e, mesi dopo, ritrovo negli armadi magliette con lo scontrino ancora attaccato».
È l’anima del ragazzo di San Giovanni rimasta inevitabilmente contagiata dal virus dell’America. Se ne rende conto e lancia un avvertimento: «Forse non dovrei dirlo, ma a San Francisco, nel nostro giro, c’era un poliziotto. Molte multe, soprattutto per divieto di sosta, me le toglieva. Insomma, evitiamo di creare dei falsi miti, perché tutto il mondo è paese». Ma se fai il giocatore di basket e hai realizzato il sogno di venire nella Nba, allora è tutta un’altra storia.