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 2014  febbraio 20 Giovedì calendario

CALO D’ASCOLTI PER FAZIO CHE COPIA SE STESSO


Se l’ennesimo Festival di Fabio Fazio ha smarrito 2 milioni di spettatori e passa, il problema - direbbero gli storici - è l’«iterazione rituale». La grammatica della ripetizione. Fazio l’eversore pop, Fazio il Duchamp dei palinsesti, Fazio che ruppe le vecchie liturgie, oggi non fa altro che riproporre schema e codici di Che tempo che fa o Vieni via con me. Raitre sulla riviera. Non funzionano più l’arte dello spiazzamento (salvo nel caso dell’ospitata, modernissima, di Pif), le nozze coi fichi secchi tipiche dell’innovatore: la gente, oggi, da Fazio sa esattamente cosa aspettarsi. E quel che gli si propinata diventa, purtroppo, canovaccio trito, e scritto un po’ con presunzione. Premettiamo: sarebbe da idioti parlare di un flop (Sanremo rimane la finale di Champions di Raiuno). Ma è un dato: gli ascolti della kermesse sono calati rispetto allo scorso anno; e la qual cosa non è dovuta « all’avvio rallentato dovuto alla protesta degli operai». Anzi, l’aspirazione al suicidio dal loggione dell’Ariston possiede sempre una sua perversa attrattiva. Sanremo, però, registra, nella sua prima serata, 12, 4 milioni di media, pari al 45.77% di share, nella prima parte, 5, 68 milioni con il 47.14%. La media ponderata è pari a 10, 9 milioni con il 45.93%. Meno dello scorso anno, in cui il Festival di Fazio aveva totalizzato 14, 1 milioni pari al 47.60%, nella seconda 8, 1 milioni con il 53.53%. La media ponderata era stata pari a 12, 6 milioni con il 48.28%. A leggere la curva d’audience, il picco di share s’è avuto nel dialogo Littizzetto/ Carrà alle 23.30 col 55,36% sulla battuta di Lucianina: «Cha Cha Ciao se la canta la Mannoia la fermano i cani antidroga...». Il picco degli ascolti: alle 21.25 sopra i 16 milioni su un passo della Lettera a Sanremo di Luciana Littizzetto: «Di’ a George Clooney che si vuol bere un caffè in pace glielo offro io e glielo giro anche con la lingua»; e con Yusuf Cat Stevens 55.36%. Ma questi sono dati tecnici, che potrebbero annoiare. Oltre ad essere confutati da Viale Mazzini, che potrebbe tranquillamente sventolare, a sua difesa, i 9 milioni di pagine viste e l’aumento del traffico sul web, peggio della Capitale nell’ora di punta. Potrebbe, la Rai, a sua difesa, tirare in ballo la mitica «parcellizzazione dell’ascolto», o il concetto di spettatore «liquido» e «verticale». Ma non è questo il punto. Il punto è la struttura. E i contenuti del programma, abborracciati -data la spending review con la solita banda di amici che accorrono per farti un favore. Il filo conduttore di questo Sanremo è «la bellezza». Ma, a parte il tenero omaggio, non c’è nulla di bello nell’emiliano Ligabue che storpia con tutte le buone intenzioni Crêuza de mä di fabrizio De Andrè, in genovese; o nella Littizzetto che strizza, come al solito, gli occhi nella lettura del gobbo, veste da Bluebell e da Raffaella Carrà, duettando scompostamente con Raffa stessa; o nelle domande surreali che Litti fa ogni ospiti (alla Cagnotto: «non potrebbero tuffarsi Platinette e Fassino insieme? »), di solito un appannaggio di Dario Vergassola ai tempi di Serena Dandini. Il collega Massimo Bernardini, che sa di tv, scrive che «Fazio ha alle spalle una band autorale e registica molto più colta, impegnata, moderna e politicamente accorta di lui: scrittori, televisivi puri, artigiani della tecnologia visiva, professionisti efficientissimi ». Ed è vero, è un trust di cervelli.. Ma il problema è che non tutti i cervelli sono accesi contemporaneamente. Non si spiegherebbe, altrimenti, lo sketch con Letitia Casta, costruito sul triangolo del finto corteggiamento Casta/ Fazio/Littizzetto con quest’ultima affidataria del compito di strapazzare l’homme ridicule che Fabio interpreta. Tra l’altro in questa inedita -e stridente-presa di possesso del palco da parte di Fazio pochi s’avvedono dell’ispirazione al Raimondo Vianello del mitico Noi no ; dove Raimondo, in maglioncino da esistenzialista -lo stesso di Fazio-tentava d’impor re, al contempo, il suo teatro intellettuale alle telecamere e la sua corte serrata all’attricetta di turno. Solo che qui al posto del sarcasmo di Sandra Mondaini c’è quello della Littizzetto. E l’omaggio al Polvere di stelle di Sordi; e il Fazio che canta e recita nello spirito di Fiorello (o meglio del Vittorio Gassman del Mattatore Rai del ’59, testi, tra l’altro di Indro Montanelli) non danno l’impressione del nuovo. Danno, semmai, l’impressione del riempitivo. Con, tra l’altro, una dilatazione dei tempi narrativi nient’affatto proustiana.
Certo, un applauso va al professor Naldini, Garibaldi della ricerca medica che ricorda l’Italia migliore alla grande platea del nulla. Però, diamine, il resto sono la Carrà e Cat Stevens, e Gino Paoli, e le «grandi intese» col Club Tenco. Qualcuno-dicono Giancarlo Leone -sta già evocando Bonolis per il Festival dell’anno prossimo; ma è sbagliato. Basterebbe, forse, un «fazioso» cambio di passo. Se si sta immobili a contemplare i propri successi, è difficile. Poi, certo, Sanremo è sempre Sanremo...