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 2014  febbraio 20 Giovedì calendario

APPUNTI PER GAZZETTA - LA CRISI UCRAINA


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La tregua annunciata mercoledì dal presidente Viktor Yanukovich è durata appena qualche ora. Le proteste a Kiev sono riesplose, se possibile, più violente di prima. Dopo i 28 morti di mercoledì, giovedì il bilancio degli scontri sarebbe di «almeno 100 morti e oltre 100 feriti», come ha riferito alla Cnn il capo dei servizi medici a Kiev. 67 i poliziotti fatti prigionieri dai manifestanti. La polizia ucraina ha invitato gli abitanti della capitale ucraina a restare a casa.
50 POLIZIOTTI PRIGIONIERI - Giovedì il Parlamento è stato evacuato. Spari, fumo e esplosioni sono segnalate vicino al palazzo presidenziale. La polizia della Transcarpazia, regione sud-occidentale dell’Ucraina, è passata dalla parte dei manifestanti: secondo il sito Gazeta.ru i comandanti regionali e delle truppe speciali avrebbero prestato «giuramento al popolo» nel palazzo della Regione occupato dai manifestanti. Gli insorti hanno fatto prigionieri oltre 67 poliziotti, come confermato dal ministero dell’Interno e li hanno portati in un edificio occupato, facendoli passare attraverso un corridoio umano di dimostranti antigovernativi. Il ministro degli Interni ucraino Vitaly Zacharenko ha autorizzato le forze di polizia ad aprire il fuoco contro gli oppositori «per autodifesa»
LA PROTESTA A SOCHI - La protesta è arrivata fino a Sochi, la città russa dove sono in corso le Olimpiadi invernali. Giovedì la delegazione olimpica ucraina ha osservato un minuto di silenzio per ricordare le vittime. La sciatrice Bogdana Matsotska ha annunciato in un primo momento di rifiutarsi di gareggiare ancora, accusando Yanukovich di «irresponsabilità». Una protesta ridimensionata poi dal Comitato olimpico ucraino: gli atleti che devono ancora gareggiare alle Olimpiadi di Sochi resteranno, mentre quelli che hanno già partecipato torneranno secondo il calendario prestabilito.
LA TROIKA A KIEV - Mentre la città brucia, è terminato l’incontro a Kiev tra Ianukovich ed i ministri degli Esteri tedesco, polacco e francese. I ministri, all’uscita, non hanno voluto fare dichiarazioni. Secondo fonti europee, restano per ora a Kiev, dove è atteso anche un mediatore russo. Prima dei colloqui il ministro degli Esteri francese Laurent Fabius era stato chiaro: «Dirò che bisogna fermare la violenza, che è evidentemente inaccettabile, e che ci prepariamo ad adottare sanzioni contro i responsabili della violenza».
LE SANZIONI - Fabius ha spiegato su Twitter che le sanzioni riguardano «la revoca dei visti e la sorveglianza, nonché il congelamento dei beni di un certo numero di responsabili» di Kiev. Si dovrà aspettare comunque l’esito del summit del pomeriggio a Bruxelles per sapere il prossimo passo dell’Ue. Con il crescendo delle violenze, quindi, la posizione del presidente diventa di ora in ora più delicata. Anche alla luce della presa di posizione della Nato: «Invito fortemente il governo ucraino ad astenersi da ulteriore violenza. Se i militari interverranno contro l’opposizione, i legami con la Nato saranno seriamente danneggiati», ha detto durante la notte il segretario generale dell’Allenaza Atlantica, Anders Fogh Rasmussen.

ANSA.IT
1 - UCRAINA: GB CONVOCA AMBASCIATORE UCRAINO A LONDRA
(ANSA) - L’ambasciatore ucraino a Londra, Volodymyr Khandogiy, e’ stato convocato oggi al Foreign Office in seguito alle notizie di gravi violenze questa mattina a Kiev. Lo rende noto lo stesso ministero britannico degli Esteri.
UCRAINA NEL SANGUE SCONTRI E MORTI A KIEVUCRAINA NEL SANGUE SCONTRI E MORTI A KIEV

2 - UCRAINA: MEDIA,ALCUNI MANIFESTANTI UCCISI DA CECCHINI
(ANSA) - Alcuni dei dimostranti uccisi negli scontri in corso a Kiev sarebbero stati uccisi da cecchini del governo. E’ quanto sostiene il Telegraph on line che ha raccolto la testimonianza di manifestanti. "Questi sono proiettili veri. Potete vedere cosa hanno fatto. Quest’uomo, e altri come lui, sono stati uccisi con un colpo alla testa, al collo o al cuore. Nessuno di loro ha riportato ferite alle gambe", ha detto il manifestante, che ha dato il nome di Andreiy, citato dal Telegraph, indicando alcuni cadaveri portati sotto la tenda di un caffè a piazza Maidan. Secondo Andreiy, é stato un cecchino ’professionale’ del governo a sparare. Il governo di Kiev ha sempre assicurato che le forze dell’ordine stanno agendo con moderazione
UCRAINA NEL SANGUE SCONTRI E MORTI A KIEVUCRAINA NEL SANGUE SCONTRI E MORTI A KIEV

3 - BAGNO SANGUE",SINDACO KIEV LASCIA IANUKOVICH
(ANSA) - Il capo dell’amministrazione comunale di Kiev e facente funzione di sindaco, Volodimir Makeienko, si è dimesso dal partito delle Regioni del presidente ucraino Viktor Ianukovich e ha detto di essere "disposto a fare qualunque cosa possibile per fermare il bagno di sangue e il fratricidio nel cuore dell’Ucraina". Lo fa sapere l’agenzia Interfax.

4 - POLIZIA AD ABITANTI KIEV, RESTATE A CASA
(ANSA) - La polizia ucraina invita gli abitanti di Kiev a restare a casa. Lo fanno sapere i media locali riportando le indicazioni del ministero dell’Interno. ’’In questo momento è opportuno limitare gli spostamenti in auto e non scendere in strada. Nelle strade di Kiev ci sono persone armate con intenzioni aggressive’’ avverte il ministero.
UCRAINA NEL SANGUE SCONTRI E MORTI A KIEVUCRAINA NEL SANGUE SCONTRI E MORTI A KIEV

5 - MOSCA AVVERTE KIEV, AUTORITÀ NON SIANO ZERBINO
(ANSA-AFP) - Non collaboreremo con un governo "zerbino" ma con autorità "legittime", "efficaci" e in grado di difendere "gli interessi dello stato". E’ l’avvertimento del premier russo Dmitri Medvedev. "Bisogna che i nostri partner abbiano autorità, che il potere in Ucraina sia legittimo ed efficace - ha detto - e che non venga calpestato come uno zerbino".

6 - UCRAINA: DECINE DI MORTI, CIFRA INCERTA FINO A 36
(ANSA) - Non è chiaro quante persone siano morte negli scontri di stamattina tra polizia e insorti a Kiev, ma potrebbero essere decine. Secondo il Kyiv Post le vittime tra i manifestanti sono almeno 35. Interfax parla invece di 13 cadaveri vicino a una fermata del bus. Il ministero dell’Interno riferisce di un poliziotto morto per un colpo d’arma da fuoco. Anche Gazeta.ru parla di 35 persone morte, ma non è chiaro se in questa cifra sia incluso o meno l’agente ucciso. Il Kyiv Post riferisce di 10 cadaveri nella hall dell’Hotel Ukraina, tre in viale Khreshatik e 15 nell’hotel Kozatski, dove sembra che saranno presto portati i corpi senza vita di altri sette insorti.

KIEV - Non regge che poche ore a Kiev la tregua annunciata dal presidente Viktor Yanukovich: a piazza Maidan, al centro della protesta filo-europea e anti-governativa, sono ripresi gli scontri tra agenti e frange radicali dei manifestanti. La polizia ucraina ha invitato i residenti a Kiev a non uscire di casa. Mentre il clima si fa sempre più teso, il ministro degli Esteri, Emma Bonino ha annunciato da Bruxelles che l’Ue ha deciso di procedere con l’adozione del blocco della concessione dei visti ed il congelamento dei beni di quanti sono responsabili delle violenze ucraine. "La decisione è di procedere molto rapidamente, nelle prossime ore al blocco dei visti ed al congelamento dei bene di coloro che hanno commesso le violenze", ha dichiarato Bonino lasciando la riunione dei ministri degli Esteri Ue.

Duro il monito della Casa Bianca a Yanukovich: deve ritirare immediatamente la sue forze di sicurezza e rispettare il diritto a una pacifica protesta. Gli Stati Uniti sono "indignati dalle immagini delle forze di sicurezza ucraine che usano armi automatiche contro il loro stesso popolo", ha affermato il portavoce della Casa Bianca Jay Carney, sottolineando che "l’uso della forza non risolverà la crisi". Gli Usa, ha aggiunto, lavoreranno con gli alleati europei per individuare i responsabili delle violenze.

Ultimatum del governo: "Via le armi". Il governo ucraino ha invitato i ribelli a consegnare "volontariamente le armi" e i leader dell’opposizione a "non sostenere le azioni dei radicali". Il ministro ad acta dell’Interno, Vitaly Zakharchenko, non ha indicato orari o limiti di tempo precisi, ma ha lasciato intendere chiaramente che le forze dell’ordine hanno ricevuto incarico di applicare la linea dura con gli oppositori armati. Il monito arriva contemporaneamente alle notizie su un gruppo di insorti che tentano di raggiungere il palazzo della presidenza, presidiato da diversi cordoni di polizia.

Nuove vittime. Nelle ultime ore altre vittime si aggiungono al bilancio già pesante di 28 morti e 287 feriti registrato fino a ieri. Le cifre si rincorrono, ma secondo quanto ha detto il coordinatore dell’assistenza medica dei manifestanti, Oleh Musiy, i morti sono 70, mentre i feriti circa 500. L’ambasciatore italiano a Kiev, Fabrizio Romano, citato da Rainews24 aveva parlato di almeno 50 morti. Cifre, però, ridimensionate dal ministero della Sanità, secondo il quale da martedì - giorno in cui la protesta contro il governo è diventata violenta - sono rimaste uccise 67 persone (39 oggi) e ferite 551.

Nella centrale piazza Indipendenza un centinaio di uomini armati ha attaccato le barricate della polizia. Il cordone degli agenti a un certo punto è stato "forzato" dai manifestanti e le forze dell’ordine sono state costrette a indietreggiare. I rivoltosi hanno ora il controllo di quasi tutta la piazza, teatro degli scontri che hanno fatto almeno 28 morti e 287 feriti in una settimana. Gli agenti hanno sparato proiettili di gomma per respingere l’attacco, portato a termine con sassi e bottiglie molotov. La polizia ucraina ha ammesso, poi, di aver utilizzato armi da fuoco contro i manifestanti per "legittima difesa". Il governo ha anche accusato gli insorti di utilizzare un cecchino: "Sta sparando sulla polizia dall’edificio del conservatorio di Kiev" che si affaccia su Maidan. Il cecchino avrebbe fatto almeno 20 feriti.

Infermiera colpita su Twitter: "Muoio". Un’infermiera ucraina ventunenne, colpita alla gola, ha scritto su Twitter "Muoio". Olesya Zhukovskaya era in piazza per protestare contro il governo di Kiev. Di lei si sa solo che è stata colpita al collo, come dimostra una foto che la ritrae mentre tiene una mano sulla ferita e nell’altra stringe il telefonino, mentre viene soccorsa e la sua giacca bianca si ricopre di sangue. Il messaggio ha fatto il giro della rete. Centinaia di messaggi hanno seguito quello di Olesya, qualcuno su Facebook ha scritto che è viva, attaccata ad un respiratore, mentre altri hanno confermato che la ragazza è morta, poco dopo il suo tweet.
Sessantasette agenti fatti prigionieri. Gli insorti ucraini hanno fatto prigionieri sessantasette poliziotti e li hanno portati in un edificio occupato vicino al municipio di Kiev facendoli passare attraverso un corridoio umano di dimostranti antigovernativi. "Ricorreremo a qualsiasi mezzo legale per liberarli, compreso l’uso delle armi", si legge in un comunicato del ministero dell’Interno.
Palazzi Parlamento e governo evacuati. Ordinata l’evacuazione dei palazzi del Parlamento e governo per motivi di sicurezza. Deputati e impiegati hanno lasciato il palazzo della Verkhovna Rada, secondo l’agenzia Interfax. Il Parlamento ucraino ha sospeso le sessioni in programma per oggi e domani. Anche agli impiegati dell’amministrazione presidenziale è stato ordinato di tornare nelle proprie abitazioni.
Polizia Transcarpazia passa con mainfestanti. La polizia della Transcarpazia, regione sud-occidentale dell’Ucraina, è passata dalla parte dei manifestanti. La notizia è stata data dalla Gazeta.ru, che ha aggiunto che i comandanti regionale e delle truppe speciali hanno prestato "giuramento al popolo" nel palazzo della Regione, occupato dai dimostranti.

Crimea pronta a secessione. La Crimea è pronta a lasciare l’Ucraina se il Paese dovesse frantumarsi. "Tutto fa pensare che si vada in questa direzione", ha dichiarato il presidente della Rada della penisola, Vladimir Kostantinov, riproponendo così di fatto uno scenario di indipendenza in stile "Ossezia del sud" per la regione. La Crimea, dono di Kruscev a Kiev nel 1954, dopo 171 anni di dominio di Mosca, è la tradizionale roccaforte della popolazione russa dell’Ucraina (l’unica regione in cui gli ucraini russi sono la maggioranza, il 60% dei circa due milioni di abitanti) oltre che base della flotta del Mar nero russa a Sebastopoli, con accordi di affitto rinnovati per 25 anni subito dopo il ritorno di Viktor Yanukovich al potere nel 2010.

Sindaco Kiev lascia partito Yanukovich. Il sindaco facente funzione di Kiev, Volodymir Makeienko, abbandona il Partito delle regioni del presidente Viktor Yanukovich in segno di protesta contro il "bagno di sangue e la lotta fratricida" in corso nella capitale. "Sono pronto a fare di tutto per fermare" la carneficina in corso sulla Piazza Maidan, ha aggiunto Makeienko, nominato a capo del consiglio comunale da Yanukovich solo alla fine del mese scorso.

VIDEO / Spari in strada: manifestante si accascia

Leader opposizione: "Elezioni anticipate unica soluzione". Il leader dell’opposizione ucraina, Vitali Klitschko, chiede al presidente Viktor Yanukovich di indire elezioni parlamentari anticipate. "Questa è la sola via per fermare la violenza", ha detto l’ex pugile in una dichiarazione televisiva. Ha anche fatto appello al popolo perché "si unisca allo scopo di proteggere le vostre vite, salute e proprietà". Ha aggiunto: "Agite insieme con vicini e amici, non permettete la violenza nelle vostre strade".

Merkel telefona a Yanukovich: "Accetti mediazione Ue". La cancelliera tedesca Angela Merkel ha avuto una conversazione telefonica con il presidente ucraino, ha riferito il suo portavoce Steffen Seibert, e ha ’’condannato duramente’’ la recente esplosione di violenza. ’’Tutte le parti devono immediatamente prendere distanza dalle violenze e mettere in atto la tregua concordata. La responsabilità maggiore è dalla parte del governo’’, ha detto Merkel, che ha parlato di "rischi incalcolabili", se si perderà tempo nel mettere fine allo scontro. La cancelliera ha fatto pressioni perché Yanukovich accetti la mediazione della Ue per la soluzione della crisi.

Ministri europei restano a Kiev. Le violenze sono riprese mentre nella capitale ucraina sono arrivati per conto della Ue i ministri degli Esteri francese, tedesco e polacco, oltre a un inviato da Mosca, per incontrare i rappresentanti del governo e dell’opposizione. A quanto riferito in mattinata, i ministri europei avevano deciso di cancellare, per motivi di sicurezza, l’incontro con il presidente Yanukovich: "Non c’è più alcun luogo sicuro nel centro di Kiev", ma un consigliere del presidente ucraino ha fatto sapere che il vertice si è svolto ed è durato cinque ore. Nel pomeriggio l’inconto con i tre leader dell’opposizione ucraina. Dato l’aggravarsi della crisi, i tre ministri europei restano a Kiev, in costante collegamento con Bruxelles, dove oggi si è svolta una riunione straordinaria dei ministri degli Esteri dell’Unione europea per valutare l’imposizione di sanzioni. "Se il Governo ucraino non cesserà le violenze, il prossimo passo dell’Unione Europea saranno le sanzioni", ha detto il Presidente dell’Europarlamento, Martin Schulz. "Le sanzioni - prosegue Schulz - dovranno limitare la possibilità di azione a coloro che stano prendendo le decisioni in Ucraina. Le sanzioni dovranno servire per fermare la violenza". L’Europa deve agire in Ucraina "in modo molto deciso, ma anche graduale" perché "ho come l’impressione che la crisi sarà piuttosto lunga", ha detto la ministro degli esteri Emma Bonino, che ha insistito sulla necessità di valutare, oltre alle sanzioni, interventi umanitari e di sostegno ai feriti.
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"La priorità immediata e urgente è evitare ulteriore spargimento di sangue e salvare vite umane" durante le proteste in Ucraina, sostiene il presidente della Commissione europea, José Manuel Barroso, in un post su Twitter in cui dice di aver discusso della situazione ucraina con il premier ceco Bohuslav Sobotka, in visita a Bruxelles.


Via dalle Olimpiadi, ma solo chi ha gareggiato. Non tutti gli atleti ucraini lasceranno le Olimpiadi, ma solo chi non ha più gare in programma. Contrariamente a quanto era stato detto in precedenza,
gli atleti ucraini che devono ancora gareggiare resteranno a Sochi
mentre quelli che hanno già partecipato tornano secondo il calendario prestabilito: lo ha reso noto il Comitato olimpico ucraino sul proprio sito.

Monito di Mosca: "Non cancelliamo prestito, ma no a governo ’zerbino’". La Russia non intende sospendere gli aiuti economici e la cooperazione con l’Ucraina, ma "perché questo avvenga in Ucraina ci devono essere autorità legittime e in grado di agire, non autorità su cui qualcuno possa pulirsi i piedi", ha dichiarato il premier russo Dmitri Medvedev, lanciando un avvertimento a Ue e Usa. Mosca è contraria a questa soluzione e lascia chiaramente intendere che la linea di credito da 15 miliardi concordata con il presidente Yanukovich potrebbe essere chiusa se a Kiev dovesse arrivare un governo che la Russia consideri burattino nelle mani dei Paesi occidentali. La minaccia dell’Occidente, secondo il ministro degli Esteri russo, Sergei Lavrov, è un ricatto e dà due pesi e due misure. Intanto il presidente russo Putin ha inviato in Ucraina un mediatore, per affiancare il governo ucraino nei negoziati con l’opposizione, ha detto il portavoce del Cremlino, Dmitri Peskov, precisando che la decisione è stata presa su richiesta del presidente Viktor Yanukovich

LA CRISI IN NOVE PUNTI
FEDERICA SENEGHINI
Da circa tre mesi una grossa crisi sconvolge l’Ucraina. Ecco alcuni punti chiave per tentare di ricostruire il filo della vicenda.

Viktor Yanukovic (Epa)Viktor Yanukovic (Epa)1) Cosa ha dato il via alle proteste?
Le manifestazioni sono iniziate a fine novembre, dopo che - il 21 - il governo del presidente Viktor Yanukovich (filorusso) ha fatto marcia indietro sulla firma dell’accordo di associazione con la Ue. Rilanciando così le relazioni economiche con la Russia. In migliaia si sono riversati nelle strade di Kiev, chiedendo a Yanukovich di andare avanti sull’accordo.

2) Quando è scoppiata la violenza?
Le proteste, iniziate in modo pacifico, prendono ben presto una piega violenta. Il 30 novembre forze dell’ordine e manifestanti si scontrano per la prima volta. 35 persone vengono arrestate. Le immagini di dimostranti feriti incendiano ancora di più la piazza. Il giorno dopo, il 1° dicembre, circa 300 mila persone si riversano in strada. È la più grande manifestazione a Kiev dai tempi della Rivoluzione Arancione del 2004. L’Ue condanna le repressioni.

3) Cosa ha fatto la Russia?
Il 17 dicembre, Russia e Ucraina annunciano un accordo per cui il Cremlino investirà 15 miliardi di dollari in titoli di stato ucraini e ridurrà di un terzo il prezzo del gas che vende al Paese. L’annuncio apparentemente ha l’effetto di calmare le proteste. Ma il pestaggio, il 25 dicembre, della giornalista Tetyana Chornovol, le riaccende.

4) Come ha reagito il governo?
Il 16 gennaio il governo adotta leggi liberticide che prevedono restrizioni per i raduni e pene severe per chi partecipa a cortei non autorizzati. Il pugno duro di Yanukovich innesca una seconda ondata di proteste, a Kiev e in altre città del Paese. La repressione è violenta.

5) Quante persone sono morte?
Il 22 gennaio due persone vengono uccise durante gli scontri con la polizia, un manifestante viene trovato morto vicino alla capitale. Il 25 gennaio un quarto dimostrante muore in ospedale. Il governo annuncia la morte di un poliziotto durante gli scontri a Kherson. Il 31 gennaio le foto choc dell’attivista Dmytro Bulatov, pestato e torturato, fanno il giro del mondo. La Casa Bianca si dice «allibita». Ma il giorno più duro della protesta ucraina è il 18 febbraio: 26 persone muoiono durante gli scontri.

6) Chi è a capo del movimento di protesta?
I leader dell’opposizione sono 1) L’ex pugile Vitali Klitschko, deputato presso l’Alleanza democratica ucraina per la riforma: sostenitore dell’Unione europea vuole candidarsi alla presidenza del paese nelle elezioni del 2015; 2) L’ex ministro degli Esteri Arseniy Yatsenyuk, del partito di Yulia Timoshenko (ex primo ministro, ora agli arresti), seconda forza politica del paese; 3) Oleh Tiahnybok, leader dei nazionalisti di estrema destra di «Svoboda» (Libertà).

7) Come sono andate avanti le trattative?
Il 23 gennaio, dopo un vertice tra Yanukovich e i leader dell’opposizione, viene annunciata una «tregua». Ma dura poco. Gli scontri riprendono nella notte. Il 25 gennaio il presidente propone riforme e il ruolo di premier all’opposizione. L’offerta viene rifiutata. I leader della protesta chiedono le dimissioni del presidente e nuove elezioni. Il 28 gennaio l’opposizione riesce ad ottenere l’abrogazione delle leggi anti-protesta e le dimissioni in toto del governo guidato da Mikola Azarov. Il giorno dopo, il Parlamento approva un amnistia «condizionata» per i manifestanti finiti dietro le sbarre durante le proteste: usciranno di galera solo dopo che i dimostranti avranno liberato i 25 edifici pubblici occupati nell’intero Paese. I leader dell’opposizione non partecipano al voto e giudicano inaccettabili le condizioni imposte dalla maggioranza. Chiedendo nuove elezioni.

8) Quando sono ricominciate le proteste?
Dopo il ritiro delle leggi anti protesta, a Kiev torna una calma apparente. Sembra che la palla sia passata nelle mani del Parlamento, peraltro diviso e bloccato su molte posizioni. La violenza riesplode il 18 febbraio. La polizia blocca manifestanti che marciavano sul Parlamento, dove le modifiche costituzionali per ridurre i poteri del presidente non sono state discusse. 26 persone (7 poliziotti e 13 dimostranti) muoiono negli scontri a Kiev. I feriti sono centinaia. Il 19 febbraio Yanukovich annuncia una «tregua». Ma le proteste vanno avanti.

9) Qual è la posizione dell’Europa?
Di fronte all’ultima impennata di violenze l’Europa inizia a considerare di imporre sanzioni alle autorità di Kiev. Francia e Germania chiedono «sanzioni mirate e graduali». La Polonia invoca un intervento più severo. L’Italia non esclude «il ricorso a misure restrittive eccezionali in caso di continuazione delle violenze».

CRONOLOGIUA DELLA PROTESTA
20 febbraio - La tregua dura l’arco di una notte e finisce in un altro bagno di sangue. Secondo il capo dei servizi medici di emergenza dei dimostranti, i morti sono circa 100. 500 i feriti. La polizia della Transcarpazia, regione sud-occidentale dell’Ucraina, passa dalla parte dei manifestanti. Il capo dell’Amministrazione della città di Kiev, Volodymyr Makeyenko, lascia il Partito delle regioni di Yanukovych. La polizia ucraina invita gli abitanti di Kiev a restare a casa.

19 febbraio - Dopo un’altra giornata di proteste, Yanukovich annuncia una «tregua» per «fermare il bagno di sangue». Ma le proteste continuano.

18 febbraio - Le manifestazioni ricominciano dopo che, in Parlamento, le modifiche costituzionali per ridurre i poteri del presidente non vengono discusse. I dimostranti riprendono il controllo di Maidan e del municipio di Kiev. Almeno 28 persone muoiono nel giorno più sanguinoso dall’inizio della rivolta ucraina. I feriti sono centinaia.

16 febbraio - I manifestanti lasciano il municipio di Kiev, occupato dal 1° dicembre insieme ad altri edifici pubblici.

14 febbraio - Le 234 persone arrestate a dicembre vengono rilasciate, ma le accuse contro di loro rimangono.

GENNAIO 2014

31 gennaio - L’attivista ucraino Dmytro Bulatov, di cui si erano perse le tracce dal 22 gennaio, viene ritrovato pestato e con parte dell’orecchio destro tagliato. Racconta di essere stato sequestrato e brutalmente torturato.

29 gennaio - Il Parlamento approva un’amnistia per i manifestanti arrestati durante le proteste: usciranno di galera dopo che avranno liberato i 25 edifici pubblici occupati nell’intero Paese. L’opposizione rifiuta la proposta e chiede un’amnistia «incondizionata».

28 gennaio - La protesta continua. Il primo ministro Mykola Azarov si dimette. Il Parlamento annulla le contestate leggi anti protesta.

24 gennaio - I manifestanti assaltano i palazzi governativi nell’Ovest del Paese.

22 gennaio - Il pugno duro di Yanukovich innesca una seconda ondata di proteste. Ci sono i primi morti. Due persone vengono uccise in piazza durante gli scontri con la polizia. Un terzo manifestante viene ritrovato morto poco fuori città. Tre giorni dopo, il 25 gennaio, un altro dimostrante muore in seguito alle ferite riportate in piazza. Muore anche un poliziotto.

16 gennaio - Il Parlamento approva leggi anti protesta che prevedono restrizioni per i raduni e pene severe per chi partecipa a cortei non autorizzati.

DICEMBRE 2013

25 dicembre - La giornalista ucraina Tetyana Chornovol viene pestata a sangue. Le immagini fanno il giro del mondo e riaccendono le proteste.

17 dicembre - Russia e Ucraina annunciano un accordo per cui il Cremlino investirà 15 miliardi di dollari in titoli di stato ucraini e ridurrà di un terzo il prezzo del gas che vende al Paese.

14 dicembre - Manifestazione pro-governo a Maidan.

8 dicembre - Una folla enorme di persone - circa 800.000 mila persone - si riversa a Maidan.

1 dicembre - I manifestanti occupano il municipio di Kiev e Maidan. Circa 300 mila persone si riversano in strada. È la più grande manifestazione a Kiev dai tempi della Rivoluzione Arancione del 2004.

NOVEMBRE 2013
30 novembre - Primi scontri tra manifestanti e forze dell’ordine. 25 persone vengono arrestate. Immagini di dimostranti feriti fanno il giro del mondo.

24-25 novembre - Manifestazione pacifica a Kiev. 100.000 persone si riversano in piazza.

21 novembre - Il governo del presidente filorusso Viktor Yanukovich fa marcia indietro sulla firma dell’accordo di associazione con la Ue. Rilanciando così le relazioni economiche con la Russia.

BATTISTINI
Proteste e paura a Kiev. Ora l’Europa e Obama minacciano le sanzioni

Non si ferma l’ondata di violenza in Ucraina. I ministri degli Esteri di Francia, Germania e Polonia arriveranno oggi tra le barricate in fiamme di Kiev, per incontrare Yanukovich e alcuni capi dell’opposizione. Riferiranno quel che hanno visto e sentito ai colleghi europei riuniti a Bruxelles in un vertice di emergenza. Le posizioni della Ue non sono concordi, ma Hollande e Merkel, che tratta con Putin, hanno chiesto ieri «sanzioni mirate e graduali».
Intanto, l’esercito ucraino, il cui capo è stato sostituito, si prepara a scendere in campo con un’«operazione antiterrorismo». Obama ammonisce: «Militari, non intervenite». Dopo i 26 morti degli scontri del primo giorno, tutte le strade intorno alla fortezza di piazza Maidan sono bloccate.
La prima linea è un ammasso di pietre e di uomini che lascia fuori un pezzo di Maidan.

Ci si arrampica a fatica, ci si fa largo finché si può. Puzza di piscio. Nella fanghiglia, cotone insanguinato. I duri della piazza fanno catena, casco e ginocchiera. Si danno il braccio e il coraggio. Dietro, una spianata di bottiglie già pronte con la benzina e i pentoloni di borsch che fumano come macerie. Il cordone dei soldati armati è a cinquanta metri, non di più. Battono il manganello sugli scudi e fanno «oh!-oh!-oh!». «Mordor!», gli rispondono dal di qua: lo chiamano come la terra oscura di Tolkien, quell’aldilà di botte e di manette.

La battaglia di ieri ha lasciato ventisei morti e nessuno sa bene quanti feriti, perché molti in ospedale non ci vanno: han paura d’essere arrestati. Non c’è tempo di contare le vittime, se ne aspettano altre. «Abbiamo perso il 60 per cento di chi sa combattere: uccisi, feriti o arrestati». La perdita più sofferta è Andrij Parubiy, il deputato del partito di Yulia Timoshenko: da tre mesi era lui a coordinare le barricate, organizzare le trentasei centurie del servizio d’ordine, a tenere a bada gli scalmanati della destra radicale. Andrij adesso è in rianimazione, la situazione è sfuggita di mano e bisogna fare con chi c’è.

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Le aiuole diventano trincee scavate nella terra. I sampietrini vengono staccati, spezzati, accumulati. L’accademia musicale Tchaicovskij, bruciato il palazzo dei sindacati che faceva da quartier generale, è diventata mezza mensa e mezza farmacia. Il monastero di San Michele si trasfigura in una corsia d’ospedale. L’ufficio postale, nell’arsenale. Quattro ore di guardia e quattro ore di sonno. Il resto è preghiera, sigarette, una paura da non dire. «Tremo ma non lo dico», espira Oleksander, 28 anni, che sa l’italiano perché da bambino lo portavano in vacanza a Sorrento: «Ho un caseificio, ma esportavo tutto in Bielorussia. E siccome adesso sto con Maidan, per i russi sono come uno di Al Qaeda: nessuno mi compra più nulla. Ho paura che ci massacrino. E ho più paura di quest’attesa».
Fatevi sotto, facciamola finita.

Aspettando la nuova battaglia, si simulano tregue: il presidente Viktor Yanukovich ne annuncia una al buio, nel senso dell’orario e del significato: incontra l’opposizione, poi smentisce tutto e ripete che s’è «passato il limite», i leader avversari saranno processati e «la piazza sarà evacuata». No chance: dove una settimana fa s’esibiva il pianista mascherato col mefisto e ballavano i bambini, ora risuona l’inno nazionale. Mani sui cuori, nervi tesi. Tutte le strade intorno a Maidan sono bloccate, vuote le scuole, sbarrati gli uffici. Kiev città chiusa già dall’aeroporto, quattro chilometri di coda, controllo a rilento dei documenti: per arrivare al cuore della rivolta, si deve guidare nei boschi. È già una legge marziale. L’esercito ha il permesso di sparare, d’arrestare chiunque compia «atti illegali» (e per essere fuorilegge basta una scheda telefonica agganciata, anche un giorno, alle cellule di piazza Maidan…). L’Uefa fiuta l’aria pesante e manda la Dinamo Kiev a giocare a Cipro. Gli Usa perdono la pazienza e cominciano a cancellare qualche visto ai più compromessi dei capataz. Fiato sprecato, il portavoce di Putin che chiede all’Occidente di «convincere gli oppositori al dialogo». O Sergei Bubka, il campione del salto con l’asta, che da filorusso invoca «lo stop alle violenze da ogni parte, non esiste una “loro” Ucraina contro una “nostra” Ucraina…». Yanukovich, ormai l’obiettivo della protesta, parla di «tentato golpe delle folle» e cambia il capo delle forze armate: partirà «un’operazione antiterrorismo» in tutto il Paese, e nell’annuncio non c’è nulla di buono.
Mancano patate, acqua, legna, medicinali.

Gli appelli della piazza corrono su Facebook ma nessuno, my God Maidan, osa scrivere quel che manca sul serio: un vero leader. Si squagliano quei pochi capetti che ora servirebbero a tenere la piazza, a evitare altro sangue. Il pugile Klitschko, il dottor sottile Yatseniuk, il milionario Poroshenko parlano nascosti. Scioccati. Spiazzati. Senza quid. «Non è stata Pravi Sektor, la destra radicale, a scatenare la battaglia com’era accaduto in gennaio — spiega Katerina M. — ma è vero che molti non ne possono più di tre mesi di pianisti, comizi, tornei di scacchi, un happening pacifico e senza sbocchi… La maggioranza ormai spinge per la linea durissima». I nazistoidi, gli anarchici, i cani sciolti rischiano di trascinare tutta la piazza: contestano i parlamentari filoccidentali quasi quanto i filorussi, martedì si sono ripresi il municipio che la dirigenza di Maidan aveva deciso di sgomberare. La destra estrema non riconosce capi, e molti se ne infischiano del sogno europeo. Quando girano per la piazza, mascherati e con le asce, la folla si apre. Hanno solo un gruppo di amici, «gli afghani»: vecchi reduci delle guerre sovietiche, sotto una tenda verde militare, venuti ad addestrare quest’armata di popolo. Soldati al di là, soldati al di qua: giù la maschera, sparate pure sul pianista.

RAMPINI SU REPUBBLICA
L’origine della crisi, per chi lo avesse dimenticato, ce la ricorda Barack Obama: "Una larga maggioranza di ucraini vuole integrarsi con l’Europa". La Ue come scelta di civiltà, promessa di benessere, e di democrazia. Eppure alla fine è un insulto, "l’Europa si fotta", a diventare senso comune di fronte alla tragedia ucraina. Riassume (con significati diversi) quel che si pensa in queste ore a Washington, Mosca, Kiev. La diplomatica americana Victoria Nuland, braccio destro del segretario di Stato John Kerry, aveva visto giusto? Due settimane fa una sua telefonata (audio) con l’ambasciatore americano in Ucraina era stata intercettata dai servizi segreti russi, poi messa su YouTube. Quel suo "l’Europa si fotta", intercalato in mezzo a considerazioni più serie, era stato l’ennesimo scandalo nelle relazioni transatlantiche: seguito da indignate reazioni di Angela Merkel, imbarazzo a Washington. Ma la 53enne diplomatica, sposata con il celebre esperto di geopolitica Robert Kagan, con il senno di poi viene rivalutata. Fu una gaffe, volgare e arrogante, la sua? O invece un’esasperazione legittima, che interpreta non solo l’insofferenza americana, ma in qualche modo anche la rabbia di milioni di ucraini? (In quanto al pensiero di Putin sull’Europa occidentale, potrebbe essere descritto in modo altrettanto colorito).

L’aria che tira alla Casa Bianca e al Dipartimento di Stato è espressa nel duro editoriale del Wall Street Journal. Che ricostruisce i giri a vuoto della diplomazia europea, mentre il bilancio delle vittime cresce a Kiev: "I leader dell’opposizione ucraina hanno chiesto alla Merkel delle sanzioni contro quei dirigenti del governo Yanukovich che hanno patrimoni personali nell’Unione europea. Berlino non ha accolto la loro richiesta, ha dato un sostegno retorico al movimento di protesta, non ha fornito informazioni su futuri aiuti della Germania o della Ue per controbilanciare i miliardi di Mosca. I paesi dell’Europa orientale membri della Ue premono perché l’Ucraina possa ottenere fondi e una corsia di accesso all’Unione, che non faceva parte del pacchetto rigettato a novembre".

Gli osservatori americani non sono indulgenti con la politica estera di Obama, ivi compreso sulla crisi ucraina. Anche la Casa Bianca oscilla tra obiettivi non compatibili: mantenere una "relazione produttiva" con Vladimir Putin (sperando di coglierne un giorno i dividendi in Siria o in Iran...); e al tempo stesso evitare che una grande nazione europea come l’Ucraina, con 45 milioni di abitanti, finisca nell’orbita "eurasiatica" del nuovo club di Stati-vassalli che Putin sta costruendo a immagine e somiglianza dell’Unione sovietica. Ma per quanto l’America possa essere accusata di contraddizioni, questa è una crisi scoppiata nel cortile di casa dell’Unione europea.

Come la dissoluzione dell’ex-Jugoslavia vent’anni prima, anche la violenza in Ucraina è un test per le istituzioni di Bruxelles. È l’ancoraggio con la Ue, il casus belli su cui Yanukovich ha tradito il suo popolo per consegnarsi a Putin. È prima di tutto a Berlino, Parigi, Londra e Roma, che dovrebbero scattare gesti rapidi, di sostegno fattivo: proprio quelle cose che i leader dell’opposizione hanno chiesto alla Merkel, cioè aiuti che compensino i finanziamenti da Mosca, e una corsìa veloce di accesso all’Unione.

Se la Ue non è in grado di intervenire su una crisi così vicina, che senso ha parlare di politica estera europea? E dove si fermeranno le mire espansioniste della Russia? Di fronte a questi interrogativi l’incauta Victoria Nuland, dimenticandosi di vivere nell’èra di WikiLeaks, Edward Snowden... e Vladimir Putin, era sbottata in quella frase offensiva. Dopotutto, tra i libri di suo marito Robert Kagan appare quella semplificazione brutale: "Gli americani vengono da Marte, gli europei da Venere". Washington si chiede qual è il numero fatidico di morti nelle strade di Kiev, che sveglierà dal torpore la diplomazia europea. E di fronte alle accuse russe su "tentativi di golpe", Obama avverte: "Bisogna evitare ad ogni costo che i militari ucraini intervengano su questioni che possono essere risolte dai civili". È l’allarme già evocato del New York Times: Putin potrebbe preparare il terreno per un intervento armato della Russia. Previa "richiesta di assistenza" da parte dei militari ucraini. Sarebbe un ritorno ai metodi della guerra fredda. Oggi si riuniscono i ministri degli Esteri Ue. L’America seguirà con attenzione. Sperando che, per una volta, l’Europa non "si f..." con le sue stesse mani.

INTERVISTA A GIULIETTO CHIESA
http://www.lantidiplomatico.it/dettnews.php?idx=6&pg=6479
"L’Europa ha scelto di aprire una crisi gravissima, non considerando la storia"
di Alessandro Bianchi
(con la preziosa collaborazione del Prof. Paolo Becchi)

Giulietto Chiesa. Ex inviato a Mosca per l’Unità e La Stampa, oltre che per il TG5, il TG1 e il TG3. Fondatore nel 2010 del movimento politico-culturale Alternativa. Autore di Invece della catastrofe: Perché costruire un’alternativa è ormai indispensabile

- La visita del presidente ucraino Yanukovich a Mosca è l’ultimo atto di una crisi che rischia di destabilizzare un paese strategicamente fondamentale. Come cambia ora la situazione?

Cambia completamente, vi è stata una svolta radicale. La Russia di Putin ha offerto al presidente ucraino un prestito da 15 miliardi di euro, per affrontare l’emergenza attuale, e la firma di un’intesa preliminare per diminuire il prezzo del gas a 280 dollari per mille metri cubi – circa 150-180 dollari in meno di quello che pagano gli altri paesi europei – per un risparmio complessivo di Kiev da due miliardi di dollari l’anno. Si tratta di un regalo immenso e vorrei che si misurasse la portata del gesto in modo appropriato, perché semplicemente non esiste un atto di questa portata nell’economia contemporanea. Può essere chiaramente spiegato solo come atto politico, di fratellanza, e capito a fondo solo se si comprende che Kiev è una componente essenziale della cultura e della storia russa. Con quest’offerta Vladimir Putin sta salvando la pace internazionale. La Russia è nata in Ucraina, che è stata anche il suo baluardo difensivo durante la seconda guerra mondiale. Come si può immaginare che i russi non considerino questo un valore? L’Europa occidentale ha scelto consapevolmente, o per stupidità, di aprire una crisi gravissima, che non tiene conto della storia degli uomini.
I russi stanno difendendo sé stessi, una parte della storia, oltre ad una parte dei loro ex cittadini. Occorre non dimenticare che la maggioranza dei 48 milioni di ucraini è composta da persone di lingua e cultura russa. Persone niente affatto nostalgiche, ma che guardano al mondo con attenzione e stanno vedendo come, dopo il collasso dell’Unione Sovietica, i russi sono stati ampiamente discriminati in Lituania, Estonia e Lettonia. In Ucraina si immaginano di dover subire la stessa sorte una volta entrati in Europa.

- Perché secondo Lei i dirigenti dell’Unione Europea hanno voluto forzare la situazione in Ucraina in questo modo e qual è, pertanto, l’obiettivo di fondo della strategia scelta dall’occidente?

La mossa occidentale punta a spaccare il paese: in una situazione in cui la maggioranza delle persone è russa e vota Yanukovich, non si poteva non sapere che si sarebbe aperta una frattura in un paese centrale per molte ragioni, in primo luogo per la sua posizione strategica. Ora è bene che l’opinione pubblica comprenda che l’obiettivo finale di questa mossa non è l’ingresso in Europa, ma chiaramente è quello di portare l’Ucraina nella Nato. Nessuno ne parla e proprio per questo è il punto centrale. La storia, del resto, la conosciamo bene: le tre Repubbliche baltiche, oltre alla Romania e la Bulgaria, prima di entrare nell’Ue sono state inglobate nell’Alleanza atlantica. Si tratta della continuazione della politica di espansione occidentale e di accerchiamento della Russia. E’ una politica che procede da vent’anni, cominciata con Boris Yeltsin e proseguita in parte da Putin. Per vent’anni l’Occidente si è trovato di fronte una Russia cedevole, quasi del tutto colonizzata. Ha offerto in cambio protezione agli oligarchi e possibilità di ospitare nelle banche occidentali i capitali che costoro trafugavano dalla Russia dopo averla derubata. Ma la situazione è cambiata. Ora a Mosca c’è un leader che non accetta più questa situazione. Nelle nuove condizioni pensare di continuare l’accerchiamento, e anzi renderlo più soffocante, non è più un’ipotesi realistica. Qualcuno dovrebbe spiegarlo a Berlino e a Bruxelles.
Se in Europa ci fossero dirigenti amanti della pace e lungimiranti l’avrebbero capito ma, dato che là abbiamo perlopiù minus habentes che pensano di essere ancora i dominatori del pianeta, i guai diventano potenzialmente enormi.

- Fino a che punto il presidente russo saprà spingersi per impedire il passaggio dell’Ucraina all’altro campo?

Questa politica occidentale verso l’Ucraina non può essere tollerata da una Russia che si considera ora, di nuovo sovrana ed indipendente. Non abbiamo avuto un’aggressione della Russia contro l’Ucraina, ma una dell’Europa contro la Russia. Putin vuole dimostrare di avere la forza necessaria per impedire una scelta che modificherebbe 40 anni di sicurezza strategica comune, quella che prese avvio dagli accordi di Helsinki e di Parigi. L’ingresso della Nato in Ucraina modificherebbe di fatto, in modo drastico, tutti rapporti di forza e i parametri della sicurezza comune. L’Alleanza occidentali si troverebbe a un passo dalla capitale della Russia.
Quello che i dirigenti europei devono capire è che semplicemente non si può fare: è una scelta non ragionevole, che azionerebbe una pericolosissima guerra fredda, in cui, tra l’altro, al contrario del passato, l’occidente non sarebbe più il dominatore. Putin ha fatto la sua mossa ed ha chiarito che non permetterà di superare questo limite. La “grande novità” dei missili spostati a Kaliningrad è solo mistificazione: i centri militari della Nato sapevano della loro presenza da almeno uno-due anni – da quando gli Stati Uniti avevano deciso di comprare prima la Repubblica ceca e poi la Romania per far mettere nuovi sistemi radar ai confini con l’Ucraina - ed il finto stupore di adesso vorrebbe far credere a una nuova minaccia russa maturata in questa crisi. La spiegazione è che i russi hanno da tempo cominciato a prendere le loro misure.
Sono stato una decina di giorni fa in Russia nel pieno della crisi di Piazza Maidan e ho visto Putin per tre giorni di seguito in televisione per annunciare nuove misure di riarmo dunque, a partire dagli otto sommergibili atomici strategici pronti per il 2020. Si sta dunque preparando una serie di misure che puntano a preparare il “passaggio di campo”. L’Occidente che dovuto arretrare in Siria e in Iran, ma riapre l’offensiva in Europa. Ma chi è che attacca? Sempre l’Occidente. La propaganda ripete il mantra della “minaccia russa”. Ma, guarda caso, non si ricorda mai che la Russia non è impegnata su nessun fronte ormai da 20 anni ed è presente all’estero solo nella base militare siriana. Tutto questo mentre l’Occidente - soprattutto gli Stati Uniti - è impegnato in guerre in tutto il mondo. Come si può continuare a dire che è la Russia che minaccia, quando è esattamente l’opposto? La crisi dell’Ucraina va ripensata proprio nel quadro complessivo dell’offensiva dell’Occidente.

- Come giudica le visite frequenti di dirigenti europei in Ucraina a sostegno delle manifestazioni e, inoltre, cosa pensa del fatto che il senatore americano McCain da una piazza di Kiev abbia incitato apertamente alla ribellione?


"L’Europa ha scelto di aprire una crisi gravissima, che non tiene conto della storia"
La Seconda Parte dell’Intervista a Giulietto Chiesa.
Per consultare la prima: http://www.lantidiplomatico.it/dettnews.php?idx=6&pg=6479

di Alessandro Bianchi
(con la preziosa collaborazione del Prof. Paolo Becchi)

Per descrivere la gravità di ciò ch’è avvenuto basti pensare, come ipotesi scolastica, ad un semplice esempio. Immaginiamo che la Lega Nord in Italia raggiungesse il 40% dei voti e fosse il principale partito dell’opposizione. Potremmo noi accettare tranquillamente, senza protestare, che Francia, gran Bretagna, Stati Uniti, Bangladesh e altri inviassero a Milano decine di alti rappresentanti politici, diplomatici per incitare il Nord alla secessione? Ovvio che considereremmo un tale atteggiamento una patente provocazione e una violazione di ogni norma di correttezza internazionale. Evidente ingerenza dall’esterno negli affari interni del nostro paese. Eppure l’Europa ha fatto esattamente questo con l’Ucraina. E il senatore americano McCain



- Come uscirà l’Europa dalla crisi ucraina?



Ad un forum russo-europeo a cui ho partecipato recentemente a Bruxelles, una ricercatrice dell’Istituto degli affari internazionali di Mosca ha fatto un intervento illuminante per comprendere le implicazioni possibili della crisi ucraina. All’inizio pensavo fosse quasi una battuta, ma diceva cose molto serie quando ha invitato pubblicamente il presidente Putin ad assecondare le richieste di Polonia e dei paesi baltici, ripudiando finalmente il trattato Ribbentropp-Molotov, che precedette la seconda guerra mondiale. Le frontiere dell’Ucraina tornerebbero alla fase precedente, la Galizia tornerebbe in Polonia entrando in Europa, come chiede, legittimamente di poter fare. Tuttavia si creerebbe un problemino tra due paesi europei: infatti anche un terzo della Lituania, compresa la capitale Vilnius, tornerebbe in Polonia. Ci rendiamo conto della posta in gioco nel voler forzare la mano in questa questione? Da questa crisi l’Europa subirà inevitabilmente una grave sconfitta ed un peggioramento dei rapporti con la Russia. E’ inevitabile se si continua a pagirare su questi tasti. E la colpa sarà di politici come il presidente della Lituania e di Angela Merkel che hanno voluto forzare la rivolta.



- Riuscirà, secondo Lei, il presidente Yanukovich nel brevissimo periodo a destreggiarsi tra i due fuochi del progetto di Unione doganale di Putin e quello dell’Unione Europea, evitando un peggioramento della crisi?



Non lo so. Credo che la situazione sia ancora estremamente tesa e pericolosa. Yanukovich punterà a vincere le prossime elezioni attraverso il sostegno dei russofoni. Se dall’Europa si deciderà di soffiare sul fuoco, la crisi è ad un livello tale che può preludere all’inizio di un conflitto interno all’Ucraina. Mi auguro di no, chiaramente, ma è il quadro che si delinea attraverso una forzatura prolungata della situazione.
Il presidente ucraino se ne torna a Kiev da Mosca con un pacchetto di risultati considerevoli. Però, non bisogna dimenticare che – come ha reso noto Putin - durante i colloqui non è stata affrontata la questione dell’ingresso dell’Ucraina nell’Unione doganale con Russia, Bielorussia e Kazakistan. Il negoziato è servito solo a fronteggiare l’emergenza e dare respiro al paese. Non è escluso che Putin abbia offerto a Yanukovich la possibilità di prendere tempo, senza forzare una decisione immediata. Si tratterebbe di una posizione ragionevole, che permetterebbe al presidente ucraino di presentarsi alle elezioni con una posizione neutrale tra i due blocchi. Una posizione accettabile sia per gli ucraini di lingua russa sia per gli altri che si sentono più vicini all’Europa.
Sono stato più volte in Ucraina lo scorso anno ed ho sostenuto, in una serie di incontri ed interviste, come il paese dovrebbe prendere due provvedimenti immediati: in primo luogo, Kiev dovrebbe dichiarare che non entrerà in ogni caso nella Nato. Sarebbe un gesto molto forte. In secondo luogo, dovrebbe affermare che intende mantenere buoni rapporti con la Russia e con l’Europa. In seguito, dovrebbe stipulare accordi favorevoli con entrambe le due realtà doganali. Ne trarrebbe solo vantaggi, economici e politici. Perché non pensare ad un’Ucraina che per il suo passato, la sua storia, cultura e posizione, resti un paese neutrale, con un rapporto di buon vicinato con entrambi i grandi vicini? Sarebbe il tipo di politica estera che una Unione Europea ragionevole dovrebbe perseguire ed una soluzione che a Putin non dispiacerebbe.



- Qual è la peggiore ipotesi di escalation del conflitto possibile?



Lo scrive oggi (mercoledì, ndr) anche il New York Times: se l’Ucraina dovesse entrare nel blocco occidentale, Mosca prenderà misure di ritorsione sia militari che economiche. Ho letto una parte delle oltre 900 pagine del documento che si sarebbe dovuto firmare a Vilnius. Prevedevano scelte molto drastiche, con le imprese ucraine costrette a rompere qualsiasi legame con quelle russe. Tutte le esportazioni alimentari ucraine verso la Russia avrebbero avuto seri ostacoli, in quanto l’Ucraina avrebbe dovuto cambiare il regime di tassazione, di controlli sanitari, di parametri tecnici di verifica delle merci: tutte modifiche costose a carico di ucraini e russi. Il cambio di campo dell’Ucraina modificherebbe completamente i rapporti economici e commerciali con la Russia, che sono oggi assolutamente prevalenti. Proviamo a metterci nei panni della Russia. Qualunque paese, in una tale situazione, sarebbe perfino costretto a prendere contromisure.



- La scelta occidentale di forzare la situazione in Ucraina può essere letta come il tentativo degli Stati Uniti di mandare un messaggio chiaro alla Russia su altri fronti, soprattutto per quel che riguarda il Medio Oriente?



Le strategie delle grandi potenze non sono mai monodimensionali. Ci sono tanti fronti che sono aperti simultaneamente e si influenzano vicendevolmente. Magari c’è stata una certa autonomia europea in Ucraina, ma una parte della sua azione dipende da obiettivi strategici e geopolitici che gli Stati Uniti stanno perseguendo: non c’è il minimo dubbio a proposito. La teoria di Brzezinski sull’accerchiamento progressivo della Russia non è mai stata abbandonata: gli europei sono soggetti che seguono ed eseguono queste direttive. La crisi dell’Ucraina è un grande gioco sporco. Non c’era alcun bisogno in questo momento di accelerare sulla questione dell’accesso all’Unione Europea, ed esiste il rischio che anche in Georgia (che invece ha firmato) le tensioni si possano a breve accentuare.



- L’amicizia personale di Silvio Berlusconi con Putin è stata una assoluta peculiarità nei rapporti del presidente russo con un leader europeo. Si può dire a distanza di qualche anno che i progetti energetici dell’ex premier italiano possano aver dato fastidio a qualcuno?



Non è certo un grande statista, ma Berlusconi aveva capito che tutta la politica americana verso la Russia non era in linea con il perseguimento dei suoi obiettivi. La sua politica estera è così entrata in collisione con Washington. Come la Germania era riuscita a bypassare Polonia e le repubbliche baltiche, facendo arrivare il gas russo in modo diretto attraverso il North Stream, il progetto di Berlusconi con il South Stream era quello di collegare il sud dell’Europa al gas russo aggirando l’Ucraina. “Un giorno l’Europa mi sarà grata perché l’energia arriverà attraverso le vie che ho aiutato ad aprire”, aveva dichiarato Berlusconi, che si candidava a divenire un partner privilegiato di lungo periodo con la Russia. Questo ha dato fastidio. Se si vuole una contrapposizione tra Russia ed Europa, si deve trovare il modo di impedire che i russi vendano il gas all’Europa. In tal modo non solo si allenta la cooperazione tra Europa e Russia, ma si costringe l’Europa a comprare l’energia che arriverà dagli Stati Uniti, nel frattempo divenuti nuovamente esportatori di gas. Gas molto più economico di quello russo, ma proveniente dagli scisti bituminosi, che sono devastanti per il riscaldamento climatico e per gli equilibri ecologici. Più energia ai danni dell’ecosistema. E un’Europa sempre più incatenata al carro americano. Poveretti gli ucraini.