Marco Imarisio, Corriere della Sera 20/2/2014, 20 febbraio 2014
«QUATTRO CONDANNATI A MORTE» VOLANTINO CHOC CONTRO LA TAV
Le condanne a morte sono firmate da un emerito sconosciuto. Quella sigla è un inedito assoluto, mai pervenuta a qualunque latitudine. Il documento inviato ieri all’Ansa di Torino dai Nuclei operativi armati è solo l’ultimo in ordine di tempo a predicare l’ormai famoso salto di qualità della protesta contro il Tav in Val di Susa. Ma lo fa in modo molto esplicito, senza giri di parole, augurando la nascita di una nuova stagione di lotta armata. Negli ultimi mesi, in mezzo a un rosario di minacce a magistrati, politici e semplici lavoratori, c’è stata la lunga analisi fatta dai due capi delle Nuove Brigate rosse, condannati per associazione sovversiva, che parlavano della necessità di «un balzo in avanti» da parte degli antagonisti impegnati contro la linea Torino-Lione, subito seguita da quella della Fai, la Federazione anarchica informale che con altro linguaggio replicava lo stesso messaggio, esortando i militanti No Tav ad «alzare il tiro» della lotta in valle.
«In questo contesto milioni di lavoratori rimangono senza lavoro, senza alcuna prospettiva e senza futuro. Proprio questi salariati precari sono il futuro della lotta armata. Quelli che pagano il prezzo più alto sono i giovani. Per arruolarli è necessario dar loro una prospettiva rivoluzionaria che risponda alla loro frustrazione e ai loro bisogni». I primi due fogli espongono posizioni molto vicine per linguaggio a quelle delle Nuove Brigate rosse e per contenuti a quelle degli anarchici. Quasi una sintesi, che in parte riflette la saldatura delle posizioni più radicali avvenuta di recente in valle. Anche qui, come nel documento del Fai, la spinta a una nuova stagione di lotta armata arriva dalla «repressione» e dal «carcere duro per i compagni imprigionati». Il trattamento riservato ai quattro militanti attualmente detenuti con l’accusa di terrorismo, «è il segnale che il tempo della lotta pacifica, fatta di scritte e manifestazioni, è terminato».
Alcuni passaggi rivelano una conoscenza molto ravvicinata del dibattito che si è svolto negli ultimi mesi in valle. Gli autori del documento rivendicano il fatto di aver più volte segnalato ai militanti che i loro metodi erano destinati alla sconfitta. «Puntualmente le nostre previsioni si sono avverate». L’affermazione del Movimento 5 Stelle alle ultime elezioni politiche, che aveva destato molte speranze e altrettante domande all’interno dei No Tav viene liquidata con l’accusa di comicità e finto movimentismo. «Avevamo detto ai parlamentari del M5S che non era quella la strada per dare il colpo di grazia a questo Stato, ci hanno ridicolizzato, ora la nostra analisi è pronta per essere applicata».
Sembra quasi ci sia la necessità di accreditarsi come una voce di dentro. E nel testo c’è una eco evidente del dilemma sui metodi di lotta che di recente ha sfilacciato i No Tav, «Nonostante abbiano cercato, in tanti, di isolarci all’interno del Movimento, noi abbiamo usato questo tempo per strutturare la nostra organizzazione». C’è un riferimento molto chiaro alle «inchieste» con tanto di riprese della sua abitazione fatte ai danni di un cronista de La Stampa. «Abbiamo dimostrato che si possono raccogliere informazioni sui nostri nemici, che non esiste protezione offerta da questo Stato che non possa essere superata».
Anche se scritto da una persona informata sui fatti, l’attendibilità del documento è ancora tutta da valutare. Ma c’è però quel terzo foglio, quasi un allegato. Dove un sedicente «tribunale rivoluzionario», insediato «valutare le responsabilità politiche della repressione in atto nei confronti del movimento No Tav, emette la condanna a morte nei confronti di quattro persone. Stefano Esposito, il senatore pd più volte minacciato da lettere anonime e ordigni messi sulla porta di casa, che questa volta viene ritenuto come il responsabile diretto degli arresti; Giuseppe Petronzi, il capo della Digos di Torino ritenuto «esecutore materiale» delle disposizioni della magistratura. E poi ci sono i nomi di due dirigenti delle imprese interessate ai lavori nel cantiere di Chiomonte. Le minacce lasciano il tempo che trovano, perché nel momento stesso in cui vengono formulate perdono molto della loro potenziale pericolosità. Ma non si può escludere che quei nomi vengano fatti con lo scopo di indicare un bersaglio allo squilibrato di turno. «Queste condanne sono immediatamente esecutive e sono da eseguirsi senza ulteriori comunicazioni». Il messaggio è comunque forte. Il gioco si fa sempre più pericoloso.
Marco Imarisio