Goffredo Pistelli, ItaliaOggi 20/2/2014, 20 febbraio 2014
MAI COSI LUNGA LA DEPRESSIONE
Qual è il mood degli Italiani in questa fase di mutamenti politici non preventivati, almeno nella tempistica? Che sentimento prevale nel Bel Paese dinnanzi a questo cambio, frettoloso e quasi sgarbato, del guidatore, con l’avvicendamento di Enrico Letta con Matteo Renzi? Sentire il presidente di AstraRicerche, Enrico Finzi, uno dei leader della ricerca sociale in Italia, in questo caso è d’obbligo.
Domanda. Finzi, che cosa vede dal suo osservatorio? Che dice il monitor che con Astra lei realizza ogni mese?
Risposta. Misuriamo la fiducia degli Italiani, come la gente cioè dice di stare e quali speranze dice di coltivare. Lo facciamo all’inizio di ogni mese, confrontando il risultato col dato del precedente. Dalla fine dell’anno scorso, abbiamo cominciato a notare, malgrado non cambiasse significativamente il quadro economico generale, malgrado fossimo piombati in una crisi psicologia e in una prolungata depressione, che la gente aveva cominciato a sperare di sperare. E guardi che la depressione era davvero forte.
D. Cupa?
R. Più che la cupezza, a colpire era il perdurare di questo sentimento. Perché dagli anni ’50, da quando cioè la Doxa aveva cominciato a misurare questi fenomeni, la caduta della fiducia, anzi la morte della speranza, non era mai stata così profonda, davvero un tracollo, e così prolungata.
D. Cioè, in genere, ci passava prima?
R. Siamo un popolo ciclotimico per carattere nazionale e quindi esposto a grandi sbalzi. Excited, dicono gli Americani. Quando un allenatore perde tre partite di fila è da cacciare, se il nuovo, il sostituto, ne vince due, è un trionfo e sui giornali sportivi mentre nei bar non si parla d’altro. In questo molto mediterranei e perfettamente in linea al carattere degli spagnoli e dei greci. Ma appunto le depressioni erano peridi breve durata, non resistevamo troppo a lungo, eravamo un po’ come «Ercolino sempre in piedi» della Galbani, ma forse lei è troppo giovane per ricordarlo_
D. No, no, avendo 50 anni suonati, me lo ricordo_
R. Ecco. Gli italiani erano un po’ quel pupazzo gonfiabile, che buttavano a mare in Versilia e sulle altre coste italiane a scopo promozionale: avendo un piccolo peso alla base, andava giù ma poi tornava su. Quindi i seni, cioè le curve grafiche con cui rappresentiamo il nostro sentiment, come diciamo noi, erano alte e profonde ma anche strette e corte, cioè non duravano.
D. Invece quella attuale?
R. È profonda ma amplissima. Pensi che nel 2009, a crisi economica ampiamente in corso, pensavamo ancora che le vacche grasse sarebbero tornate. È nel 2010 che c’è il crollo, che dura fino a tre mesi fa, quando diventa meno assoluto, meno maggioritario. Il tono complessivo cioè non è stravolto ma ci sono alcuni che cominciano, appunto, a sperare di sperare. Cioè quella maggioranza di cupi pesa meno.
D. E che cos’è successo?
R. Innanzitutto è cambiata la grancassa dei media, soprattutto della tv. E’ girata l’aria. E non tanto per quello 0.1% di aumento del pil che, se anche non fosse un errore di rilevamento, davvero non influirebbe in termini economici ma pesa, positivamente, in termini psicologici. E ci sono anche altri fattori.
D. Vediamoli_
R. Gli italiani hanno capito che la crisi, ancorché molto grave, è anche selettiva: ci sono imprese e settori che si basano sull’export e che mostrano di resistere bene; ci sono comparti in cui la tendenza si è invertita. C’è il fatto che a Roma e a Milano, il mercato degli affitti e delle compravendite, è seppur timidamente ripartito. E tutti noi sappiamo quale valore psicologico sia annesso alla casa dalla maggior parte delle persone che, pur non sapendo niente di Borsa, capiscono benissimo cosa significhi vedere case sfitte o invendute.
D. Senta Finzi ma la politica non influisce?
R. Ci stavo arrivano. C’è effettivamente un fattore Matteo Renzi in tutto ciò.
D. Spieghiamolo_
R. E cioè la gente non sa minimamente se Renzi porterà a casa il risultato però il segretario di Pd incarna il principio speranza. È giovane, è nuovo, per adesso, avendo fatto solo il sindaco, non fa parte della vecchia congrega, lancia messaggi positivi. Un po’come accade a B. quando si affacciò nel 1994: il suo consenso andò ben oltre al recinto ideologico dei suoi.
D. Cosa colpisce di Renzi?
R. Certamente lo stile, sbarazzino, da Giamburrasca, che dice, come già il suo conterraneo Gino Bartali, che è che è tutto sbagliato e tutto da rifare. E poi c’è l’elemento urgenza: Renzi fa in fretta e richiede fretta, comunica il senso di una responsabilità nel dover fare le cose. Senza dimenticare quegli elementi di richiamo all’orgoglio nazionale, come quando dice che «siamo un grande popolo», che «ce la faremo»: le cose che molti italiani vogliono sentirsi dire. Una cosa che ha contagiato anche gli oppositori interni, come la sinistra del Pd che ora ammette che lui rappresenta l’ultima spiaggia.
D. Che cosa non andava negli oppositori di Renzi, o anche in chi là preceduto, come Enrico Letta?
R. Prescindiamo ovviamente da valutazione politiche_
D. Ovviamente_
R. Ecco allora, partiamo da Letta: un uomo, giovane e serio, ma non era abbastanza exciting. Emozionava come un 80enne, diciamo. Per non dire di altri come Gianni Cuperlo o Stefano Fassina che, insomma, in termini pubblicitari, erano un po’ la réclame della morte. E non funzionano più neppure gli oppositori del fronte opposto, quelli esagerati come Daniela Santanchè o Alessandra Mussolini, lo stile urlato disturba. Anche quello di Michele Santoro. È un fatto che verifichiamo in altri campi.
D. Per esempio?
R. Nel marketing. Noi facciamo i copy test, vale a dire verifichiamo preventivamente l’efficacia di una campagna pubblicitaria, testandone il gradimento. Ebbene, tutte le pubblicità di tono serenamente positivo, non di ottimismo beota intendiamoci, vanno particolarmente bene. Quelle che contengono il sorriso, i bambini, la strizzatina d’occhio, la seduzione non volgare, il richiamo sessuale ma non esplicito, hanno consenso alto.
D. E le altre campagne?
R. Quelle iperottimiste, come quelle pessimiste del resto, o anche solo «fattuali», nel senso che comunicano uno sconto o una promozione, piacciono meno. La gente torna a desiderare.
D. Torniamo a Renzi. Ma lui è un tipo naif, secondo lei, o queste cose le sa?
R. Non usa i sondaggi, ho avuto occasione di parlargli, però ha un grande fiuto ed è consapevole di averlo. Ha la mistica dell’uomo qualunque, quando ripete «sono di Rignano» (il paese in provincia di Firenze in cui è cresciuto, ndr). È un narcisista evidente ma è anche uno vero. Con questo modo accessibile, colloquiale, diretto, senza scorta, risponde e interpreta questo sentimento che nel paese si va diffondendo. Anche B. l’ha capito.
D. Da che cosa lo si vede?
R. Da un cambiamento radicale di atteggiamento: facendosi fotografare con 5mila rughe dal quotidiano inglese. Oppure dal fatto che stamane (oggi per chi legge, ndr), sia uscito dai colloqui con Renzi, dicendosi lieto che il premier incaricato abbia la metà dei suoi anni. Ha accantonato la negazione dell’invecchiamento, diventando il prozio, il nonno. Lui che usa, viceversa, i sondaggi e che ha anche molto intuito, si rende conto che non gli conviene contrapporsi al tifone Renzi e quindi si ritaglia un ruolo distinto.
D. Chi, invece, sembra non capire che gli italiani sperano di sperare, come dice lei, è Beppe Grillo. Fra il passaggio polemico a Sanremo e l’incontro col segretario Pd, è andato giù piatto.
R. Vede Grillo ha un elettorato composito, come ha studiato Piergiorgio Corbetta per il Mulino. Tiene insieme quattro quarti molto diversi fra loro: c’è la sinistra radicale, attenta ai diritti e all’ambiente, c’è una destra-destra dura, ci sono i delusi del Pd e dei partiti moderati e c’è, infine, l’ala qualunquista pura, il «voto pernacchia».
D. Tenendoli insieme, fa miracoli.
R. Esatto. E lo può fare isolando i suoi deputati e isolando lo stesso M5s. Rigetta tutto perché tutto fa schifo. Un isolazionismo fatto di denuncia, continua e spiccata, del disastro. Ma è un film gridato che andava bene fino all’ottobre dell’anno scorso.