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 2014  febbraio 20 Giovedì calendario

LA FILOSOFIA DI ECO – [“IL PENSIERO È UN MANUALE SENZA CONFINI”]


[Umberto Eco]

Una storia della filosofia destinata agli studenti liceali ma anche a chi voglia accostarvisi senza eccessivi timori reverenziali. Duemila e cinquecento anni di saperi filosofici - dai presocratici al Novecento - che Umberto Eco e Riccardo Fedriga hanno disegnato con ricchezza di dettagli. Dei tre volumi (Storia della filosofia, editori Laterza e Encyclomedia Publishers), di cui l’opera si compone, per ora è apparso il primo: Dall’antichità al medioevo (euro 25,90). Ne parliamo con Eco.
Che cosa ha di diverso, o di più, questo manuale rispetto non solo ai vecchi classici (tipo Lamanna) ma anche ai più recenti (Abbagnano- Fornero)?
«Ho rischiato, al liceo, di dover studiare sull’orrendo e incomprensibile Lamanna, ma per fortuna ho avuto uno splendido professore di filosofia che ci aveva fatto comprendere come la filosofia si sviluppasse in un più vasto ambiente culturale – per cui, anche se i programmi non lo prevedevano, ci spiegava persino chi fosse Freud. Ho sempre sognato un manuale di filosofia che legasse la filosofia al suo ambiente culturale. All’università, poi, ho avuto la fortuna di avere come professore Abbagnano e sono cresciuto sulla sua storia della filosofia (all’Abbagnano-Fornero ho poi anche collaborato) ».
E non era sufficiente?
«Diciamo che ho avuto sempre voglia di fare un manuale più interdisciplinare. E un autore solo non basta. Con Riccardo Fedriga abbiamo riunito una squadra di specialisti di alto livello, in modo che ogni filosofo o corrente fossero visti da chi li conosceva a fondo. Il lavoro di noi due curatori (oltre che di collegare e unificare gli interventi, di scrivere certi capitoli in proprio) è stato quello di inserire approfondimenti e raccordi interdisciplinari. Ecco perché, per esempio, nel primo volume c’è un’ampia scheda sui pretesi terrori dell’Anno Mille, o si parla del Corpus Hermeticum e dello gnosticismo: si tratta di aspetti della cultura che influenzavano anche i filosofi. E inoltre non ha funzione esornativa l’apparato iconografico, perché dovrebbe servire a capire meglio in che ambiente culturale si muovevano i filosofi.
Qual è il pregio e i limiti del sapere manualistico?
«Nessuno al mondo può aver letto a fondo tutti i testi della storia del pensiero, dai presocratici agli analitici anglosassoni. I manuali suppliscono a questa situazione inevitabile. Ma i manuali devono essere integrati dal professore (che si spera bravo). Il nostro manuale, con le sue schede, le sue esplorazioni a latere, i suoi approfondimenti, permette al professore di fare delle scelte e di attirare l’attenzione dello studente sui punti che gli paiono più rilevanti. Voglio dire che il manuale non prende per mano il lettore facendogli fare un percorso obbligato, ma permette all’insegnante (o allo studente molto autonomo) di disegnarsi dei percorsi più personalizzati».
Sulla filosofia ci sono diverse definizioni e lei stesso le richiama nel testo introduttivo. Ma la filosofia necessita di una definizione?
«Senta, o invito a leggere tutto il manuale o la finiamo lì: diciamo che il fascino di una storia della filosofia è di mostrare quante definizioni di filosofia potrebbero esserci e ci sono state, e quella a cui pensava Aristotele non è la stessa a cui pensava, che so, Russell. Inoltre bisogna considerare che la figura del filosofo accademico nasce solo nell’Ottocento, e prima ad occuparsi di filosofia erano persone che si interessavano anche alle scienze naturali (Aristotele), alla teologia (san Tommaso), alla geometria (Cartesio), al calcolo differenziale (Leibniz) e così via. Un manuale di storia della filosofia deve aiutare a scoprire che si è fatta filosofia anche quando ci si occupava di tante altre cose ».
La domanda filosofica più drammatica, lei scrive, è «perché esiste qualcosa piuttosto che nulla?». Non le sembra che sia forse la più oziosa tra le domande?
«Visto che se la sono posta grandi pensatori che non avevano tempo da perdere, non dovrebbe essere oziosa. Il problema è perché qualcuno se la sia posta (o forse senza rendersene conto se la pone ciascuno di noi). Non è una domanda a cui possiamo dare risposta, ovvero la cui risposta è il fatto stesso che ce la possiamo porre. Voglio dire che se la pone solo qualcuno che in qualche modo c’è. Per dirla con parole grosse, noi viviamo nell’Essere e possiamo porci la domanda perché ci sia dell’essere solo perché c’è dell’essere. Se ci fosse solo il nulla non potremmo porci la domanda, ma la questione è che il nulla non esiste».
Perciò è irrilevante.
«No. Il fatto che ci sia dell’essere è la ragione per cui siamo portati a porre la domanda e pertanto la domanda ha una sola risposta: “Perché sì”, perché se non ci fosse qualcosa non potremmo neppure pensare che non potrebbe esserci. Poi le varie filosofie hanno proposto risposte indirette, per esempio postulando all’origine Dio come l’Essere per eccellenza, o pensando che il mondo fosse eterno. Nel primo caso la risposta si trasforma nella domanda successiva, perché c’è Dio piuttosto di niente (e questa sarebbe davvero una domanda oziosa). Nel secondo caso, se il mondo è eterno, non puoi chiederti perché c’è. C’è, e basta».
La filosofia nasce in Grecia. La sua peculiarità è dunque di essere un sapere pienamente occidentale?
«Così come la conosciamo noi, sì. Certo sarebbe ideale un manuale che spiegasse anche come pensavano gli indiani, o i cinesi, e persino certe tribù dette primitive. Esistono aspetti che noi diremmo filosofici in molte tradizioni religiose, esiste certamente una filosofia cinese. Ma, a parte il fatto che nessuno avrebbe tempo e competenza per occuparsi di tutte queste cose, noi viviamo nella cultura occidentale e questa nasce in Grecia e di lì si sviluppa. E con questa tradizione occidentale fanno i conti anche gli appartenenti ad altre civiltà, specie in un’era di globalizzazione. Sarebbe bello conoscere tutte le forme di pensiero non europee, ma oltretutto un manuale di filosofia deve seguire le linee dettate dai programmi ministeriali, e non sarebbe adottabile un manuale che parli solo dei miti Bororo o dello Zen. Peraltro faccio osservare che il nostro manuale, come ormai avviene in tutte le buone storie della filosofia, tiene conto per esempio della filosofia araba e di quella ebraica, senza le quali non si potrebbe capire lo sviluppo della filosofia occidentale».
La convince che le due linee maestre della filosofia greca furono Platone e Aristotele?
«È stato detto che tutta la storia della nostra filosofia altro non è che un commento a Platone ma io direi che è anche un commento ad Aristotele. Quindi stiamo parlando di due linee maestre di tutta la storia della filosofia occidentale».
Perché i romani, a differenza dei greci, svilupparono poco il pensiero filosofico?
«Potrei rispondere paradossalmente che erano interessati a conquistare e a organizzare il mondo piuttosto che a capirlo. Erano bravi a fare leggi, acquedotti e guerre e non erano gran che portati alla metafisica. E per il resto erano stati conquistati dal pensiero greco. Tuttavia non si devono trascurare pensatori come Seneca, o Lucrezio (nel suo caso vedi come, per la storia del pensiero, sia fondamentale conoscere anche un poeta)».
Questo primo volume del manuale abbraccia l’epoca antica e quella medievale. La filosofia medievale, di cui lei si è occupato in maniera approfondita, è più un salto o una continuità con l’antico?
«Pensiamo all’avvento del cristianesimo come a un salto, ed è vero, ma il pensiero cristiano ha sempre cercato di presentarsi come continuazione e sviluppo della filosofia greca. Difficile pensare a san Tommaso senza coinvolgere Aristotele, per non dire del peso del neoplatonismo nel pensiero medievale. E nel secondo volume si parlerà dell’influenza di Platone nel Rinascimento».
C’è un’epoca del mondo antico – a me verrebbe da pensare all’Ellenismo – che somiglia alla nostra (la crisi la transizione, eccetera)?
«Sì, ma (sia pure scherzando) le dirò che per una piccola somma potrei dimostrare paralleli con ogni epoca. Una storia della filosofia serve anche a suggerire questi paralleli. Il lettore del manuale dovrebbe sovente esplodere in atti di meraviglia, “sembra proprio che quei signori così lontani da noi si occupassero di problemi che sono anche i nostri!”».
Come spiega il perdurante successo di pubblico (soprattutto di piazza) della filosofia rispetto ad altri saperi?
«C’è persino una commercializzazione della filosofia, coi caffè filosofici parigini, e un tentativo di “vendere” la filosofia come strumento terapeutico. Un mio giovane maestro, immaturamente scomparso quando ero ancora studente, Giovanni Cairola, aveva scritto un saggio che si intitolava La filosofia non consola. Ma in definitiva è proprio in un periodo di moltiplicazione e frammentazione dei saperi che si cercano risposte unitarie, ed è questo che fa ancora e sempre la filosofia. Si è detto paradossalmente che la filosofia pone solo domande per cui non c’è risposta, ma direi meglio che è una forma di pensiero critico che cerca di dare risposte là dove le scienze non arrivano e giustamente si fermano. Ed è un buon esercizio per la nostra mente, persino quando le risposte sono sbagliate ».
Mi pare che il manuale tenga conto che lo studente vive nell’epoca del web.
«Certamente e, oltre al fatto che è disponibile anche in forma digitale, contiene numerosi richiami a una informazione additiva che lo studente potrebbe trovare online. Il manuale vorrebbe essere un buon esempio di collaborazione tra cartaceo e digitale. Non è vero che, come diceva il personaggio di Hugo, “questo ucciderà quello”».