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 2014  febbraio 20 Giovedì calendario

COSÌ UNO STATO PUÒ FINIRE SOTTO ATTACCO


[Guido Maria Brera]

«Il rapporto deficit/pil al 3% non è un dogma. E’ un limite messo anni fa in condizioni economiche e politiche diverse che può essere ragionevolmente rivisto a patto che l’Italia faccia le riforme in grado di stimolare la crescita in modo strutturale. Anche l’economia deve imparare a muoversi con buon senso!». Guido Maria Brera può dirlo con cognizione di causa. Cofondatore del gruppo Kairos (società di gestione patrimoniale), dopo 20 anni tra bond, azioni e derivati ha deciso di raccontare in un romanzo appena uscito per Rizzoli – I diavoli – i segreti e i misteri degli uomini che muovono ogni giorno migliaia di miliardi sui listini globali. I burattinai di una finanza «che ha assunto un ruolo biopolitico» – come dice lui - «perché incide ormai direttamente sulla carne delle persone». E lo fa giocando sull’adorazione di alcuni totem: il 3%, i rating e gli spread.
Come abbiamo fatto ad arrivare a questo punto Brera?
«Per un motivo semplice: perché abbiamo deciso di regolare tutto tranne la finanza. Non so se ci sia stato un progetto disegnato a tavolino o meno. Di sicuro oggi ne paghiamo le conseguenze. Negli anni ’90 questo mondo era più focalizzato sulle azioni, quindi sul mondo delle aziende quotate. Ora – grazie a strumenti speculativi sempre più sofisticati che consentono di fare soldi con i soldi – la finanza è diventata più sistemica fino a speculare sui titoli di stato. E a rischiare di saltare sono interi paesi».
Quando, dopo magari un rialzo dello spread o una revisione di rating, una valuta o un paese si trova sotto attacco, i complottisti dicono che dietro tutto questo c’è una regia. È vero?
«Non so se è un progetto disegnato a tavolino. Di sicuro la turbo-finanza si muove con metodo. Non ha simpatie o antipatie. Cerca occasioni d’investimento, le analizza in modo cinico e obiettivo e alla fine decide di illuminarle con un faro».
E chi lo accende? Una Spectre ai vertici delle banche d’affari, la Trilaterale, il Bilderberg?
«Direi un’elite economica e politica che ha interesse a mostrare una cosa piuttosto che un’altra, a seconda della sua convenienza. Il problema è che al mondo ci sono troppi soldi e che questi soldi devono andare da qualche parte. Se a Tokio battono all’asta un tonno per 1,2 milioni, il problema non è il prezzo del tonno, ma il valore che diamo al denaro. Se la finanza non si fa un’esame di coscienza, rischiamo di andare incontro ad una continua polarizzazione dei redditi con effetti negativi sulla vita di tutti».
In che senso?
«La speculazione così spinta è diventato uno strumento anti-distributivo. Ha mutato la piramide sociale assottigliando drammaticamente la classe media».
Facendo spuntare invece soggetti come il protagonista di The Wolf of Wall Street…
«Quello è un personaggio datato, figlio di una finanza che non c’è più. Il potere di questo mondo un po’ misterioso è ora più immanente e sistemico. È diventato un “blob” senza volto dove è molto meglio non apparire che apparire. E rischia di travolgere tutto».
Siamo ancora in tempo per fermarlo?
«Spero di sì. I cambiamenti devono arrivare per forza o per amore. E io spero che in questo caso succeda tutto per amore. Dobbiamo regolamentare il mercato dei derivati, separare l’attività commerciale delle banche da quella speculativa, togliere norme dall’economia reale e metterne di più su quella di carta».
Non le pare impossibile? Le grandi banche d’affari ormai muovono molti più soldi degli stati. Non crede sia difficile rimettere loro le briglie?
«Uso una frase di Ezio Tarantelli: “l’utopia dei deboli è la paura dei forti” ».