Enrico Franceschini, la Repubblica 20/2/2014, 20 febbraio 2014
IL DNA SCRITTO DALLA STORIA COSÌ GUERRE E INVASIONI HANNO SEGNATO I NOSTRI GENI
Siamo tutti figli di Gengis Khan. O di Marco Polo. O dei califfi d’Arabia. Insomma per dirla in modo politicamente scorretto ma chiaro: siamo tutti almeno un po’ bastardi. Una brutta notizia per chi vorrebbe (ancora!) difendere la propria razza e chiudere le frontiere agli immigrati che ne minaccerebbero la purezza. Una buona notizia per chi pensa che la globalizzazione non sia solo un rimescolamento di merci, ma pure di uomini (e donne), e duri da un bel pezzo. Che i grandi imperi e i grandi commerci del passato avessero contribuito a mischiare (in camera da letto) i popoli, era cosa nota agli storici e a chi ha occhi per vedere. Adesso giunge un’autorevole conferma scientifica: uno studio dell’Università di Oxford e dello University College London (Ucl) sulla composizione genetica di 95 popolazioni differenti. Da cui risulta in modo inoppugnabile l’impatto dell’orda d’oro di Genghis Khan, del colonialismo europeo, dei commerci lungo la via della Seta e di quelli di schiavi condotti dai califfi arabi, sul Dna delle genti odierne da un capo all’altro della terra.
La ricerca rivela dimostrazioni concrete che il codice genetico dell’esercito del grande condottiero mongolo, il cui impero nel 13esimo secolo si stendeva dall’Europa alle steppe asiatiche, è oggi riscontrabile in almeno sette popoli in varie regioni del nostro pianeta, dagli Hazara del Pakistan agli Uiguri della Cina, dagli uzbeki ai turchi. Ma usando nuove tecniche che gli autori hanno ribattezzato “metodo globetrotter”, il rapporto non si limita a stabilire chi ha lasciato tracce nel Dna di chi: è anche in grado di precisare in che periodo è avvenuto il passaggio e in quale percentuale ha pesato sulla composizione genetica. Per esempio, nel caso di Gengis Khan e dei suoi guerrieri, ci sono prove che il Dna dei mongoli è entrato in quello degli Hazara pachistani nel 1306, cento anni dopo che il Khan fu proclamato imperatore dei mongoli, ed è ancora oggi l’elemento preponderante. Gli Uiguri cinesi hanno una proporzione del 50 per cento di sangue mongolo nelle vene; gli abitanti dell’ex-repubblica sovietica dell’Uzbekistan del 39 per cento; i turchi dell’8 per cento. Più ci si allontana dal cuore dell’impero mongolo, dunque (e ragionevolmente), più diminuisce l’influenza genetica.
Discorso analogo si può fare per le tracce lasciate nei Tu della Cina, attorno all’anno 1200, da europei simili ai moderni greci o altri popoli mediterranei: il lascito che Marco Polo e i suoi seguaci lungo la via della Seta diedero alle regioni (o meglio alle donne) che incontrarono lungo il loro cammino. E lo stesso si può dire per l’espansione del colonialismo occidentale nei paesi in via di sviluppo, o per quella del califfato arabo in Europa. In base alle stime dei ricercatori di Oxford e della Ucl, ci sono perfino 6 milioni di Maya che vivono oggi in America Latina, in Europa, in Russia, finanche nel lontano Giappone. Grazie a una mappa interattiva, il rapporto (pubblicato dalla rivista Science e anticipato dal quotidiano Independent di Londra) permette così per la prima volta di identificare, datare e caratterizzare il cocktail genetico tra le popolazioni del mondo.
«Tutti i popoli della nostra indagine mostrano influenze straniere nel proprio Dna, è la caratteristica più comune come risultato di conquiste e migrazioni. Si può dire che il Dna è stato scritto dalla storia», osserva il professor Garrett Hellenthal, docente di genetica della Ucl e uno degli autori dello studio. Siamo, insomma, tutti figli di Genghis Khan e Marco Polo. A conferma della vecchia massima di Albert Einstein, che all’ingresso negli Usa, fuggendo dalle persecuzioni naziste contro gli ebrei, richiesto da un solerte funzionario americano di specificare su un questionario a quale razza appartenesse, si limitò a scrivere: «Razza umana».