Michele Bocci, la Repubblica 20/2/2014, 20 febbraio 2014
LA SUPER PASTIGLIA
A caccia della pillola magica. Quella che fa stare meglio i sani, rende più facile la vita, regala concentrazione, sicurezza di sé, eccitazione. Lo studente che cerca lucidità per imparare di più e più velocemente, il manager che vuole battere la concorrenza, l’operaio che deve stare sveglio tutta la notte, il cinquantenne che ha paura di invecchiare e scordarsi le cose: magari non lo sanno ma consumando farmaci psicostimolanti e antidepressivi stanno dando materiale a uno dei dibattiti più vivaci della ricerca medica contemporanea, quello sul neuroenhancement, cioè sul potenziamento neurologico. È giusto migliorare le prestazioni del cervello con la chimica? Quali sono i limiti etici e i pericoli? Mentre l’accademia discute, l’uso di queste molecole cresce, un po’ grazie ai canali ufficiali, tantissimo grazie a quelli clandestini, in particolare su Internet. L’Agenzia del farmaco mette in guardia sui pericoli per i consumatori e sottolinea la necessità di un lavoro scientifico serio in un campo così delicato. Antidepressivi, derivati vari delle amfetamine, benzodiazepine ma anche molecole create di recente e usate per gravi malattie neurologiche come il Parkinson, ecco cosa viene preso per avere un cervello più in forma. «È solo doping della vita quotidiana», riflette Roberta Pacifici, che si occupa per l’Istituto superiore di sanità degli sportivi che imboccano la scorciatoia di anabolizzanti e altro. Tutto nasce da una rivoluzione nel concetto di farmaco. Scordatevi il binomio malattia-cura, qui si entra nel campo delle medicine per chi è sano. Un esempio? Il Viagra. Una ventina di anni fa ha rivoluzionato la vita sessuale di molte persone. Ma non solo: il suo utilizzo di massa ha aperto una crepa nel modo di intendere i trattamenti farmacologici, perché salvo casi di patologie importanti ma fortunatamente poco diffuse, la maggior parte delle persone che lo acquistano vogliono solo migliorare la performance a letto.
Stessa cosa vale per il doping, su cui esiste ormai una letteratura sconfinata ma il cui schema è semplice: amanti dello sport si caricano di ormoni, integratori, antinfiammatori per andare più forte. Ma non bisogna scordare l’abuso di testosterone che si sta registrando negli Usa. Il farmaco, la cui efficacia tra l’altro deve ancora ottenere l’avallo scientifico definitivo, è usato soprattutto da chi si avvicina alla terza età, per restare pimpante come un ventenne. O almeno provarci.
Poi c’è il versante antidolorifici e antinfiammatori, farmaci usati in modo preoccupante da chi ha solo fini “ricreativi”. E qui si apre un altro capitolo sull’uso improprio dei medicinali. Basta vedere The Wolf of Wall Street per fare un’immersione piuttosto eloquente nella storia dello sballo e della dipendenza da farmaci, in molti casi sovrapponibile a quella dalla droga.
«Prendere medicinali per migliorare le performance, a vari livelli, è un processo quasi inevitabile. La specie umana ha sempre cercato il modo di stare meglio, si è sempre potenziata, ad esempio quando c’è da fare la guerra». A parlare è Gilberto Corbellini, ordinario di Storia della medicina alla Sapienza di Roma. «Già alle Olimpiadi classiche, nell’antichità, ci si dopava, mangiando erbe e proteine. Oggi viviamo nella società della conoscenza e quindi, oltre agli aspetti legati ad attività fisica e sesso, potenziamo le azioni cognitive». È a questo “passo avanti” che si sta assistendo in questi anni.
Pone vari problemi, segnalati di recente dal direttore dell’Aifa Luca Pani in un editoriale sul sito dell’Agenzia. «Il neuroenhancement — scrive Pani — riguarda persone sane che decidono di esporsi a rischi di effetti collaterali e dipendenze, prescindendo dal classico concetto di cura. Ciò apre problemi di natura etica, scientifica e regolatoria, Per ora, l’efficacia nelle persone sane è stata dimostrata solo in situazioni sperimentali estremamente controllate. Si tratta dunque di valutare, in base allo stato attuale delle conoscenze, quale sia il reale profilo beneficio-rischio e quale il vero valore aggiunto». Siccome la pillola magica, quella che migliora la vita senza recare alcun danno a chi la prende, non esiste ancora, molti finiscono male. Come minimo hanno bisogno dell’aiuto di un medico. Michele Sforza è uno psichiatra e psicoterapeuta molto esperto di dipendenze che dirige la clinica Le Betulle di Appiano Gentile. «Da noi arrivano tantissime persone con problemi legati ai medicinali — spiega — Alcuni li usano come le droghe, altri iniziano con la prescrizione del medico e poi perdono il controllo. Altri ancora partono con l’intenzione esclusiva di essere più lucidi, così si prendono, ad esempio, i derivati dell’amfetamina. All’inizio pensano di stare meglio ma alla lunga si scoprono dipendenti. Possono avere percorsi simili anche gli ansiolitici e gli antidepressivi».
Alcuni di questi medicinali sono molto sofisticati. «Fanno azioni ben precise nel cervello — spiega Giovanni Biggio, ordinario di neurofarmacologia a Cagliari — Ad esempio gli antidepressivi, provocano modifiche e alla fine i neuroni pagano il prezzo. Possono essere molto efficaci ma solo in certi casi». Questa categoria di medicinali vede una crescita delle vendite costante, negli ultimi 10 anni è stata di quasi il 5 per cento.
Le case farmaceutiche ovviamente approfittano della voglia di uomini e donne di avere a disposizione qualcosa in grado di migliorare le loro capacità. «L’aspirazione di chi vende i medicinali è stata fondamentale in questo fenomeno, ma c’è di più — spiega Silvio Garattini del Mario Negri di Milano — La vita moderna spinge all’ambizione, al desiderio di denaro e molti cercano il modo di poter lavorare di più e più lucidamente. Poi c’è l’idea che debba esserci un farmaco per qualunque cosa». Anche il Comitato nazionale di bioetica, di cui Garattini fa parte, si è occupato del potenziamento neurologico. Ha espresso un parere concludendo che ad oggi bisogna continuare a mantenere vincoli molto rigidi quando si tratta di prescrivere farmaci con effetti neurostimolatori.
Ma nel documento ci sono anche alcune aperture. «Il ricorso a sostanze di vario genere (Caffeina, nicotina, amfetamine, eccetera) per migliorare la resistenza alla fatica e alle prestazioni intellettuali ha, come è noto, una lunga storia; la novità odierna sta piuttosto nella disponibilità di una farmacopea più sofisticata, sviluppata per il trattamento di sindromi e patologie psichiatriche e neurologiche (Alzheimer, Parkinson, demenza, sindrome da deficit di attenzione, narcolessia, autismo, eccetera), il cui utilizzo da parte di soggetti “sani” sembrerebbe incrementarne in qualche misura, sebbene con risultati contraddittori, la memoria a breve termine, le capacità di concentrazione e apprendimento, il controllo cognitivo».
La scoperta della pillola magica non sembra però dietro l’angolo. «In futuro, un impiego saggio e adeguatamente regolato di potenzianti cognitivi di tipo farmacologico, accertata la loro non nocività ed efficacia, non è in linea di principio di per sé moralmente condannabile ». Ma ci potrebbero esser problemi legati ad esempio all’equità, cioè alla possibilità riservata ai più ricchi di accedere a questa “pillola”. «Va anche considerato — scrive il Comitato nazionale di bioetica — che le funzioni cognitive possono essere migliorate in maniera più duratura dall’istruzione, dall’educazione e dalla formazione continua, da una vita sociale e di relazioni ricca, dallo studio, dall’apprendimento da una stimolazione continua dell’interesse, da stili di vita sani».
Facile a dirsi. Ma in un mondo che corre sempre più veloce e diventa sempre più difficile da affrontare, in tanti sono disposti a prendere la scorciatoia. Una pillola e via.