Giovanni Pons, la Repubblica 20/2/2014, 20 febbraio 2014
“HO RINNOVATO LA7 TAGLIANDO I COSTI PIÙ SPAZIO ALLE MINORANZE IN RCS”
[Urbano Cairo]
Dottor Cairo, a quasi un anno dal suo acquisto de La7 può fare il punto sulla ristrutturazione della rete?
«Nei primi otto mesi della nostra gestione abbiamo realizzato un Mol di 3,6 milioni che si confronta con il meno 45 milioni degli stessi mesi del 2012. Il risultato è stato ottenuto grazie a un forte taglio dei costi e degli sprechi a cui si sono aggiunti 3 milioni di ricavi da pubblicità in più rispetto all’anno precedente. Il tutto senza toccare i dipendenti, come avevo promesso, che erano e sono rimasti 415».
Può dire nello specifico come e dove ha tagliato i costi dell’azienda?
«Sui costi generali la riduzione arriverà a circa 12 milioni su un totale di 25. Siamo intervenuti su tutto, dalle spese per i taxi che erano pari a 500 mila euro all’anno, a quelle per i viaggi, scese ad esempio a novembre 2013 da 130mila euro a 30mila. Abbiamo poi eliminato una sede su tre, scoprendo che quella di via Emo da 3000 metri quadrati era per oltre la metà inutilizzata. Ma abbiamo ridotto anche le spese di IT, security, facchinaggio».
E per quanto riguarda le produzioni?
«I costi di acquisto di diritti tv, film e telefilm era troppo alto, li abbiamo ridotti del 60% e ci siamo orientati a fare di più in casa. E poi abbiamo sospeso alcuni programmi perché costavano e non rendevano, mentre abbiamo confermato Santoro, Crozza, Gruber, Formigli, Mentana, Bignardi, aggiungendone di nuovi per cercare di allargare il target. Così facendo nel 2013 abbiamo ottenuto un incremento degli ascolti dell’11% nell’intera giornata e del 22% nella fascia 20,30-23,30».
Se ho ben capito la “dote” di 88 milioni che vi ha trasferito la Telecom insieme agli asset televisivi è ancora tutta lì. Come la impiegherete?
«Nel 2013 non abbiamo bruciato cassa, la dote di Telecom è intatta, il contratto prevede che per due anni non può essere utilizzata al di fuori de La7, neppure per acquisizioni. Quindi sta lì, di riserva, per ogni evenienza».
Lei ha acquistato a titolo personale una partecipazione del 2,8% nella Rcs. Ritiene che anche lì si potrebbero ridurre drasticamente i costi?
«Non conosco i conti in dettaglio, in ogni caso penso che prima di toccare i dipendenti si dovrebbe provare a ridurre i costi di almeno un 20%. Alla Cairo Editore negli ultimi cinque anni abbiamo tagliato un altro 30% di costi senza toccare il personale, anzi assumendo 40 persone per le nuove iniziative».
L’ad di Rcs Scott Jovane ha promesso che i ricavi dall’editoria digitale saliranno oltre il 20% del totale. Crede sia possibile?
«Condivido la direzione di marcia, ma allo stesso tempo si dovrebbe dire quale margine di guadagno si pensa di ottenere da quei ricavi e qual è il costo opportunità. Se gli utenti unici non vengono valorizzati dalla pubblicità e si cannibalizzano le copie sulla carta dove si perdono ampi margini e ricavi pubblicitari, allora ho delle perplessità. Il dibattito comunque è aperto, molti editori in Europa e Stati Uniti hanno iniziato a far pagare l’accesso ai loro siti con ottimi risultati».
Quando Rcs ha annunciato la vendita degli immobili lei ha manifestato disappunto con una lettera al cda. Come mai?
«Le mie critiche si focalizzavano su due punti. Innanzitutto non conviene vendere quando i valori dell’immobiliare sono in netta discesa, semmai in queste fasi si compra. Inoltre, se poi si riaffittano gli stessi immobili a canoni elevati allora tutta l’operazione è peggiorativa e non la capisco».
Lei è entrato in Rcs comprando un pacchetto di diritti per sottoscrivere l’aumento di capitale. Ritiene giusta la ricapitalizzazione?
«Ho comprato il 2,8% e poi non mi sono più mosso, anche se in ottobre un broker mi ha chiesto se ero disposto a vendere sui massimi e non l’ho fatto. Quando si arriva al punto di dover affrontare una ristrutturazione del debito gli azionisti devono sicuramente far la loro parte per primi, ma quella situazione non è solo colpa loro. Tenere le banche indenni dal costo di ristrutturazione non è prassi comune di questi tempi».
Della Valle ha dichiarato l’intenzione di promuovere un’azione di responsabilità, condivide questa iniziativa?
«Non conosco nello specifico l’iniziativa di Della Valle anche se mi è capitato di parlare con lui. Preferisco analizzare i numeri e capire come mai gli oneri non ricorrenti in realtà ricorrono ogni anno. Da azionista di minoranza senza incarichi né consiglieri non conosco in dettaglio la situazione e aspetto a formulare un giudizio».
In ogni caso è un fatto che lo scontro tra azionisti si è inasprito. Ha qualche consiglio da dare per ricomporre la situazione?
«L’azienda attualmente è gestita da un cda e un management indicati da un patto di sindacato che non c’è più. Bisognerebbe tenerne conto poiché alcuni azionisti non devono contare più di altri, a meno che qualcuno non salga oltre il 30% e lanci l’Opa. Serve più condivisione e maggiore considerazione dei soci di minoranza in una dialettica costruttiva che può portare nuove idee».
Lei potrebbe essere interessato all’acquisto di alcune attività della Rizzoli, come i periodici non ancora venduti o altro?
«Non ci interessano le testate Rcs. A mio parere l’azienda non va spezzettata, bisogna saperla valorizzare nel suo complesso. Ha attività molto buone, due quotidiani come Corriere della Sera e Gazzetta dello Sport, in Spagna il sistema El Mundo-Marca, i periodici e i libri. Credo che gestendo bene si possa creare molto valore».