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 2014  febbraio 20 Giovedì calendario

IL MAESTRO MANZI, BAGLIONI LE GEMELLE KESSLER NOSTALGIA CANAGLIA AL FESTIVAL


Normalizzazione. Dopo le ansie della prima serata, la seconda ha potuto esibire il più autentico Festival modello Fazio. Le canzoni trattate meglio, il passato, il sociale, la bellezza, anche, con quella scenografia allusivamente palladiana, di Emanuela Trixie Zitkowsky; gli interventi di personaggi spiazzanti che non c’entrano niente con la musica, santi poeti e navigatori, Cristiana Collu, la direttrice del Mart di Rovereto ieri (dice: «La bellezza è il non so che, il quasi nulla»), Luigi Naldini, il ricercatore, l’altra sera. Collu aveva un braccio tatuato, ed era tesissima. Parlava con un fil di voce. Però qualche parola sull’arte e sull’estetica si è detta davvero: e, per come stanno le cose da noi, forse davvero è meglio che niente, di fronte a una platea comunque enorme, nonostante il calo di ascolti rispetto alla prima serata dell’anno passato, vedremo il seguito.
Prosegue la celebrazione dei 60 anni della televisione in Italia e dunque della Rai. Quindi il maestro Manzi, con le sue grandi lavagne di carta e «Non è mai troppo tardi» e i corsi di italiano per analfabeti e analfabeti di ritorno, e Claudio Santamaria, protagonista dello sceneggiato in onda lunedì e martedì su Raiuno che legge una lettera del maestro, quella che raccomanda ai suoi allievi di quinta «spirito critico, e soprattutto onestà, onestà e ancora onestà»; fiction poi promossa subito dopo nella pubblicità che in modo veramente martellante interrompe la rassegna. Una bella sinergia, l’anno scorso aveva portato molto bene a Beppe Fiorello che interpretava Modugno, gran successo.
E poi le gemelle Kessler: dopo Raffaella Carrà l’altra sera, tutte vagamente velonesche, sia detto con ammirazione, essendo le Velone di ricciana memoria una categoria dello spirito più che una rappresentazione di età. Con le Kessler si era inventato il sabato sera, il mitico Studio Uno in glorioso bianco e nero. «Total red» per Franca Valeri, nata a Milano il 31 luglio del 1920: effetto straniante sentirla fare la se stessa del tempo che fu, «Pronto mammà», raccontando della suocera che le va a casa «e me se piazza sulla poltrona mia». Porterà un suo monologo al Festival di Spoleto. Qui siamo a Bobbio, «De senectute». Mentre Littizzetto fa una telefonata alla mamma in spiccato accento piemontese, dice che ieri aveva Mollica sulle tette, «Mollica va via come il pane». Littizzetto è come la barzelletta: com’è tua moglie a letto?, chiede un amico all’altro. «Chi ne dice bene, chi ne dice male». Ecco, Luciana divide le platee, ‘sta storia della volgarità la accompagna. Anche lei l’altra sera era visibilmente agitata, ieri è ritornata nel suo ruolo di deuteragonista di Fazio, il contraltare, il Tony mentre lui è l’algido clown bianco, le citazioni di Delia Scala e Lando Buzzanca, Gloria De Antoni e Oreste De Fornari, oltre che, naturalmente, di Sandra Mondaini e Raimondo Vianello. Non si dimentichi che quando c’è lei, la domenica su Raitre, le altre reti non cominciano i programmi.
Il modello Fazio e le parole per dirlo, nella cornice della regia tradizionale e precisa di Duccio Forzano. Ieri lui e Littizzetto hanno declinato in tanti modi la parola «bello» per l’appunto. Bello, a esempio, secondo Littizzetto, è accettare di avere la cellulite e dire chi se ne frega (ma lei dice «chi se ne fotte»), e bello per lui è quando lei gli piace anche se ha la cellulite. Ieri, nella serenità, ha potuto dispiegare meglio le ali, il modello Fazio.
Ogni conduttore fa il Festival che sa fare. Che rispecchia la propria Weltanschaung, cioè la sua visione del mondo e, più modestamente, della televisione. E che porta il Nostro a usare parole forti, «au balcon» di Mollica al Tg1 per chi avesse adombrato (primo fra tutti Beppe Grillo) che la protesta dell’altra sera era combinata: «E’ un’accusa infamante». Esageroma nen, non esageriamo. Come se il mondo dello spettacolo non ne avesse viste di ogni colore, su ogni palcoscenico del mondo, finte, invenzioni e carrettelle, con buona pace della rispettabilità di tutti. Ha pure imitato Pippobaudo, Fabiofazio, e ieri le canzoni sembravano più belle, più gradevoli, certo non erano diluite come quelle poverette della sera prima. E poi c’era Baglioni con «Piccolo grande amore». E se Sanremo è Sanremo, Baglioni è Baglioni. Ovazione finale.