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 2014  febbraio 20 Giovedì calendario

QUELLA POLTRONA MALEDETTA TROPPO VICINA A COSA NOSTRA


Concorso esterno e voto di scambio: 6 anni e 8 mesi per Raffaele Lombardo in primo grado. Una condanna che arriva dopo quella definitiva (7 anni) che Totò Cuffaro sta scontando in carcere per favoreggiamento a Cosa Nostra. Due presidenti della Regione siciliana, due ex e post democristiani che si portano dietro l’onta di essere amici dei mafiosi, di averli aiutati in cambio di voti, tantissimi voti che avrebbero consentito loro di arrivare all’apice dell’Assemblea regionale siciliana. Sembra una maledizione che affligge l’isola e chiunque provi a governare una macchina politica e amministrativa elefantiaca quanto inefficiente.
L’attuale presidente siciliano, Rosario Crocetta, rifiuta questa «mortificante omologazione culturale», lo stereotipo secondo cui il condizionamento ambientale è ineluttabile, fatale. E che quindi la politica in Sicilia non può sfuggire alle spire di Cosa Nostra. Lui dice che è una questione di volontà politica, di costruire barriere all’infiltrazione dei comitati d’affari dentro la macchina amministrativa. «Noi l’abbiamo fatto - ripete fino alla noia Crocetta - sì, abbiamo cacciato la mafia dalla Regione siciliana, dagli appalti e dai subappalti. Le imprese che denunciano il pizzo, invece di essere discriminate, come prima accadeva spesso, ricevono sostegno pubblico. Lombardo e Cuffaro sono il passato e la giustizia fa il suo corso».
È inutile dire che gli avversari di Crocetta, e ormai ce ne sono tanti anche dentro la sua ex maggioranza, lo guardano come il solito logorroico e presuntuoso «caudillo» siciliano. Ma il governatore che viene dal Pci non è stato (finora) sfiorato da inchieste e nemmeno da sospetti. «Non ho motivo di dubitare sull’onestà di Crocetta - spiega lo storico Salvatore Lupo - e poi oggi il suo più grande problema è far funzionare la macchina amministratrice. In Sicilia non ci sono più soldi da distribuire, molti boss sono in carcere. Se c’è una maledizione è quella della nostra storia».
Lupo ha scritto un’acuta storia della mafia e da pochi giorni è in libreria un lavoro a quattro mani con il giurista Giovanni Fiandaca dal titolo molto significativo e controcorrente «La trattativa Stato-mafia era lecita». «Senza entrare nel merito delle sentenze - osserva Lupo - Lombardo e Cuffaro sono il risultato ultimo del boom degli investimenti del potere mafioso. Tutti gli ex e post democristiani si sono trovati gomito a gomito con gli ambienti mafiosi e la loro capacità di spostare consenso elettorale. Lombardo e Cuffaro ereditano quel sistema che emerge dalla disintegrazione della Dc e del suo sistema di potere. Hanno, anzi avevano, conservato le truppe e si sono divisi i voti. Non sono il frutto di un nuovo personale politico - continua Lupo - è gente che si è formata nella fase precedente con l’escalation mafiosa degli anni Ottanta. Sono riusciti a sopravvivere sulle quelle macerie senza avere la forza e la volontà di una cesura».
Insomma, Lombardo e Cuffaro sono figli di un mondo che in parte è scomparso e in parte è sommerso. Ma avevano ereditato tutti i debiti dei padri, senza avere tagliato i ponti con una certa concezione del potere. Quante volte Cuffaro ha detto di essere stato un «ingenuo», di essere stato troppo ben disposto a mescolarsi con tutte le persone che gli andavano incontro e che lui baciava sulla guancia (milioni di baci al punto da essersi guadagnato il nomignolo di «vasa vasa») senza chiedere il certificato penale.
Ingenuo? Durante il processo l’accusa ha ribaltato questa impostazione, uno schermo dietro il quale si nascondeva la volontà di favorire Cosa nostra. Una concezione secondo cui non è possibile fare politica in Sicilia senza sporcarsi le mani. «Un alibi - dice Lupo - costruito sulle macerie del passato».