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 2014  febbraio 19 Mercoledì calendario

I CETI MEDI SONO DIVENTAI I NUOVI METALMECCANICI


[Aldo Bonomi]

«In piazza eravamo abituati a vedere gli operai organizzati dai sindacati, adesso manifestano anche commercianti, artigiani, il popolo delle partite Iva coordinati da Rete Impresa Italia in rappresentanza di una nuova composizione sociale in crisi, di un ceto medio che non ce la fa più». Secondo il sociologo Aldo Bonomi, fondatore dell’istituto di ricerca Consorzio Aaster, un bei cambio di passo, a dimostrare un notevole ampliamento del disagio sociale.
Che intende? Che le è parso della manifestazione di Roma?
«Mi sembra che abbia un alto impatto simbolico, perché come la crisi del fordismo fu sancita dalla marcia dei 40mila (quella di Torino nel 1980, ndr), così la crisi del capitalismo molecolare che si è imposto tra la fine del Novecento e gli inizi del nuovo secolo, emblematicamente sta oggi in quei 60mila di piazza del Popolo».
Di segnali ce n’erano gli stati parecchi, anche perché tra gli effetti della crisi c’è proprio l’erosione progressiva del ceto medio: questa piazza che cosa cambia, segna un punto di svolta rispetto al passato?
«Siamo ad un passaggio importante delle rappresentanze. Rete Impresa Italia era abituata a discutere con la presidenza del Consiglio, e se adesso rappresentanze prudenti come Sangalli di Confcommercio o come la Cna, che hanno provato a più riprese a parlare, trattare con i governi passati, si ritrovano a chiamare il loro popolo in piazza, significa che siamo ad una situazione di disagio sociale non secondario. Tutto questo non nasce oggi, è vero che avevamo già avuto delle anticipazioni: con il cosiddetto movimento dei forconi, ad esempio, che è una parte di questa stessa composizione sociale, o anche con la manifestazione virtuale di Confindustria, a Torino la scorsa settimana. Cambiano le forme del conflitto e i modelli di rappresentanza, insomma».
Perché adesso?
«Il ceto medio non può più restare silente, semplicemente perché non ce la fa più. Solo nel 2013 hanno chiuso 372mila imprese, negli ultimi 5 anni siamo a mille chiusure al giorno, la crisi occupazionale magari non sembra eclatante, è del tipo carsico, strisciante, ma i numeri fanno impressione. Forse non è abbastanza chiaro che questo è il nostro tessuto produttivo diffuso: se si inaridisce, a catena verrebbero penalizzate le imprese medie, sarebbe un disastro per tutti».
Qual è la loro richiesta? Un impossibile ritorno al passato, a modelli che la crisi ha spazzato via, o che altro?
«Io credo che questo ceto medio abbia ormai capito che la crisi non è una transizione, un passaggio, ma una vera e propria metamorfosi dei modelli di produzione e di consumo, attraverso la quale chiede di essere accompagnato. Una parte del capitalismo è finito, tutti ce ne rendiamo conto. Anche il processo di modernizzazione del commercio va seguito, governato. Al di là delle richieste immediate ad esempio di avere meno tasse e meno vincoli burocratici il punto vero è che se il mercato interno non riprende, molto di questo ceto rischia di sparire. E questo è un messaggio chiaro per l’Europa e per la politica italiana».
Ma la politica finora non è riuscita a dare risposte adeguate.
«Le questioni essenziali sono due: fine delle pratiche di austerità e ripresa della domanda interna, un combinato disposto che ci ha ridotto a questo punto, con i soggetti intermedi che stanno saltando. La politica deve capire che il tessuto imprenditoriale diffuso è un patrimonio del capitalismo italiano, e se cede questo di sicuro non basterà l’Expo a risollevarci. Ma finora i segnali non sono stati recepiti».
Eppure la crisi del consumi e delle micro imprese non sono problemi nuovi, se n’è parlato parecchio negli ultimi anni.
«Se n’è parlato, ma i fatti non si sono visti. Questo è il blocco sociale che ha investito in Tremonti, nel berlusconismo, in parte in Grillo e che adesso vive un totale disincanto rispetto alla politica, rifugiandosi in ciò che resta a sua difesa, nelle proprie rappresentanze».
Adesso commercianti e artigiani si rivolgono a Renzi: è fiducioso?
«Questa è proprio una delle sue sfide, è un politico che sembrerebbe aver capito che l’Italia è fatta anche di questo tessuto produttivo. Non resta che stare a vedere».