Il Post 20/2/2014, 20 febbraio 2014
PERCHE’ SI CONTINUA A PROTESTARE IN UCRAINA?
Domenica 24 novembre 2013 si tenne a Kiev, capitale dell’Ucraina, la più grande e partecipata manifestazione dai tempi della “rivoluzione arancione” del 2004: più di 100mila persone si radunarono dentro e nei pressi di piazza Indipendenza, nel centro di Kiev, per protestare contro le reticenze del governo e del presidente ucraino, Viktor Yanukovych (leader del Partito delle Regioni, filo-russo), di concludere un vantaggioso accordo commerciale con l’Unione Europea. Il problema, come sempre nella storia recente dell’Ucraina, era la Russia: Il presidente russo Vladimir Putin non voleva che l’Ucraina firmasse quell’accordo, perché avrebbe allontanato il paese dall’influenza russa e l’avrebbe avvicinato a quella europea.
Nei mesi successivi la situazione peggiorò, e ieri, 18 febbraio 2014, gli scontri tra manifestanti anti-governativi e forze di polizia hanno provocato la morte di 25 persone: è stato il giorno più violento dall’inizio delle proteste. Nel mezzo tra queste due date, il 24 novembre e il 18 febbraio, sono successe molte cose, che rendono difficile pensare oggi a una soluzione rapida e pacifica della crisi ucraina. Ma andiamo per ordine.
L’accordo mancato con l’UE e quello fatto con la Russia
L’accordo commerciale di libero scambio che l’Ucraina stava negoziando da anni con l’Unione Europea era solo l’ultima delle questioni che avevano messo il governo di Kiev di fronte a una scelta: stare con la Russia o con l’Europa. Fino al 21 novembre scorso l’accordo sembrava inevitabile, anche se era già emerso qualche ostacolo di troppo nei colloqui tra le parti. Il più importante e difficile da superare riguardava la scarcerazione di Yulia Tymoshenko, ex primo ministro ucraino arrestata nel 2011 per abuso di potere: la sua liberazione era stata posta dall’UE come condizione necessaria per la buona riuscita dell’accordo, ma Yanukovych, avversario politico di Tymoshenko, non ne voleva sapere di soddisfarla.
Il 21 novembre successero due cose: il parlamento ucraino – con la decisiva astensione del Partito delle Regioni di Yanukovych – bocciò una legge che avrebbe permesso a Tymoshenko di uscire dal carcere; inoltre, lo stesso Yanukovich annunciò la sospensione delle negoziazioni con l’UE relative all’accordo di libero scambio. La combinazione di questi due eventi fece sì che le proteste a Kiev si sviluppassero molto rapidamente: i diversi gruppi di opposizione accusarono il governo di essere un burattino di Putin e di svendere il paese alla Russia. L’accordo proposto dall’UE avrebbe consentito di rendere più trasparente e dinamica l’economia ucraina, ancora molto chiusa e incapace di attrarre nuovi investitori. In cambio le autorità dell’Unione avevano chiesto una serie di riforme del mercato ucraino, che avrebbero potuto creare conseguenze dirette sulle numerose società che hanno stretti rapporti commerciali con la Russia. Questa era stata la ragione del ripensamento di Yanukovych, dissero le opposizioni.
A metà dicembre Ucraina e Russia strinsero il loro accordo, che tagliava fuori definitivamente l’Unione Europea: la Russia avrebbe investito 15 miliardi di dollari in titoli di stato ucraini e avrebbe ridotto il prezzo del gas che fornisce all’Ucraina di circa un terzo (da 400 dollari a 268,5 dollari ogni mille metri cubi). L’obiettivo era di ridare slancio all’economia dell’Ucraina e sostituirsi ad altri possibili salvatori, come il Fondo Monetario Internazionale e l’Unione Europea. I vantaggi dell’intesa erano – chiaramente – parecchi anche per la Russia: concludendo l’accordo, Putin rafforzò la sua influenza sull’economia e sulla politica dell’Ucraina. Klitschko – ex campione di boxe, capo del partito liberale di centrodestra Udar e uno dei leader più importanti delle proteste – disse dell’accordo: «Yanukovych ha svenduto gli interessi nazionali dell’Ucraina e l’indipendenza del paese. Ha accettato il piano di aiuti e messo le fabbriche, le centrali elettriche e le industrie pesanti ucraine a garanzia».
Si alza la posta in palio: i fatti di gennaio
Il 22 gennaio entrarono in vigore in Ucraina una serie di norme in materia di libertà di associazione e di manifestazione pensate per limitare le proteste e sanzionare in maniera molto dura i dimostranti. Le norme furono contrastatissime dalle opposizioni, e non solo per il loro contenuto: furono infatti adottate per alzata di mano e senza dibattito dalla maggioranza del parlamento e vennero definite «incostituzionali» e considerate responsabili di trasformare l’Ucraina «in uno stato di polizia». Le nuove leggi prevedevano, tra le altre cose, fino a cinque anni di carcere per chi decideva di partecipare a manifestazioni non autorizzate, vietavano di protestare a volto coperto o indossando un casco e di utilizzare megafoni in un luogo pubblico, e stabilivano una serie di provvedimenti restrittivi verso le ONG che ricevevano finanziamenti esteri. Riniziarono le proteste e le manifestazioni, dure e partecipate come quelle di novembre.
Lo stesso 22 gennaio la polizia iniziò lo sgombero con la forza di alcuni accampamenti nel centro di Kiev. Il 24 gennaio Yanukovych provò a fare qualche concessione alle opposizioni, promettendo un’amnistia e un rimpasto di governo e offrendo i posti di primo ministro e viceprimo ministro a due importanti leader delle opposizioni, rispettivamente Arseniy Yatsenyuk – uno dei più importanti esponenti di Unione Pan-Ucraina “Patria” – e Vitali Klitschko. Entrambi rifiutarono e alzarono la posta in palio: le dimissioni di Yanukovych. Passarono pochi giorni, e il 28 gennaio il parlamento abolì le legge anti-proteste e il governo si dimise, sotto la pressione delle enormi manifestazioni che si stavano tenendo a Kiev e che si erano diffuse in altre regioni dell’Ucraina occidentale.
In pratica la situazione politica da allora è rimasta uguale: Yanukovich accusa i leader dei partiti di opposizione di non essere in grado di controllare le frange più “radicali” ed “estreme” delle proteste di piazza, e chiede ai manifestanti di abbandonare piazza Indipendenza a Kiev; mentre le opposizioni chiedono le dimissioni di Yanukovich, le elezioni anticipate – anche forti di un rinnovato interessamento della comunità internazionale, e dell’UE in particolare – e una nuova politica estera che abbandoni la vicinanza alla Russia promossa dal Partito delle Regioni del presidente.
Si protesta in tutta l’Ucraina?
No. La maggior parte delle proteste degli ultimi mesi si sono concentrate a Kiev, specialmente in piazza Indipendenza, nella quale gli attivisti hanno da tempo messo in piedi alcuni sit-in permanenti: piazza Indipendenza – o Maidan, come viene chiamata in Ucraina – è diventata il simbolo di queste proteste, come è stato per piazza Tahrir in Egitto e piazza Taksim a Istanbul. Al di là a Kiev, gli ultimi mesi sono stati molto movimentati anche per le regioni occidentali dell’Ucraina, quelle in cui la maggioranza ha votato per Yulia Tymoshenko alle presidenziali del 2010, la popolazione parla prevalentemente ucraino (e non russo) e l’identità nazionale è più legata all’Europa. Una mappa che chiarisce bene la divisione politico-linguistica in Ucraina si può trovare qui.
Alcune delle città dell’Ucraina occidentale coinvolte nelle proteste sono state Ivano-Frankivsk, Černivci, Luc’k, Užhorod e Leopoli, dove nelle ultime settimane i manifestanti anti-governativi hanno preso di mira soprattutto gli edifici amministrativi locali. Recentemente le proteste si sono diffuse soprattutto in tutta la regione di Leopoli (che si chiama anch’essa Leopoli). Il Comitato Esecutivo del Consiglio regionale di Leopoli, organo esecutivo formato dai manifestanti, ha diffuso ieri un comunicato dicendo di essersi preso tutti i poteri legati all’amministrazione regionale: il suo scopo, dice nel comunicato, è quello di governare e mantenere ordine nella regione, facilitando l’invio di attivisti a Kiev. Invita inoltre tutti i dipendenti pubblici e i cittadini a rispettare le decisioni prese dal presidente del Comitato Esecutivo, Peter Kolodiy. Come hanno osservato alcuni giornalisti, questo potrebbe diventare un modello anche per altre regioni “dissidenti” dell’Ucraina.