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 2014  febbraio 19 Mercoledì calendario

ANGELO BRANDUARDI


Bedero Valcuvia Febbraio
Sono un musicista anomalo perché ho avuto successo con canzoni controcorrEnte. IL mio stile è come l’aglio: lo si ama o lo si detesta. Ma va bene così, un vero artista deve dividere». Parola di Angelo Branduardi, 64 anni compiuti lo scorso 12 febbraio, Acquario con ascendente Acquario, mancino, 43 anni di carriera sulle spalle, ora impegnato in una tournée con il nuovo album Il rovo e la rosa. L’artista, che odia interviste e fotografi, si è concesso con generosità a “Chi”, fino ad avventurarsi nel bosco sotto la neve. Dobbiamo soltanto superare i primi momenti di gelo nel suo studio di registrazione: un sacrario dove nulla dev’essere sfiorato, o spostato.
Domanda. Lei ha cominciato dalla musica classica...
Risposta. «Mi sono diplomato in violino al Conservatorio di Genova a 15 anni, come Salvatore Accanto e Uto Ughi, e non avrei mai pensato di cantare. I musicisti non hanno stima dei cantanti, che non distinguono un “do” da una sedia. Invece eccomi qui: ho avuto una camera di alti e bassi fino a raschiare il fondo del barile. Non si rinasce se non si tocca il fondo».
D. È vero che “si fa schifo” quando ascolta i suoi dischi?
R. «Non ho dischi miei in casa. Ascolto musica classica e pop americano. Sono un fan di Springsteen. Non ho preclusioni, a parte X Factor».
D. È vero che voleva studiare pianoforte?
R. «Oggi lo considero “una macchina per scrivere”, da ragazzo però mi piaceva. Ma eravamo poveri, e casa nostra era troppo piccola per un piano. Abitavamo a Genova, sull’antica via che separava la città ricca da quella povera. Vivevamo tra ladri, contrabbandieri e prostitute, eppure mia madre lasciava aperta la porta senza problemi».
D. Il violino era uno strumento più economico...
R. «Anche quello è diventato un problema quando, crescendo, ho avuto bisogno di uno strumento intero al posto di quelli per bambini. Mio padre non poteva permettersi un violino d’autore, ma non voleva darmene uno di fabbrica. Alla fine ha trovato un tranviere che costruiva violini per hobby. Quel violino mi ha accompagnato per anni. L’ho appena fatto sistemare, pagando cinque volte il suo valore».
D. Com’era il rapporto con suo padre?
R. «C’era grande affetto, anche se litigavamo spesso per la musica: lui amava Verdi, io sono wagneriano. Purtroppo se n’è andato molti anni fa, ma prima di morire mi ha detto quanto fosse fiero di me. Non parlava mai, mi ha commosso alle lacrime. Non ho potuto rispondergli».
D. Com’è arrivato al pop?
R. «Quando ci siamo trasferiti da Genova a Milano ho cominciato a lavorare in sala di registrazione sui dischi di altri. Un tale mi chiese se cantavo o componevo. “Lei è giovane”, mi disse, “con quei capelli potrebbe diventare un personaggio”. Nacque così Confessioni di un malandrino, che diventò un grande successo. Ero molto giovane: poi ci fu una gavetta infinita, anni a girare l’Italia senza guadagnare una lira, dormendo nell’auto perché non c’erano i soldi per l’albergo. Allora era normale. Oggi i cantanti giovani pretendono, ammiccano, s’illudono... non li sopporto».
D. Tanti sacrifici, ma tanta soddisfazione?
R. «Tanto amore per la musica, che è l’arte più spirituale. Secondo i saggi antichi, all’inizio dei tempi c’era il suono, poi venne la parola, poi arrivò lo sciamano che imita la voce di Dio e parla con Lui. La musica ti solleva un metro da terra».
D. Lei ha scritto musica sacra nell’album L’infinitamente piccolo, dedicato a San Francesco.
R. «Padre Fiasconaro (segretario generale dei francescani d’Italia, ndr) mi ha inseguito per otto mesi chiedendomi di musicare le Fonti Francescane, ma io esitavo. Gli ho chiesto: “Perché io? Non faccio la messa beat”. Mi ha risposto: “Dio sceglie sempre i peggiori”. Ho dovuto accontentarlo. Ho lavorato due anni per finire. Al primo concerto, nel giugno del 2000, la casa discografica prevedeva un pubblico di 200 persone in costume da bagno. Ne abbiamo avute 2.500 con mille che battagliavano per entrare. È proprio vero: le case discografiche non capiscono niente».
D. I momenti più belli?
R. «Sono legati alle mie figlie. A quando insegnavo loro a suonare e facevo il padre 24 ore al giorno. Ora Sarah Maria, 38 anni, scrive rapporti sui trend futuri, ed è anche un’ottima pianista. Maddalena, 33, è primo violoncello alla London Symphony Orchestra».
D. Sua moglie, Luisa Zappa, è una scrittrice...
R. «Luisa scrive libri per bambini e collabora con me come ricercatrice e coautrice. Sul lavoro ci diamo del voi, teniamo a distinguere gli scontri professionali dal privato. A Luisa devo molto: conosce come pochi il Medioevo che mi appassiona. Una sene di concerti con i successi di Branduardi, rinnovati tornando all’origine, e alla tradizione della musica elisabettiana. Dopo il debutto a Milano, il tour fa tappa a Savana, Verona, Modena, Torino, Belluno, Bassano del Grappa e Roma (29/3). Quando studiavo al Conservatorio ci offrivano solo due ore di cultura generale al giorno perché i musicisti erano considerati idioti. Dopo il diploma ho cercato di recuperare iscrivendomi a un istituto tecnico per il turismo. Lì ho avuto per professore il poeta Franco Fortini. In seguito ho incontrato Pasolini, De Andrè, Morricone e tanti altri, che sono apparsi come li avessi chiamati».
D. Lei si è sposato prima del successo...
R. «Non avevamo una lira, non si sapeva che cosa avremmo fatto e da incoscienti abbiamo messo al mondo due figlie. Con il tempo abbiamo realizzato molti sogni, anche il mio desiderio di vivere in una casa di legno».
D. La musica classica?
R. «Sono tornato a farla. Con gli album Futuro antico ripropongo le pagine più belle del Rinascimento italiano con specialisti che suonano su strumenti antichi. L’ottavo disco arriva a breve».
D. Come trova l’ispirazione?
R. «Mi sveglio alle 5, bevo il primo caffè, e le idee arrivano a poco a poco. Ascolto la musica nella testa e prendo appunti, prima di suonarla. Scrivo soltanto quando mi sento pronto».
D. Che cosa cambierebbe della sua vita?
R. «Nulla. Terrei anche il mio carattere così duro, ostico. Il mio maestro lo diceva sempre: “Il talento non serve senza il carattere”. Ora mi sono rammollito, ma da giovane ero d’acciaio».
D. Se non avesse sfondato come musicista?
R. «Sarei morto da barbone».
D. Un sogno da realizzare?
R. «Lavorare fino all’ultimo. Per fortuna somiglio a mia madre, 89 anni ad aprile, ma con la testa di una trentenne. Voglio schiattare sul palco. Scriva schiattare, mi raccomando».