Giovanni Del Re, Linkiesta 19/2/2014, 19 febbraio 2014
L’EUROPA IN PEZZI DAVANTI ALLE ROVINE DI KIEV
In Ucraina la situazione precipita e l’Europa - colta di sorpresa - si ritrova sull’orlo di una crisi di nervi. Ancora martedì un portavoce della Commissione europea faceva sapere che «non è appropriato» parlare di sanzioni. Poi – con l’aumentare di morti e feriti tra dimostranti e agenti di polizia a Maidan, e soprattutto dopo che la Germania ha improvvisamente aperto a misure contro il regime a Kiev – da questo mercoledì è cambiato tutto. Ed è cominciata una profonda agitazione, iniziata con la convocazione, da parte dell’Alto rappresentante per la politica estera Ue Catherine Ashton, di una riunione urgente del Comitato di politica e sicurezza dell’Ue (che riunisce gli ambasciatori presso l’Ue che si occupano della politica estera, di sicurezza e difesa comune dell’Unione). Poco dopo l’annuncio per questo giovedì pomeriggio di una consiglio straordinario dei ministri degli Esteri dell’Ue.
Il tutto con un fioccare di dichiarazioni, a cominciare dal presidente della Commissione Europea José Manuel Barroso (esperto nell’annusare il vento che tira) per chiedere in prima persona sanzioni – dopo aver letto, naturalmente, le dichiarazioni del ministro degli Esteri tedesco Frank Walter Steinmeier di martedì sera: «coloro - dice il capo della diplomazia di Berlino, finora contrario alle sanzioni - che sono responsabili in queste ore di ulteriore versamento di sangue devono sapere che la moderazione mostrata dall’Europa nei confronti di sanzioni personali sarà certamente rivista». Ed ecco Barroso: «abbiamo sempre detto con chiarezza che l’Ue risponderà con determinazione a ogni deterioramento sul terreno. Noi ora ci aspettiamo che siano concordate dagli stati membri, con urgenza, misure contro quanti sono responsabili delle violenze e l’uso di forza eccessiva» - così sembra che le sanzioni saranno decise perché le ha chieste lui.
E questo mercoledì mattina la Ashton si è fatta carico di «proporre» a nome della Commissione il varo di sanzioni - «saranno esplorate tutte le opzioni, incluso misure restrittive nei confronti di quanti sono responsabili per la repressione e la violazione dei diritti umani», è la formula di rito della Ashton. «L’Unione europea - fa sapere anche il presidente del Consiglio europeo Herman Van Rompuy - risponderà al deterioramento sul terreno anche con misure mirate». Idem il presidente del Parlamento europeo Martin Schulz, che parla di una «minaccia» di «sanzioni credibili e mirate contro quanti si sono macchiati di violazione dei diritti umani». Questo giovedì, in parallelo ai ministri Ue, ci sarà anche una riunione dei presidenti dei gruppi europarlamentari sull’Ucraina - con il Ppe in prima linea contro il presidente ucraino Viktor Yanukovich e a favore della piazza.
Sul tappeto le ipotesi non sono solo il congelamento di beni del presidente Yanukovich e del suo entourage e il divieto d’ingresso nell’Ue, ma anche l’embargo alle esportazioni in Ucraina di armi e di strumenti destinati alla polizia come ad esempio manganelli. Al momento sembra ormai configurato un consenso tra i Ventotto sulle sanzioni (che richiedono l’unanimità) - anticipato da dichiarazioni di fuoco di vari ministri, oltre al tedesco - lo svedese Carl Bildt, il lituano Linas Linkevicius, il britannico William Hague, il francese Laurent Fabius, il polacco Radek Sikorski - lo stesso che sarà a Kiev su incarico della Ashton. Anche il nostro ministro Emma Bonino - finora molto cauta - apre alle sanzioni, «non escludiamo misure restrittive» scrive in un comunicato. E sanzioni, del resto, chiede apertamente anche il presidente francese François Hollande.
Dietro però questo fuoco di dichiarazioni e le probabili sanzioni quello che emerge a Bruxelles è caos, stupore e sgomento. La nuova fiammata di violenze ha colto completamente - e colpevolmente - di sorpresa l’Unione europea che credeva il peggio fosse alle spalle dopo che i dimostranti avevano sgomberato il municipio di Kiev, e troppo si era fidata delle promesse di Yanukovitch. Barroso e Van Rompuy ora continuano a parlare di «dialogo politico tra le parti», soprattutto il portoghese insiste che «una riforma costituzionale, la formazione di un nuovo governo di larghe intese e la creazione delle condizioni necessarie per lo svolgimento di elezioni democratiche costituiscono la sola via d’uscita dalla profonda e lunga crisi politica in atto». Ma ormai ci credono davvero in pochi.
Soprattutto, dietro le quinte molti a Bruxelles ammettono che non è stato corretto l’appoggio incondizionato e senza distinzioni alla protesta, che sempre più è presa in ostaggio di movimenti fascistoidi, ultrazionalisti e antieuropei quanto antirussi, oltre che estremamente violenti - come il partito Svoboda (Libertà) di Oleh Tiahnybok, tanto per dirne uno. Movimenti che tutto vogliono tranne che la pacificazione e fanno di tutto per riattizzare la violenza in piazza. «Sappiamo che ci sono elementi violenti nella protesta contrari alla riconciliazione - confessa una fonte comunitaria - e temiamo siano controllati dall’esterno». Da chi? La fonte non lo dice. «Il problema è che su questi non abbiamo alcuna possibilità di influenza», aggiunge.
L’Ue si rende conto che il suo appoggio indifferenziato e incondizionato alla piazza ha dato forza anche a questi movimenti estremisti, eppure non riesce a trovare parole forti e chiare nei loro confronti - e dire che il disastro siriano, con l’opposizione anti Assad appoggiata dall’Occidente ormai dominata dagli integralisti islamici, avrebbe dovuto insegnare qualcosa. Il massimo che si ottiene da Bruxelles è una «esortazione» a «tutte le parti» ad astenersi dalla violenza. Solo Steinmeier va un po’ più in là: «esorto tutti - afferma il ministro tedesco - ad astenersi dalla violenza. Questo appello è rivolto alle forze di sicurezza, ma anche a elementi radicali tra i dimostranti».
Potrebbe essere ormai troppo tardi. L’Unione europea si trova di fronte a un cumulo di macerie, con una politica incoerente, superficiale e maldestra, fatta di proclami e pressioni senza precedenti nei confronti di uno stato sovrano, il tutto ignorando la storia e la realtà complessa di questa ex repubblica sovietica spaccata tra Est e Ovest, Europa e Russia. Emma Bonino non esita a parlare di rischio di guerra civile nel bel mezzo del continente - che rischia di essere peggio dell’Ex Jugoslavia.