Lucia Capuzzi, Avvenire 20/2/2014, 20 febbraio 2014
SOVVERSIVA MAFALDA -ƒ
Scamiciato a quadretti, cerchietto fra i capelli e immancabili orecchini. Nemmeno quando svolge le faccende domestiche, Raquel - madre borghese modello - rinuncia a una nota di eleganza. È intenta a stirare quando d’improvviso la figlioletta le si piazza alle spalle. Non si accorge di lei, finché non la trafigge con una delle solite stilettate verbali: «Mamma, perché ci sono i poveri?».
Mezzo secolo e centinaia di vignette non hanno cambiato Mafalda. La bimbetta bruna e spettinata di Buenos Aires continua a provocare con le sue frasi ingenue e al contempo scabrose. Perché la piccola non ha ancora imparato le regole della convenienza e del politicamente - o socialmente - corretto. Il mondo adulto le appare un mistero da esplorare. E per farlo interroga, con la smisurata libertà dei suoi sei anni, genitori, insegnanti, vicini. Le domande sono tanto concrete da apparire assurde. O forse assurde sono le ipocrisie dietro cui i ’grandi’ nascondono le loro contraddizioni. Nel 2014 come nel 1964. Era il 29 settembre quando sulla rivista ’Primera Plana’ spuntò, per la prima volta, la sua chioma ribelle. A disegnarla la mano di Joaquín Salvador Lavado Tejón, in arte Quino. «Eh sì, Mafalda è proprio una rompiscatole», ride l’autore che, a 82 anni, è uno tra i più celebri disegnatori latinoamericani viventi. Anche - e in buona parte grazie a quella «rompiscatole». Il primo libro di Mafalda, pubblicato in Argentina nel 1966, andò esaurito in quindici giorni. In mezzo secolo, le sue strisce - pubblicate in 50 Paesi e tradotte in 20 lingue - hanno venduto 50 milioni di copie.
Il dato più sorprendente è che continuano a vendere. Mafalda non è invecchiata. E’ incredibile come le sue «domande scomode» sembrino scritte proprio mettere in luce i controsensi della nostra società.
«Non avrei mai immaginato che potesse restare tanto attuale. Quando ho smesso di disegnarla, nel 1973, non pensavo che Mafalda potesse continuare ad avere un tale successo. Mi sorprende l’affetto che la gente nutre ancora nei suoi confronti. I bambini soprattutto... Il che da una parte mi rallegra. Dall’altra, però, mi rattrista. Vuole dire che il mondo, le sue ingiustizie, le diseguaglianze, i conflitti - problemi insomma che Mafalda denunciava mezzo secolo fa - sono rimasti immutati. Anzi, se qualcosa è cambiato, è peggiorato… Ma io sono un pessimista».
Eppure leggendola non si direbbe. Mafalda ha un tocco poetico anche quando dice e mostra quel che non vorremmo vedere… Proprio per il suo contenuto sociale, tanti lo considerano un fumetto per adulti. E’ d’accordo?
«Certo. Come del resto anche i Peanuts e la Pantera Rosa non sono fumetti per bambini. Mi sono limitato a mettere in bocca a una bimba di sei anni dei concetti semplici e per questo sconvolgenti».
Mafalda doveva essere la testimonial di una campagna pubblicitaria per il marchio di elettrodomestici Mansfield. Così le aveva chiesto un’agenzia che poi si è tirata indietro. Lei, invece, è andato avanti e ha trasformato Mafalda in un fumetto. A chi o che cosa si è ispirato per disegnarla?
«Volevo raccontare una storia a partire da un gruppo di ragazzini. Così mi sono rifatto ai Peanuts di Schultz [meglio noto con il nome dei protagonisti: Charlie Brown, Linus e il cane Snoopy, ndr ] e allo statunitense Blondie e Dagoberto».
E la chioma?
«Beh volevo che Mafalda fosse assolutamente riconoscibile. Così ho creato un dettaglio che la rendesse inconfondibile: la sua massa di capelli neri e gonfi».
Si ricorda la prima volta che l’ha disegnata?
«Sì. Ero nel mio appartamento dell’epoca, in calle Cile 371 nel cuore dello storico quartiere di San Telmo di Buenos Aires. Ora là di fronte c’è la sua statua, con la scritta: ’Qui visse Mafalda’».
Segno di quanto questo personaggio sia importante per l’Argentina… E non solo. Sa che perfino papa Francesco quando era ancora cardinale ha citato una striscia di Mafalda?
«Me lo hanno detto e la cosa mi ha lasciato basito. Nel 2009, l’allora arcivescovo di Buenos Aires stava riprendendo alcuni dirigenti della Caritas locale per aver festeggiato un compleanno in un ristorante di lusso. Così, li ha esortati a non fare come Susanita, l’amica di Mafalda, che, in un’occasione, le dice: ’Anche a me il cuore si stringe a vedere i poveri, credimi! Perciò quando saremo signore organizzeremo dei banchetti con tacchini, fagiani, e roba fine. Così raccoglieremo i soldi per poter comprare ai poveri farina, polenta, fagioli e quelle altre porcherie che mangiano loro’».
A proposito di cibo… È rimasto celebre l’odio di Mafalda per la minestra. Lo condivide?
«No, a me piace. Non mi piaceva quando mia madre, da piccolo, mi obbligava a mangiarla. La minestra è diventata, così, nel fumetto, l’allegoria di tutti i regimi militari che abbiamo dovuto patire in America Latina. La loro eliminazione di ogni libertà con la violenza e la repressione è stata disgustosa. Come la minestra per i bambini».
Eppure durante l’ultima, feroce dittatura in Argentina, dal 1976 al 1983, la ’sovversiva’ Mafalda non è stata censurata…
«Il che la dice lunga su quanto i militari capissero di arte…».