Michela Auriti, Oggi 18/02/2014, 18 febbraio 2014
PAPA’ SGARBI A 93 ANNI DEBUTTA CON UN LIBRO DI MEMORIE
Ro (Ferrara), febbraio
C’è un altro Sgarbi che, questa volta, ruba la scena al più noto critico d’arte. È il padre Giuseppe, per tutti Nino, scrittore esordiente all’età di 93 anni. Lungo l’argine del tempo - Memorie di un farmacista (ed. Skira, in libreria dal 26 febbraio) si presenta come un condensato di vita in quella provincia, feconda e coraggiosa, che oggi forse non esiste più. Nella campagna al confine tra Veneto ed Emilia, Nino si muove tra gli anni della Grande Guerra e l’alluvione del Polesine nel 1951. C’è la Rina, formidabile compagna, e i piccoli Vittorio ed Elisabetta: uno sempre immerso nei libri e riottoso all’autorità; l’altra, con laurea in Farmacia, decisa a preferire la strada della letteratura (è direttore editoriale della Bompiani, regista e anima della manifestazione internazionale la Milanesiana).
Nino racconta nella casa di sempre, sospesa tra arte e memoria, con poca considerazione per la sua nuova veste di scrittore: «Nei miei pensieri non esisteva un libro, è stata mia figlia a insistere perché i ricordi prendessero una forma». Così dice della moglie Rina: «Era una delle ragazze più belle di tutta Ferrara, e anche una delle più corteggiate. Me ne invaghii immediatamente, tanto da lasciare per lettera quella con cui ero praticamente fidanzato». Rievoca la passione e la laurea comune in Farmacia, «ma lei mostrava più bravura di me: prese 110, io 90». Ammette qualche distrazione: «La Rina non mi ha mai tormentato, non si è soffermata su tante cose. Ha dimostrato intelligenza». Però una volta sì, gli fece una sfuriata per quella telefonata che ascoltò accidentalmente. Lui diceva a una signorina: “Ciao cara, ci vedremo all’imbrunire”. Ma si trattava di un equivoco e, in quel caso, anche Vittorio si schierò dalla parte del padre.
SUL GRANDE E SPAVENTOSO PO
Potente e generoso, cupo e distruttivo, ecco infine il Po. Nino ricorda una figura quasi mitologica, quando accadde il disastro: «Con quella corrente spaventosa, chiesi alla Nena di traghettarmi al di là del fiume: volevo raggiungere la mia casa d’origine per verificarne le condizioni. Lei mi guardò come fossi un santo o un pazzo. La conoscevano tutti: portava sempre i remi in spalla, per paura che qualcuno glieli rubasse sulla barca». Forse, nota Nino, le conseguenze di quella terribile alluvione si potevano contenere. Come? «Se l’argine di Polesella fosse stato tolto. Il corso in piena deve comunque sfogare».
Vittorio irrompe nella casa, proprio come il fiume. S’immerge nel catalogare le opere della personale collezione, che ad aprile saranno in mostra a Osimo e poi in ottobre a Ferrara. «Gli ho trasmesso la passione per la letteratura», commenta il padre. «In collegio, quando la sera spegnevano la luce, leggeva con la pila sotto le coperte. E qui in giardino, di buonora, me lo vedo chino sui libri. O nel confessionale, mentre il prete diceva messa. O sui gradini della chiesa in piazza, dove c’era pericolo che qualche macchina lo prendesse. Ma alle mie reprimenda, Vittorio ha sempre risposto con l’indipendenza. E con l’essere uno studente infaticabile. Era molto legato allo zio Bruno Cavallini, il fratello di mia moglie che fu anche preside del liceo Beccaria a Milano: c’era affinità. È stata l’unica persona per cui ha pianto, quando è morto». Pausa. «Vuol vedere il libretto universitario di mio figlio?». Eccolo, laurea in Filosofia con indirizzo in Storia dell’Arte: tutti 30 e lode, con due “soli” 30. «Ma alla licenza liceale Elisabetta lo superò», puntualizza Nino, per filiale amor di verità.
Vittorio, che in questa casa sembra un altro, così arrendevole alle carezze della mamma, pacificato e conciliante, aggiunge la sua visione del padre: «Con lui ho avuto pochi rapporti, per carattere l’ho sentito distante. Rappresentava la regola, il rispetto degli orari: come per il pranzo o per la cena, che prevedevano compostezza e puntualità. Poi c’erano i principi, religiosi e umani. Il mio spirito ribelle si è sviluppato per contrapposizione. Lui significava il passato, il dogma. Mia madre, invece, era la modernità, la mia compagna d’avventura. La manager. Tante opere d’arte le ha acquisite lei, la si può ritenere fondatrice della collezione. Nino era più lirico, davvero amante della poesia, più femmineo. A segnare la nostra distanza, ci fu anche il periodo terribile del collegio che non ho mai perdonato. Fu forse a partire da lì che siamo diventati sconosciuti, pur conservando fermi affetti e nutrendo io riconoscenza per quanto mi ha consentito di essere». Ma lo svelamento arriva proprio con il libro tardivo di Nino: «Soltanto ora, dopo quarant’anni, scopro il padre che non conoscevo. Lo pensavo scolastico, e invece da queste sue pagine escono storia, pensiero, e una concezione della vita entusiasmante. Non c’è solo racconto, anche sensibilità. L’autore è il padre che volevo. Allegro, forte, convinto. Disegna caratteri e personalità senza rimpianto o nostalgia. Penso che sia, dopo Bassani, il miglior scrittore ferrarese».
Ma Nino scuote la testa, quando il figlio vorrebbe coinvolgerlo in una seconda prova a due voci. Possibile titolo: Dialogo col padre. Lui ancora si meraviglia nel vederlo in eterno movimento, mentre la Rina è preoccupata che non sia abbastanza coperto dal rigore invernale. «Ai miei figli c’era poco da insegnare», dice Sgarbi padre, «si sono educati da soli. E non potrei essere più contento, per le mete raggiunte e quelle che ancora verranno». Cosa pensa dell’irruenza dialettica di Vittorio, spesso fonte di critiche? «Mi va bene perché appartiene a mio figlio. Ma, specie quando la esercita in televisione, penso gli porti solo antipatie». «E sì che non ha detto una parola fino a due anni», aggiunge mamma Rina. «Io pensavo fosse muto! Quando poi aveva qualcosa da chiedere, veniva sempre da me».
LE DISCUSSIONI CON BASSANI E ZURLINI
Ancora le memorie si rincorrono. Ecco la passione per caccia e pesca: «Dopo ci si ritrovava qui in casa, con Giorgio Bassani, Valerio Zurlini, Florestano Vancini. Con Bassani giocai a tennis, ma dopo la partita mi disse: “Sarà il caso che lei prenda qualche buona lezione”». «Vittorio ha ereditato dal nonno omonimo la passione per il genere femminile», continua Nino. «Quello era talmente incline alla bellezza, che una volta mia madre lo sorprese ad accarezzare la mano di una suora». Invece Elisabetta, a breve nei cinema con Racconti d’amore, ricorda i giochi col fratello: lui era innamorato di Ilaria del Carretto, la scultura funebre di Jacopo della Quercia che sta a Lucca. E lei, bimba o poco più, veniva “costretta” da Vittorio ad assumerne la posizione: «Fai la morta, fai la morta!».
Un po’ Nino si dispiace, che il nome Sgarbi «non venga tramandato in via tradizionale»: «Vittorio ha tre figli, per noi sono sconosciuti». E ha belle parole per Sabrina Colle, la paziente fidanzata del critico: «Una brava ragazza. La ama e la stima perché lo lascia in pace». Gli dico: «Suo figlio è un uomo libero». E Nino, sorridendo: «Già. Che se ne farà, poi, di tutta questa libertà?».