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 2014  febbraio 18 Martedì calendario

PERCHE’ IL COLOSSEO VALE UN QUINTO DELLA TORRE EIFFEL?

PERCHE’ IL COLOSSEO VALE UN QUINTO DELLA TORRE EIFFEL? –

Roma, febbraio
L’Italia non è un Paese per poveri. Nel senso che possediamo talmente tante ricchezze materiali e immateriali notissime nel mondo (monumenti, cultura, paesaggi, cibo e buon vino) che qualche giorno fa la Corte dei Conti si è sentita in diritto di aprire un’istruttoria contro l’agenzia di rating Standard and Poor’s per averci declassato, nel 2011, senza averle tenute nel debito conto. Il danno? Si dice, 234 miliardi di euro.
Ma quanto vale questo “tesoro” italiano dimenticato dagli analisti stranieri e un po’ maltrattato dagli stessi italiani? C’è chi in realtà ha provato a tramutare in cifre la bellezza concentrata agli Uffizi, l’unicità di Pompei, la grandiosità del Colosseo. La stima l’ha fatta l’ufficio studi della Camera di Commercio di Monza e Brianza. Con tutti i limiti e le difficoltà di un’operazione così complessa, le cifre sono frutto di un monitoraggio approfondito. «Il Colosseo dev’essere visto come un’impresa», spiega Renato Mattioni, segretario generale della Camera di Commercio di Monza e Brianza, «e noi abbiamo applicato lo stesso sistema di valutazione che riserviamo alle imprese».
«UNA VALUTAZIONE RIDICOLA»
Entrano in gioco una ventina di criteri, tra cui il numero di turisti, i soldi che ognuno di loro spende, la riconoscibilità del “bene” su Internet, il numero e la qualità delle aziende coinvolte nell’indotto (ristoranti, alberghi, agenzie di guide turistiche ecc.) , il valore del territorio in cui il bene risiede. Mixando il tutto e aggiungendovi una spruzzata di Made in Italy ecco il risultato: il Colosseo vale 91 miliardi, i Musei Vaticani 90, il Duomo di Milano 82...
Fa specie vedere gli Uffizi relegati all’ottavo posto. Valore 12 miliardi di euro. «A me delle classifiche non importa nulla, tanto non siamo in vendita», tuona Antonio Natali, direttore del museo fiorentino dal 2006. «La stampa inglese ci colloca al 21° posto tra i musei mondiali ma, in realtà, siamo al primo. Se rapportiamo la superficie espositiva con il numero di visitatori non abbiamo rivali. Noi facciamo 1,9 milioni di ingressi l’anno, il Louvre, che è immenso (circa 10 volte più grande, ndr), 6,5».
Continua Natali: «È una valutazione ridicola: abbiamo una ventina di Botticelli il cui costo è incommensurabile. Vedo che nella classifica siamo preceduti da una “città di morti” (il riferimento è a Pompei, ndr). Ci si dimentica che noi possediamo l’unica opera sicura di Leonardo da Vinci su tavola, il Tondo Doni, per non parlare di Michelangelo che quei 12 miliardi se li divora tutti, da solo». Natali si infurierebbe ancora di più se sentisse le parole del professor Attilio Celant, esperto di Economia del turismo e docente di Geografia economica presso l’Università La Sapienza di Roma: «Novanta miliardi per il Colosseo mi sembrano un po’ tanti, forse la cifra andrebbe dimezzata, e così anche per gli altri monumenti. Il male dei beni culturali italiani è che producono poco reddito. Prendiamo l’anfiteatro romano. Il biglietto d’ingresso costa 12 euro, moltiplicandoli per il numero annuo di visitatori (circa 6 milioni, ndr) si arriva a 72 milioni di euro di introiti. Per convenzione diciamo che il Colosseo rende l’1% del suo valore, quindi il suo “prezzo” dovrebbe essere 7,2 miliardi di euro». E come si arriva ai 40-50 miliardi che ipotizza lei? «È qui che interviene il “brand”, una sorta di moltiplicatore del valore reale di un oggetto. Il Colosseo lo conoscono tutti...». Il paragone con l’estero è impietoso: se si confronta il dato proposto dal professor Celant con il valore assegnato ad alcuni monumenti esteri, tipo la Tour Eiffel, si vede subito che non c’è storia. La torre simbolo di Parigi vale ben 434 miliardi di euro. Ma, con tutto il rispetto, come può un groviglio di ferraglie essere valutato dieci volte una costruzione millenaria carica di storia e di fascino?
IL VALORE DEI PAESAGGI
Spiega Renato Mattioni: «La Tour Eiffel vale così tanto per due ragioni. La prima è che Parigi è una città dove funziona tutto. Prendiamo i trasporti, di vitale importanza per qualunque turista. Loro hanno 14 linee della metropolitana (contro le 2 di Roma, ndr). La seconda ragione è che la torre è l’unico vero marchio riconoscibile. A Roma nello spazio di pochi metri ci sono il Colosseo, i Fori Imperiali, l’Altare della patria, un grande sovraffolamento di monumenti». Aggiunge Celant: «Il valore dei monumenti italiani sarebbe molto più elevato se venisse fatta una corretta manutenzione. Vada a vedere, ad esempio, per il Teatro dell’Opera di Roma quanto c’è in bilancio per questa finalità, quasi niente. Se Della Valle metterà a posto il Colosseo è ovvio che aumenterà anche il peso del suo brand».
Nella classifica della Camera di Commercio figurano anche paesaggi. Brani di quell’Italia da cartolina che, purtroppo, va rapidamente scomparendo per colpa del cemento e dell’incuria. Secondo gli esperti, Chianti e Costiera Amalfitana valgono di più, altre mete meno. Dolomiti e Cinque Terre sono costrette a rincorrere Madonie siciliane e Riviera romagnola. «Non conosco gli indicatori utilizzati da chi ha stilato la classifica», dice Marcella Morandini, segretario generale della Fondazione Dolomiti Unesco, «ma se le cose stanno così questo risultato deve servirci da sprone. Il brand Unesco non ci mette al riparo da pericoli, abbiamo tanto lavoro da fare. Mantenere l’equilibrio tra boschi e pascoli, tutelare le rocce sono già attività impegnative. Farlo in nove siti che si trovano in cinque province diverse è un’impresa ardua». La prossima estate scatterà un monitoraggio senza precedenti (durerà quasi un anno) per analizzare il carico di autoveicoli sui passi di montagna e il peso della presenza umana. A causa della crisi diminuisce la gente che si ferma a dormire e aumenta quella di passaggio.
Messe in ginocchio dalle recenti alluvioni e ignorate dagli italiani le Cinque Terre se la passano decisamente maluccio: oggi varrebbero appena 725 milioni di euro. «Il 60% dei turisti che ci visita è straniero», conferma Luca Natale, portavoce del Parco Nazionale delle Cinque Terre, «sono quasi tutti cinesi, giapponesi e coreani». A riprova del forte legame con l’Oriente nel 2006 fu siglato il gemellaggio con la Muraglia cinese. «Gli asiatici arrivano in Italia con l’intenzione di visitare almeno Roma, la Costiera Amalfitana e le Cinque Terre. Forse noi fatichiamo a competere con gli altri a causa della scarsa ricettività alberghiera, così siamo finiti in fondo alla classifica. Ma siamo anche una terra di passaggio. Tanti atterrano a Pisa, visitano la Torre e poi vengono qui».