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 2014  febbraio 20 Giovedì calendario

LETTERE 2006 Lager tedeschi e alleati …. Mi è stato regalato un libro in cui è riportato il diario di un marinaio italiano arresosi ai tedeschi, assieme ai suoi commilitoni, in Grecia, il 9 settembre 1943, e deportato in Germania

LETTERE 2006 Lager tedeschi e alleati …. Mi è stato regalato un libro in cui è riportato il diario di un marinaio italiano arresosi ai tedeschi, assieme ai suoi commilitoni, in Grecia, il 9 settembre 1943, e deportato in Germania. L’autore, giovandosi di una veste tipografica elegante, si dilunga per oltre trecento pagine a lamentare il freddo e le deficienze del vitto. E’ stata una lettura utile, che ho voluto continuare fino alla fine e che mi ha fatto tornare alla mente altri campi di prigionia di cui nessuno parla perché la discriminazione manichea imposta dal regime vigente asservito pecorescamente alla Sinarchia Universale, non consente ancora l’emergere della Verità. Dunque, il povero giovane marinaio, abbandonato da Badoglio e dal re al suo destino, era alloggiato in uno di quei "famigerati lager" attrezzato però con baracche prefabbricate in cemento armato, corredate di normali finestre, regolarmente munite di vetri e imposte. Le camerate erano arredate con brande e con stipetti ordinatamente assegnati ad ogni ospite. Tutte le baracche erano riscaldate da stufe a carbone per cui l’autore però lamentava che fossero forniti "solo 5 kg di carbone al giorno", trascurando di considerare le restrizioni di guerra a cui era sottoposto tutto il popolo tedesco. A questo punto vorrei esplorare i campi di prigionia "alleati" per constatare che nessuno di coloro che ebbero la ventura di esservi ristretti ha mai lamentato la deficienza del carbone per il riscaldamento, infatti semplicemente non c’erano né le stufe, né ovviamente, altro sistema di riscaldamento. Il solito benpensante potrebbe argomentare che in Italia non c’era bisogno di stufe, ma spesso non c’erano neanche le baracche e quando c’erano le tende, non si poteva stare in piedi e se pioveva non si poteva stare neanche sdraiati perché anche l’interno della tenda si allagava e quindi si era costretti a passare la notte in piedi sotto la pioggia. Ma non sempre c’erano neppure le tende e i prigionieri si arrangiavano con qualche pezzo di cartone, o paglia, se riuscivano ad avere il privilegio di trovarne. Qualche rara volta potevano capitare delle baracche semisconnesse di lamiera, gelide d’inverno ed infuocate d’estate, come nel campo di smistamento di Torrette di Ancona. Ma accadde pure che qualche volta si utilizzassero strutture industriali dismesse, come avvenne per il "R. Civilian Internee Camp" di Collescipoli (Terni), o anche si utilizzò addirittura una certosa abbandonata, come avvenne per la certosa di Padula in provincia di Salerno ( 371 PW camp di Padula.) Il nostro ex marinaio insoddisfatto lamenta pure che il vitto era da fame, ma in quel periodo anche i civili tedeschi non avevano da scialare e ciononostante accadeva pure che qualcuno gli offrisse qualche fettina di pane e margarina. A tal proposito vorrei raccontare cosa forniva all’epoca l’amministrazione carceraria "badogliana" del carcere di "Poggioreale" a Napoli. Tutti i giorni, dal 1944 al luglio del 1946, data in cui potei usufruire dell’amnistia, veniva distribuito una sola volta al giorno, un mestolo di "minestra", costituita invariabilmente, dalla famigerata polvere di piselli senza condimento alcuno, cotta molto male perché la caldaia era un mezzo fusto di benzina con spigoli vivi in cui si raggrumava la polvere di piselli la quale acquistava pertanto un sapore di bruciaticcio aspro che infiammava irreparabilmente la gola e l’esofago e, nonostante la fame nera, non si riusciva a mandare giù. Si poteva, è vero, pescare alcuni torsoli di cavolo. Ma i torsoli di cavolo erano di consistenza legnosa e accuratamente mondati dalle foglie per cui si doveva cercare di rosicchiare qualche resto di peduncolo rimasto attaccato per sbaglio al torsolo. Tutti i giorni così, ineluttabilmente. Veniva distribuito anche un panino di scarsi cento grammi, che poi divenne truffaldinamente bianchissimo, ma peggiorò perché senza sapore e senza sostanza, tanto che non riuscire a capire che miscela di farine americane si era usata per infornarlo; forse la farina di frumento non c’era per niente e si rimpiangeva il minuscolo panino nero. Cosa si mangiava nei famigerati lager tedeschi? Secondo la testimonianza del marinaio deportato veniva distribuito una volta al giorno "un mestolo di minestra costituita da patate, rape, barbabietole e verdure", più "un quartino di pane" e "un pezzettino di margarina", che poteva essere sostituito di tanto in tanto da "due fettine di salame" o anche da "due cucchiai di marmellata" a cui venivano aggiunti a Natale, Capodanno, Pasqua e in qualche altra più rara occasione la pasta e addirittura "due cucchiai di budino". Cosa si mangiava nei lager "alleati"? Molto di meno e molto peggio: gli inglesi non si vergognarono di infierire fino al punto di alimentare i civili italiani reclusi nel campo di Padula, perché fascisti o ritenuti tali, nei primi tempi esclusivamente con ghiande; si, avete letto bene: esclusivamente con ghiande. Poi, col passare del tempo, il vitto fu meno bestiale, ma sempre scarso ed insufficiente, al punto che, quando furono tagliati degli ulivi, molti reclusi si lanciarono a divorare le olive di quei rami, nonostante fossero ancora immature ed amarissime. Nei gelidi ed umidi cameroni della certosa, i cui finestroni erano assolutamente privi di vetri e di alcun riparo, si dormiva per terra sulla paglia, in cento per ogni camerone. Gli indiani incaricati della sorveglianza si facevano strada a pedate ed a scudisciate. Ma il nostro connazionale deportato dai tedeschi si lamentava invece che il capo campo tedesco lo considerasse "un traditore" e lo apostrofasse talvolta con voce burbera. Cattivone! La principessa Pignatelli, ci ha testimoniato l’episodio allucinante della prigioniera Nicoletta de Terlizzi, uccisa nel campo di Collescipoli, sotto gli occhi delle sue compagne allibite soltanto perché si era sdegnosamente rifiutata di andare a ballare con un soldato inglese. Nello stesso campo venivano inflitte inumane umiliazioni ai prigionieri maschi: Ha scritto ancora la principessa "Ricordate Terni, ove per punizione un colonnello polacco amico degli inglesi e che si era costruito un campo ostacoli per cavalcare, si divertiva con una lunga frusta da maneggio a far correre ai ragazzi italiani gli stessi ostacoli dei suoi cavalli". (Lettera che la principessa scrisse verso la fine del 1949 a David Rousset,) Nel campo di Coltano, (PWE 336 e 337 nella tenuta dell’O.N.C. di Coltano) tenuto dagli americani, a guerra ormai finita, un caporale americano, riveritissimo capo campo, entrava con lo scudiscio di nervo di bue e non si peritava di schiaffeggiare qualche malcapitato prigioniero ex combattente della Rsi e in qualche caso usava pesantemente e senza misericordia anche lo scudiscio. (Mariano Dal Dosso, Quelli di Coltano, Editore Giachini, Milano, terza edizione, 1950.) Il vitto era assolutamente insufficiente e i prigionieri, quando potevano si arrangiavano con i rifiuti della cucina.(bucce di patate e quanto altro) Niente baracche, ma solo piccole tende canadesi, che si dovevano obbligatoriamente smontare di giorno. Tende anche nel campo PWE 339 di S. Rossore . Nel campo di punizione PWE 335 di Metato, sempre in Toscana, al posto delle tende vi erano delle gabbie senza altra copertura che il filo spinato, addirittura peggio delle tristemente famose gabbie per i prigionieri afghani a Guantanamo, che almeno hanno un tettuccio di lamiera. In una di quelle gabbie fu rinchiuso Ezra Pound. Ma i lager tedeschi hanno goduto e continuano dopo sessant’anni persistentemente a godere una pessima fama; si è detto che ebrei e partigiani fossero addirittura gasati. Eppure in un impianto del genere furono fatti passare anche il nostro giovane marinaio e tutti gli altri suoi commilitoni, e ne uscirono vivi e disinfestati dai parassiti assieme agli indumenti ed ai rispettivi zaini. Non ho svolto degli studi particolari sull’argomento, tuttavia ho avuto occasione di leggere qualche pubblicazione e mi sono fatta una mia opinione sugli errori grossolani commessi da chi ha sostenuto la colpevolezza dei tedeschi, ma non voglio, né potrei addentrarmi in una discussione che comporterebbe dissertazioni tecniche, formule chimiche e calcoli piuttosto ostici. ( Franco Deana, Studi revisionistici, Graphos, Genova, 2002) Mi limiterò a considerare che se effettivamente si volevano eliminare degli oppositori, sarebbe stato un imperdonabile spreco, oltre tutto controproducente alloggiarli in baracche accoglienti, sarebbe bastato usare i metodi "alleati" culminati nell’organizzazione di sterminio preordinata e fortemente voluta dal comandante in capo dell’esercito americano Dwigt Eishenower detto Ike, che fece rinchiudere gli ex combattenti tedeschi in enormi campi di sterminio in Germania, dove si dormiva sulla nuda terra, esposti al gelo e per ripararsi in qualche modo si scavava una tana nel terreno, ma venivano nottetempo azionate le ruspe che ripianavano la superficie del campo: settecentomila morti di stenti e di malattie; duecentomila nei campi gestiti dai francesi. Naturalmente era proibito a chiunque portare aiuto ai prigionieri, o anche soltanto avvicinarsi al campo La guerra, si diceva infatti, era finita; gli uomini erano stati liberati dalla schiavitù.ecc. ecc. Ma allora che bisogno avevano i tedeschi cattivi e feroci, di alloggiare i prigionieri in accoglienti baracche, pure riscaldate e di fornire loro un vitto passabile, compatibilmente con le deficienze dei tempi? Ike ci ha insegnato molte cose; dobbiamo riconoscere che quando ci si metteva era veramente bravo. E infatti la Sinarchia Universale lo volle Presidente degli Stai Uniti d’America. Francesco Fatica 04/08/2006