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 2014  febbraio 19 Mercoledì calendario

HOLLYWOOD, NON FAI PER ME


ADRIANO GIANNINI È UN PARADOSSO vivente. Tutti sanno chi è ma, in realtà, di lui si sa poco. Per esempio, molti credono che viva all’estero solo perché ha lavorato in più occasioni in qualche produzione americana. E invece sta a Roma, dove ha radici profondissime, da quercia: vive nella casa dove stavano i suoi genitori quando è nato, 42 anni fa.
Figlio di Giancarlo, uno degli attori più amati della sua generazione, protagonista di film epocali, e di Livia Giampalmo, regista e doppiatrice, Adriano non è mai stato sposato, non ha figli, ha avuto una lunga convivenza con Maria, professione restauratrice, ma la relazione è finita un anno fa. No, non ci sono altre ragazze all’orizzonte e anche Nathalie Dompè, con cui è stato di recente fotografato a passeggio in un parco (vedi Vanity Fair n. 6), è solo un’amica. E no, non gli piace essere single, dice che ha sofferto per la fine della sua storia d’amore, che sta ancora faticosamente scrollandosi di dosso un’amara sensazione di fallimento.
Lo incontro a Roma, alla vigilia dell’inizio delle riprese della seconda stagione di In Treatment, la serie di Sky, dove interpreta uno dei pazienti dello psicoanalista Sergio Castellitto. Intanto stanno per uscire i film Una donna per amica di Giovanni Veronesi (il 27 febbraio) e Un matrimonio da favola di Carlo Vanzina (ad aprile). Inoltre, Giannini ha un passato di cineoperatore e un futuro come regista: nel 2009 ha debuttato con un cortometraggio molto premiato (Il gioco, tratto da un racconto di Andrea Camilleri) e ha in mente di dirigere altro, al più presto.
Adriano è bello e questa è certamente la prima cosa che si nota, incontrandolo. Somiglia a suo padre, e questa è la seconda. La terza cosa che si osserva è che, diversamente da gran parte dei suoi colleghi, sa raccontare tutto e bene: cose buffe e cose tristi, senza bisogno che il giornalista gli cavi le parole con l’argano. Quindi ho deciso di farmi da parte e di offrirvi questo suo «monologo».

DI QUANDO ERA BAMBINO.
«Una volta mi portarono sul set di un film di papà, credo Pasqualino Settebellezze o forse Film d’amore e d’anarchia, per farmi impersonare lui da piccolo, in un flashback. La Wertmüller (Lina, regista del film, ndr) mi mise davanti un biglietto da diecimila lire. Poi mi spiegarono che avrei dovuto stare seduto su un vasino come se stessi facendo i bisogni e avrei dovuto tenere in mano una matassa di lana mentre l’attrice che interpretava la nonna faceva il gomitolo. Devo averlo trovato lesivo della mia dignità, così piantai un capriccio e dissi: “Io non faccio il pagliaccio”».

DI QUANDO FECE UN FILM PORNO (come operatore, non come attore).
«Ho iniziato a fare l’operatore a 18 anni, lavorando sul set di un film di mia madre, poi ho girato una quarantina di film, con grandi registi, da Olmi a Tornatore. Ho fatto documentari, spot pubblicitari, quello che capitava. Una volta persino un film porno. Il regista era un americano con pretese artistiche: girava questi porno molto curati, con controluce, ralenti, effetti molto raffinati. Ci andai per i soldi e per curiosità: ovviamente c’erano donne bellissime. Molto antipatiche, però. Se la tiravano da pazzi, manco Liz Taylor! E l’esperienza in sé di riprendere le scene hard è stata piuttosto brutta. Dopo due ore così, mi era preso un disinteresse totale verso la materia».

DI QUANDO DIVENTÒ ATTORE. «Avevo 28 anni, si era come chiuso un ciclo, avevo voglia di fare qualcosa di diverso. Così, finito di lavorare al Talento di Mr. Ripley, di nascosto da tutti, mi iscrissi a un corso di recitazione. A mio padre lo dissi solo dopo che mi avevano preso. Fu un’esperienza assurda. Io ero già adulto, gli altri ragazzini in piena esplosione ormonale. Ogni tanto c’erano esercizi di mimo in gruppo, tipo: fate gli alberi che oscillano al vento. Man mano che il “vento” ci avvicinava, tutti cominciavano a toccarsi come pazzi, con finta distrazione. Allora io mi allontanavo e finivo all’angolo della palestra, con le braccia che ondeggiavano in alto, sentendomi un cretino».

DI QUANDO È FINITO NEL REMAKE di Travolti da un insolito destino nell’azzurro mare d’agosto. Con Madonna!
«Il destino si è divertito a giocare con me. E io sono stato al gioco. Avevo girato solo due film, ero uno sconosciuto quando mi è arrivata questa proposta. Andai da mio padre (protagonista, con Mariangela Melato del film originale del ’74, ndr) a chieder consiglio e lui mi disse: “Corri! Certo che non verrà un bel film, ti pare che possa venire migliore del nostro? Ma che importanza ha?”. Giancarlo mi ha trasmesso la sua giusta dose di incoscienza e di ironia, l’unico modo per fare questo mestiere senza diventare pazzi».

DI TUTTE LE ALTRE VOLTE CHE ha lavorato in America.
«Feci un provino per Ocean’s Twelve di Steven Soderbergh e mi presero. Tutto a posto, poi mi arriva il copione aggiornato e scopro che la mia parte non c’è più. Allora dico alla mia agente che lascio perdere. Il giorno dopo sono in coda in un negozio e mi squilla il telefono. Era Soderbergh, dal set. Mentre dà indicazioni a Clooney e agli altri, mi chiede perché non voglia più fare il film. Gli dico: “Ma la parte non c’è più”. E lui: “Vieni lo stesso, la riscrivo”. Sono andato, ho girato qualche scena, quasi tutte tagliate. Ma è servito a iscriversi al sindacato degli attori americani. Ogni volta che Ocean’s Twelve va in onda da qualche parte nel mondo, mi arriva un assegno a casa. Ho preso più soldi di diritti nel corso del tempo che di cachet al momento delle riprese. Poi ho fatto questa serie per la Tv, Missing. Ho firmato un contratto di sette anni con il network americano Abc. Dopo la prima stagione, la serie è stata cancellata. Pazienza. Proprio ieri ho registrato un provino per un’altra cosa. Vedremo. Ma a me, in fondo, Hollywood non piace. Tutte le volte che vado a Los Angeles mi sento avvolgere da una cappa di malinconia. Non mi piace l’ossessione per l’efficienza, che spesso è anche fasulla, e detesto la mentalità competitiva. Per farle capire: io gioco a tennis e mi piace molto. Finché palleggio vado fortissimo, in partita perdo sempre».

DEL PERCHÉ VIVE NELLA CASA DOVE È NATO.
«È la casa dove c’è tutta la nostra storia. I miei la comprarono nel ’70, prima che io nascessi, a suon di cambiali perché mio padre era ancora agli inizi della carriera. Ci ha vissuto mia madre dopo che si è separata, ci ho vissuto io da solo e poi con la mia compagna. È stata anche la casa di mio fratello (Lorenzo, di poco più grande, scomparso a vent’anni per un aneurisma, ndr). È il mio mondo, nel bene e nel male. E sì, in questa casa c’è anche il ricordo di un dolore che è sempre presente».