Omero Ciai, la Repubblica 19/2/2014, 19 febbraio 2014
“SPOSTIAMO INDIETRO LE LANCETTE” SPAGNA, ADDIO ALL’ORA DEL DITTATORE
SARÀ questa l’estate della svolta? Il momento nel quale la Spagna sceglierà di tornare nel fuso orario di Greenwich, come sarebbe ovvio dalla sua posizione geografica, lungo il meridiano di Londra, lasciando l’ora dell’Europa centrale? Il dibattito è aperto dopo che a settembre il Parlamento ha fatto proprie le raccomandazioni della “Commissione per la razionalizzazione degli orari” che, in nome di competitività e migliori standard di vita, ha chiesto di spostare indietro di un’ora le lancette nazionali per farle coincidere con la vera ora solare della penisola iberica.
Insomma, tutto quello che è per noi originalità e piacevole bizzarria dei costumi sociali, come le partite di calcio che iniziano alle 22,30, le lunghissime pause pranzo, la siesta, i negozi aperti fino a tardi o il sole che a luglio su Madrid tramonta dopo le dieci di sera, non sarebbero altro che il frutto di un capriccio. Quello del dittatore Francisco Franco che nel 1940, vinta la Guerra Civile contro l’ultima Repubblica, per compiere un gesto di simpatia verso Hitler e Mussolini decise di allineare l’ora spagnola con quella di Roma e Berlino (Europa centrale) piuttosto che con quella della “perfida Albione” (Londra, Europa occidentale). Un’ora avanti. Addirittura due, con l’ora legale europea, da marzo a ottobre. «Un jet-lag permanente». Scelta che s’è trasformata in una identità del Paese, quella di «mangiare in un altro tempo», mai prima delle due: e di «dormire in un altro tempo», mai prima dell’una di notte. Una pessima abitudine che ha effetti negativi sulla vita quotidiana — sostengono oggi i fautori del ritorno all’ora britannica — perché allunga inutilmente la giornata lavorativa e complica le relazioni familiari.
Il prime-time in tv non inizia mai prima delle 21,30 e un recente sondaggio ha rivelato che almeno il 25% delle famiglie guarda la televisione fino ad oltre l’una di notte. Il venerdì sera gli adolescenti escono di casa solo dopo mezzanotte per andare a bere o a ballare e alla dieci di sera a Madrid i parchi sono ancora pieni di bambini che giocano in attesa che mamma e papà tornino a preparare la cena. Di più: a Vigo, Galizia, estremo ovest della Spagna sull’Oceano, grazie al capriccio di Franco, per tutto l’inverno i ragazzini vanno a scuola col buio. Il sole, infatti, sorge alle nove.
Per i promotori della svolta non ci sono dubbi. Rimettere le lancette indietro sull’ora solare avrebbe solo effetti benefici. Si dormirebbe di più e si lavorerebbe meglio. Un toccasana anche per la crisi. Efficienza, competitività, benessere sono le «idee forza» dell’annunziata rivoluzione oraria. Un lavoratore spagnolo oggi trascorre in media in ufficio più tempo di un tedesco ma la sua produttività è quasi meno della metà. Certo, il cambio di orario sarebbe solo l’inizio di un’operazione per trasformare il costume nazionale che avrebbe bisogno di altre scelte. Ma non tutti sono d’accordo perché la lunga pausa pranzo è ormai un must, com’è impossibile trovare un collega in redazione prima delle cinque del pomeriggio, e anche tirar tardi in ufficio è un’abitudine difficile da modificare. E poi fra identità nazionale e fuso orario sorge un dubbio. George Orwell scrisse il suo libro sulla Guerra Civile spagnola (“Omaggio alla Catalogna”) nel 1937. E alcune delle sue pagine più belle sono quelle in cui racconta l’arrivo a Barcellona e la sua disperata ricerca di un barbiere aperto la mattina presto prima di affiliarsi alle Brigate internazionali a difesa della Repubblica. L’ordine filo hitleriano di Franco e il cambio di fuso sono di tre anni dopo. Ma per il britannico Orwell, era scozzese, trovare un negozio aperto alle otto del mattino era già un’impresa.