Francesco Caruso, la Gazzetta dello Sport 19/2/2014, 19 febbraio 2014
CIAK SORRENTINO – [«DEVO RITORNARE IN A E CI SARÒ A 40 ANNI»]
[Stefano Sorrentino]
Per Stefano Sorrentino i sogni non muoiono mai. Alla vigilia dei 35 anni racconta di aver perso qualche treno, ma non la speranza di coronare altri desideri. A cominciare dalla promozione: «Il Palermo in B non c’entra nulla, ma non è giusto dire che la Serie A possiamo perderla soltanto noi. Sarebbe una mancanza di rispetto nei confronti di chi lotta per lo stesso obiettivo».
Intanto è arrivato a 557 minuti di imbattibilità: un’impresa mai riuscita prima, giusto?
«Esatto. Non tengo la contabilità, ma so per certo che un periodo così lungo senza prendere gol non lo avevo mai vissuto e questo mi inorgoglisce».
Quello con suo padre Roberto, che parò in A con il Catania negli anni Ottanta, è un derby di famiglia?
«Con papà non parliamo di calcio, ha sempre avuto paura che i suoi giudizi potessero condizionarmi. Però mi ha insegnato il rispetto e la correttezza che io cerco di inculcare alle mie figlie, Carlotta, Matilda e Maria Vittoria, che ho avuto con mia moglie, e Viola, nata dalla mia attuale compagna Sara».
C’è qualcosa che l’accomuna a suo padre?
«Sì, la sfortuna. Entrambi avremmo meritato di giocare in squadre da scudetto. ma non siamo riusciti a cogliere certe occasioni. Papà poteva andare alla Juve al posto di Tacconi, ma c’era una clausola nel contratto col Catania che in caso di promozione in A sarebbe rimasto. E pure io dovevo andare a Torino quando si fece male Buffon, al posto di Storari, ma le società in extremis non si misero d’accordo».
Però lei in Grecia con l’Aek giocò anche la Champions e fu nominato miglior portiere della giornata quando batteste il Milan.
«Vero, pensate che all’andata, quando giocammo a San Siro, mio padre non voleva neanche venire a vedermi perché gli sembrava più comodo guardare la gara in tv. Alla fine accettò l’invito e io presi 3 pere. Ma quella all’estero è stata una grande esperienza, sia in Grecia che in Spagna, la raccomando a tutti i giovani».
Tornerebbe da allenatore?
«No. O meglio, non voglio fare il tecnico perché non saprei come badare a 30 scalmanati. Mi vedo dirigente o magari procuratore. Però non so quando smetterò. Il mio sogno è di giocare a 40 anni in A».
Sempre a Palermo?
«Non lo so, non riesco a guardare troppo in avanti perché ho paura d’invecchiare».
O con il Chievo, visto che a gennaio sembrava sul punto di fare marcia indietro: ma non vi eravate lasciati male?
«C’è stato un chiarimento privato col presidente Campedelli e col direttore Sartori e, in effetti, nel mercato invernale si sono mostrati seriamente interessati, ma avevo preso l’impegno di aiutare il Palermo a tornare là dove l’avevo preso».
Chi è il numero 1 da cui pensa di avere appreso qualcosa?
«Quando papà allenava i portieri della Juve io lo seguivo e mi mettevo dietro la porta per osservare da vicino Peruzzi, il più grande di tutti. Il portiere bravo si riconosce dal modo in cui riesce a rendere semplici anche le parate più difficili. Da lui ho imparato a non perder mai la calma».