Renato Pezzini, Macro, il Messaggero 19/2/2014, 19 febbraio 2014
PRECARI E GRILLO A SANREMO È SUBITO CAOS
IL CASO
SANREMO
Prima dei due operai appesi alla ringhiera della piccionaia, prima di Fazio che legge la loro lettera, prima dell’inizio più movimentato della storia di Sanremo, c’è Beppe Grillo. Il quale arriva fin qui sperando di monopolizzare il capitolo «proteste al Festival»: gli va male. Tanto che dopo aver imbastito un comizio fuori dal Teatro Ariston si deve accomodare in platea, fila numero 17, come uno spettatore qualsiasi malgrado le insistenze di qualche aficionados: «Cosa farai Beppe?». Niente, non farà niente: «E del resto, non sono mica un cavallo pazzo».
L’esordio di Sanremo è così turbolento da far piombare, per un quarto d’ora buono, il Festival nel caos. La sola presenza del comico già da sola rende elettrica l’aria, gli organizzatori temono un’imboscata del padre padrone dei Cinquestelle. Il direttore di Raiuno, Giancarlo Leone, lancia ammonimenti preventivi: «A nessuno sarà consentito di interrompere o disturbare lo spettacolo. Sarebbe un abuso». Ovvio che quando la diretta sta per iniziare gli occhi siano tutti puntati su Grillo. E nessuno guarda in alto, da dove vengono i problemi. Dall’alto, infatti, non riescono ad alzare il sipario sulla sigla di apertura tanto da costringere Fazio a entrare da un lato e a scusarsi. Dall’alto, soprattutto, arrivano urla prima indistinte, poi sempre più nitide, che impediscono al conduttore di parlare. Si accendono i riflettori su due tipi pericolosamente appesi ai ponteggi che sovrastano la galleria. Minacciano di buttarsi di sotto se non avranno modo di leggere la lettera che tengono in mano. «Voi mettetevi al sicuro e io la leggerò» promette Fabio. Le urla proseguono, lo spettacolo si interrompe. Pubblicità.
«NON LI HO PORTATI IO»
«Non li ho portati io» assicura, durante la pausa, Grillo a Fazio. Il capo di M56 prosegue: «Parlami in diretta». E Fazio conclude: «Ora però fatemi fare il festival, altrimenti faccio Ballarò». Nessuno sa chi li ha portati, nessuno soprattutto sa come sono entrati riuscendo ad arrampicarsi fin lassù. La regia ordina: lo spettacolo deve continuare. Ligabue canta De Andrè, e sembra che l’ordine sia ristabilito. Quando, dopo un’altra pausa, si riaccendono le telecamere, invece, Fabio deve mantenere la promessa, legge la lettera che i due gli hanno affidato: «Noi e altre centinaia di lavoratori del bacino di Napoli e Caserta siamo senza stipendio da diciotto mesi. Siamo disperati». Applausi.
La politica in questi giorni ha occhi solo per i Palazzi romani, le consultazioni, il totoministri. Però a Sanremo notoriamente ci sono più telecamere che a Montecitorio, e dunque è questo il palcoscenico più ambito. «Arriverò alle 19» annuncia lui su facebook chiamando a raccolta un centinaio di discepoli. Così, due ore prima del «si alzi il sipario», la scena se la prende lui. Per dirne quattro a Renzi, Napolitano, Berlusconi e qualche altro, ma soprattutto per esibirsi in una tirata al vetriolo contro la Rai, «la grande responsabile del disastro italiano». Il mondo disegnato da Grillo nella sua personale mezzoretta di anteprima del Festival è semplice: «Mentonooo». Mente Renzi, «questo bambino mandato avanti da De Benedetti che tre giorni fa aveva detto di essere amico di Letta e ora gli prende il posto». Mentono quelli che hanno scritto la legge elettorale in approvazione: «L’hanno scritta in tre, un pregiudicato, un ex pregiudicato e Verdini». Mentono i dirigenti Rai: «Gubitosi ha trovato 200 milioni di buco in viale Mazzini e adesso sono già 400». Mente Fazio: «Si prende 5,5 milioni in tre anni, più 650 per Sanremo, poi altre 350mila per la cura dell’immagine. Che fanno un altro milione». La tirata, tuttavia, viene dimenticata in fretta grazie all’avvio caotico della diretta. Lo stesso Grillo vi assiste pietrificato. Dopo un paio di cantanti abbandona la sua poltrona, intrattiene qualcuno al bar dell’Ariston e se ne va. È passata un’oretta dall’inizio, il Festival comincia solo ora.
Renato Pezzini