Alessandra Comazzi, La Stampa 19/2/2014, 19 febbraio 2014
IL FAZIO BIS PARTE IN SALITA TRA IL SIPARIO INCEPPATO E LE PROTESTE DEI LAVORATORI
Il Festival di Sanremo è una narrazione. La prima serata dell’edizione n° 64 ha ufficialmente narrato che le canzoni in gara è meglio emarginarle, Fazio ha preferito fare altro e cantare personalmente, lui e la Casta. Troppa grazia. Il Festival racconta amori cuori sentimenti tradimenti e racconta l’Italia. Così, se ieri sul palco ci fosse stato Pippo Baudo, tutti avrebbero pensato che la protesta dei lavoratori campani, la minaccia di buttarsi giù dalla balconata, se l’era inventate lui. Perché intorno a Sanremo scorre il sangue. E Fazio? Aveva un problema, il convitato di pietra, lo spettro che si aggirava prima fuori dall’Ariston dicendo ogni male della Rai, e poi seduto in platea: Beppe Grillo. E se si alza, e se parla, e se arringa? Lui lo spettacolo lo sa fare, conosce tutti i trucchi. Glielo aveva chiesto anche Mollica «au balcon» durante il collegamento del Tg1, e il conduttore aveva risposto con serafico fatalismo, sottolineando come sia più difficile costruire che distruggere. Poi, a Festival appena cominciato, il sipario, guarda un po’, si inceppa. Urla dalla balconata. Déja vu baudesco. Due persone si vogliono buttare. Hanno già fatto tante proteste. Hanno portato una lettera. Datemi la lettera, la leggerò promesso. Ma intanto scendete, mettetevi in sicurezza.
Comunque sia, Fazio è stato impeccabile: che si sia inventato tutto per disinnescare la mina vagante Grillo o che sia stato preso alla sprovvista, non si è nemmeno mosso dal centro della scena. Ha letto la lettera dei lavoratori («scusate, faccio fatica ma è scritta a mano», che drammaturgia), che parlava di diritto al lavoro, dignità, di tre persone che si erano già suicidate. E’ importante, il diritto al lavoro, dice Fazio, ma allora che si fa? «Noi siamo chiamati a far bene il nostro mestiere, aggiungere un segno costruttivo invece che rabbia e disperazione». Dopo la lettera, pubblicità, e «possiamo ricominciare». I due intanto sono stati portati in questura.
E di pubblicità, tra l’altro, ce n’è proprio tanta, il direttore di Raiuno Leone ha d’altronde detto che con la réclame se lo sono pagato tutto, ’sto Festival. A Pif, nel suo prologo carino «Sanremo & Sanromolo», il conduttore aveva dato il vaticinio sugli ascolti della prima serata: cifra alta. Poi lo scambio fuori onda tra Fazio sul palco e Grillo in platea. «Appena siamo in onda arrivo!», ha scherzato il leader M5s. «Ti ci metti pure tu? Ma ormai ti hanno superato», ha risposto il conduttore. Ecco.
Così la narrazione ha riportato Fazio alla parola d’ordine del Festival di quest’anno, la bellezza. L’immagine che è diventata un simbolo, il treno in bilico, proprio lì a Andora, tra la montagna e il mare. «Davanti a questo treno si capisce qual è la sola vera grande opera che cambierebbe la nostra vita e quella dei nostri figli: aggiustare l’Italia, ripararla, dove la montagna frana, dove la terra cede. Migliaia di ferite che formano la trama della nostra sconfitta. Immaginiamo che l’insieme di ferite e riparazioni diventino la più utile e gigantesca grande opera che ci attende, una grande opera di cura, che ci farebbe sentire un po’ meno incapaci e un po’ più degni della bellezza del nostro paese. La bellezza non è un lusso, va tutelata». La bellezza degli artisti. Omaggio a Fabrizio De Andrè, Ligabue canta, benissimo, Crêuza de mä e torna sabato. Poi omaggio a Jannacci, col figlio Paolo.
Littizzetto si esibisce affannata con la grande Carrà, un po’ di festa per i 60 anni della tv in Italia (anche con Tito Stagno), è scatenata, battuta pronta, altro che volgare. Lei e Fazio giocano alla coppia litigarella, Sandra e Raimondo. Per attendere l’arrivo di Laetitia Casta, lui si apparecchia da esistenzialista francese, «come Dorellik», e lei lo chiama «Scamarcio dei diseredati» e lui canta Ne me quitte pas e lei Meravigioso di Modugno, un bel coraggio, ma con quel sorriso, si sa. I brani in gara ogni tanto interrompono la narrazione. Sfacciati.