Claudio Gallo, La Stampa 19/2/2014, 19 febbraio 2014
IL GURU DI BLAIR: “ATTENTO RENZI IL CAMBIAMENTO È UNA LOTTA DURA”
Il «Times» di Londra, quello a cui un tempo si affiancava, con riflesso un po’ provinciale, l’aggettivo «prestigioso», ha scritto qualche giorno fa che Matteo Renzi è il Tony Blair italiano. Una specie di investitura, prima ancora che dall’ufficio dell’ex premier britannico uscisse la dichiarazione di caloroso sostegno. Blair tuttavia non è diventato Blair da un giorno all’altro: ha avuto bisogno di qualcuno che gli spiegasse come fare, non tanto a prendere il potere, ma soprattutto a conservarlo. In questo, più di ogni altro, lo aiutò Peter Mandelson, il «consigliere» (in italiano), tra i primi a essere definito dai giornalisti «spin doctor», uno cioè capace a dare al pallone della notizia un effetto che lo faccia andare dove vuole lui. Una vita ai vertici della politica britannica ed europea, dal 2008 è diventato Lord Mandelson, con un seggio a vita alla camera dei Pari. Attualmente è presidente dell’azienda di consulenza Global Counsel.
Lord Mandelson, Matteo Renzi è ormai diventato il Tony Blair italiano. Secondo lei, che conosce bene anche la politica italiana, è un paragone sensato?
«Come per Blair nel 1997, nel caso di Renzi l’esperienza di governo è una completa novità: parte da zero, senza macchie di fallimenti passati. Come Blair, Renzi è interessato alla leadership, non si accontenta di navigare e non vuole niente di meno del consenso popolare. Ma come Blair presto si accorse, il vecchio ordine è capace di grande determinazione nel conservare le sue posizioni. Se si vuole un governo di cambiamento, ogni giorno è una lotta».
Nel suo libro di memorie «Il terzo uomo», lei ricorda che all’inizio Blair era abbastanza insicuro e dovette ricorrere spesso ai suoi consigli: qual è la cosa più importante che un leader emergente deve imparare?
«Un leader deve sapere che senza progetto è come un marinaio senza bussola, è la cosa più importante. Senza una squadra forte e unita e una struttura di potere decisionale è facile essere ignorati. Questo perché se anche uno è consapevole di quello che fa, non significa che gli altri lo siano altrettanto. Una comunicazione costante è fondamentale».
Mentre molti politici cedono alla tentazione di circondarsi di yesmen, Blair scelse con grande cura i suoi collaboratori. Quanto contano dei buoni consiglieri per un leader?
«È cruciale avere una squadra forte. La squadra migliore è quella composta da persone intelligenti, leali tra di loro e oneste con il capo. Il loro compito è di gettare uno sguardo dietro l’angolo per scorgere i pericoli nascosti e anticiparne l’impatto».
La gente preferiva il sorriso accattivante di Blair al broncio di Gordon Brown: quanto conta la faccia per un leader?
«Una personalità dinamica che traspare in un volto, deve emanare fiducia ma non arroganza, ottimismo ma non compiacimento. Deve comunicare convinzione ma allo stesso tempo saper ammettere i propri errori. Questo richiede maturità, ma in tal caso non è l’età che conta quanto l’intelligenza emotiva».
Nell’arena politica delle nostre società, così determinate dall’economia locale e globale, pensa che un leader possa veramente cambiare qualcosa?
«Oggi ogni leader occidentale ha il compito di guidare una società giusta e tollerante, insieme con un’economia aperta e liberale. Non ci sono alternative in un’era di globalizzazione. Una democrazia ben funzionante e il mercato sono i due pilastri indispensabili al successo di una nazione dinamica e moderna. L’Italia ha tutti gli ingredienti per farcela. Però senza riforme il paese non può trarre il meglio da questi ingredienti e rischia di cadere al di sotto del proprio potenziale».