Alessandro Robecchi, Il Fatto Quotidiano 19/2/2014, 19 febbraio 2014
VI PREGO, SERVE UNA MORATORIA SULLE CITAZIONI DI FLAIANO
Aguardar bene l’ultima schermaglia tra berlusconiani doc e diversamente berlusconiani, cioè tra l’allegra pattuglia dei fedeli al culto di Silvio e gli eretici Alfaniani del Settimo Giorno, un punto di contatto c’è. Silvio cita Lenin (eh, sì!) e rispolvera l’appellativo di “utili idioti”. Quell’altro, Angelino nostro orbato di quid, fa lo spiritoso con gli “inutili idioti”. Vabbé, giochino facile, di cui resta una cosa sola: il minimo comun denominatore è “idioti”, con la certezza granitica di tutti che quando verrà il momento idioti “utili” e idioti “inutili” faranno una bella coalizione e correranno insieme. Ma al di là delle schermaglie politiche, sempre divertenti quando saltano i nervi degli schermidori, resta un fatto grave: l’abuso di citazione. Intendiamoci, la citazione serve. Serve a nascondersi dietro le parole di qualcun altro, serve a ostentare cultura e serve a infiocchettare il discorso, perché la confezione è importante, soprattutto quando il regalo non è granché. E dunque via con una girandola di riferimenti letterari, parole famose e frasi a effetto, una prassi che ha avuto il suo culmine nella recente direzione Pd, quella che ha cacciato Enrico Letta. Matteo Renzi ha citato una frase di Robert Frost, anche se si è sbagliato e l’ha attribuita a Walt Withman, pazienza. Civati se l’è cavata con Dante, Paolo Gentiloni ha fatto ricordo a Karl Kraus, uno che, avendo scritto interi volumi di aforismi, viene buono quasi sempre e si può usare a catalogo. Ha chiuso Anna Paola Concia, con una citazione di Emily Dickinson, rivolta direttamente al segretario: “Non conosciamo mai la nostra altezza finché non siamo chiamati ad alzarci. E se siamo fedeli al nostro compito arriva al cielo la nostra statura”. Perbacco, una sviolinata d’autore così clamorosa che manderanno qualcuno a studiarla dalla Corea del Nord.
Dato lo spettacolino non proprio edificante che andava in scena (a detta anche dei militanti del Pd), c’è da chiedersi se i grandi e grandissimi autori di quelle frasi usate a man bassa, spesso fuori contesto, a volte in modo strumentale sarebbero d’accordo con l’uso che si fa delle loro parole. Cioè: magari Robert Frost, l’incolpevole Withman, Emily Dickinson, Dante e anche il vecchio Lenin – agevolato dall’essere una mummia esposta al pubblico – potrebbero alzarsi dalle tombe e andare a prendere a calci chi li cita a sproposito. Non accadrà, peccato.
Eppure una riforma è possibile (scelga Renzi in che mese farla), ed è, per esempio, una moratoria su Ennio Flaiano, immenso intellettuale italiano. Ecco: vietare per due anni le citazioni di Flaiano aiuterebbe. Anche perché succede spesso che questo o quel politico ripeta la frasetta arguta, orecchiata qui e là, senza sapere bene a chi attribuirla e allora, giocando sul calcolo delle probabilità, la attribuisca a Flaiano. In tempi di fact-checking (va molto di moda) sarebbe forse il caso di introdurre nei dibattiti politici qualche specie di intervallo dedicato alla cultura generale: in caso di ardita citazione, stoppare l’oratore e approfondire l’argomento. Esempio: davanti al suo rinvio a giudizio (peculato), l’onorevole Gasparri definisce la sua personale situazione giudiziaria come “kafkiana”. Ecco: sarebbe bello che qualcuno dicesse “stop!” e chiedesse a Gasparri di parlare un po’ di Kafka, vita, opere e comprensione del testo. Niente male, no? Oltretutto la cosa avrebbe due effetti immediati: dare spazio alla cultura e limitare un po’ le altre scempiaggini che certamente direbbe Gasparri.