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 2014  febbraio 19 Mercoledì calendario

LASCIAMO PERDERE IL GOTICO CI VIENE MEGLIO LA PARODIA


Il Tredicesimo Apostolo”, serie televisiva di Canale 5, è giunta lunedì alla penultima puntata della seconda stagione, dal titolo La rivelazione. Lo share si è fermato al 13,8%. Nella puntata d’esordio della prima serie superò invece il 27%, circa il doppio quindi, presentandosi con ingredienti ben dosati per un duraturo successo: l’ambientazione all’interno del mondo ecclesiastico, alla Dan Brown, il mistero, il sovrannaturale. E poi l’amore che sboccia dove non dovrebbe, fra un prete e un’atea, col piacere di mescolare blasfemia e trasgressione, l’inganno di chi pensavi affidabile o amico, la risoluzione di un enigma, l’eterna lotta fra il bene e il male.
Elementi attrattivi, soprattutto verso il pubblico giovanile, sensibile a valicare la noiosa e grigia normalità, la consuetudine delle cose sempre uguali a se stesse, per abbracciare la seduzione del paranormale. Affascinato e abbagliato dal mistero: pubblico di consumatori di oggetti elettronici miracolosi, sempre più dotati di superpoteri, piegato a dilettarsi sulle razionali meraviglie della tecnologia , ma desideroso di evadere proprio da quel razionale che le ha rese possibili. Di liberarsi dallo schematismo asfittico della realtà e dall’inflessibile rigore della scienza, che non comprende e non ama. Anche perché quei miracoli elettronici contengono l’universale nel particolare. E il mondo, con uno smartphone, ti esplode in tasca.
È QUEL PUBBLICO che va via via perdendo la facoltà della scrittura per approdare nell’era dell’oralità secondaria. Di bocca larga e buona. Disposto a ingerire bocconi misterici, che promettono di squarciare il velo di una superiore conoscenza, che si può attingere con poco sforzo. Perché quest’ultima – la conoscenza, quella vera – è sempre più un’inarrivabile chimera, ed è più comodo e semplice, quindi, scavalcarla con un agile salto esoterico. Per comprendere tuttavia le ragioni dell’insuccesso di questa fiction, ideata da Pietro Valsecchi – cui riescono meglio le imprese cinematografiche – bisogna chiedersi se basti infarcire di elementi suggestivi una trama per ottenere un prodotto di successo. Qui si è esagerato con la fabula senza curarsi sufficientemente dell’intreccio. I tempi sono lenti e la suggestione è dichiarata e poco rappresentata. Inoltre, con troppa carne al fuoco, si rischia che qualcosa non sia cotta abbastanza e qualcosa in eccesso. I protagonisti: un prete (Claudio Gioè) – buono e con poteri paranormali – che scopre l’amore e decide di lasciare il sacerdozio; una psicologa (Claudia Pandolfi) – bella
– che ama ed è riamata dal prete spretato; un cattivissimo – Bonifacio Serventi (Tommaso Ragno) – dotato di poteri oscuri e in lotta con la Chiesa. Una storia pensata per adulti, la cui versione in cartoni, forse, depurata opportunamente di qualche particolare, potrebbe invece soddisfare un pubblico giovane, molto giovane. Bambini, ad esempio. Addestrati e incantati dagli effetti e dai superpoteri. Bambini in grado di depotenziare la violenza gratuita, che non si curano troppo delle incongruenze della sceneggiatura. Agli inglesi, che hanno creato il gotico in letteratura e agli americani, loro eredi e ora maestri, che sanno contaminare ogni genere mirabilmente, operazioni di questa natura riescono benissimo. A noi italiani meno. Piuttosto ci riesce molto meglio la parodia.