Marco Lillo, Il Fatto Quotidiano 19/2/2014, 19 febbraio 2014
FINCANTIERI, IL POTERE DI BONO TRA LEGA E AFFARI BRASILIANI
Fincantieri è una delle poche realtà industriali pubbliche rimaste in Italia: 21 stabilimenti in tre continenti per 20 mila dipendenti (7.400 in Italia) con un fatturato di 4 miliardi (previsione per il 2013). È il quinto gruppo al mondo nella cantieristica, il primo nelle navi da crociera e nei grandi yacht. Controlla una società norvegese, la Vard, che vale un miliardo e mezzo sul totale ma contribuisce in maniera determinante all’utile, grazie alle piattaforme off-shore . Vard è quotata a Singapore ed entro l’estate sarà quotata in Borsa anche la Fincantieri, Matteo Renzi permettendo.
L’operazione, studiata da Enrico Letta sarà portata a termine con un aumento di capitale destinato alla Borsa e una parallela cessione di azioni, oggi detenute da Fintecna, a sua volta controllata da Cassa depositi e prestiti. Alla fine dell’operazione comunque Fintecna manterrà almeno il 51 per cento. Renzi però non può brindare pensando ai 600 milioni di investimenti privati che entreranno nel gruppo post privatizzazione: la plusvalenza da cessione per l’azionista, intorno ai 350 milioni, finirà solo in parte al Tesoro, azionista ultimo, mentre gran parte sarà trattenuta dalla Cdp per rafforzare il suo patrimonio deficitario. Anche i capitali raccolti in Borsa andranno a rafforzare non il Tesoro, ma Fincantieri. Chi ci guadagna davvero è quindi l’amministratore delegato di Fincantieri, Giuseppe Bono, che si affrancherà in parte dalla politica (e con nuovi azionisti privati magari potrà chiudere qualche cantiere poco redditizio) e probabilmente vedrà aumentare oltre al suo potere anche il suo stipendio: le società quotate sono esentate dal tetto di 300 mila euro per i vertici. Bono, nominato nel 2002, spinge per la quotazione dal 2006. Eppure non tutti sono convinti che sia un grande affare per lo Stato: Fincantieri produce proporzionalmente maggiore valore aggiunto nelle commesse militari pubbliche. Recentemente il Governo Letta ha varato un piano di rinnovamento della Marina e da lì verranno molti utili nel futuro. In molti si chiedono se abbia senso distribuire utili ai privati grazie a commesse pubbliche. L’aumento di capitale, visto che Fintecna è molto liquida, potrebbe essere sottoscritto dall’azionista pubblico, se è così conveniente.
Belsito e le telefonate con la Lega del senatùr
Comunque sorgono dubbi sul fatto che Bono sia l’uomo giusto per questa nuova fase di Fincantieri, soprattutto dopo avere ascoltato le intercettazioni delle sue conversazioni conFrancesco Belsito (il tesoriere della Lega Nord asceso al ruolo di vicepresidente di Fincantieri); dopo avere letto le carte dell’inchiesta di Napoli (che non vede indagato Bono ma l’ex ministro Claudio Scajola, l’ex deputato Pdl Giuseppe Nicolucci e l’imprenditore Paolo Graziano) e dopo l’inchiesta del Fatto Quotidiano che ha svelato la mediazione da 500 milioni di euro promessa alla società dell’italiano Piero Ruzzenenti, per la vendita da 5 miliardi delle navi militari al Brasile. Grazie all’inchiesta di Claudio Gatti, trasmessa su La7 nel luglio 2012, si è scoperto che Bono aveva una sudditanza verso la Lega Nord e che mentiva davanti alla telecamera quando diceva: “Sono 30 anni che ho posizioni apicali, ma tutta questa invadenza della politica non l’ho vista (...) ho visto dei manager improbabili che si andavano in qualche modo a proporre. Il management di Fincantieri lo scelgo io e il cda, non la politica, perché devono avere le competenze”. Grazie alle intercettazioni della Procura di Milano si è scoperto che a fine 2009 il cerchio magico di Bossi voleva eliminare dallo staff dell’allora ministro delle Riforme il responsabile sicurezza di Bossi, Maurizio Barcella. Bono, su richiesta di Belsito, non fa una piega e si vanta con il tesoriere della Lega: “Devo chiamare Rosi (Mauro, ndr) e dirgli che ho fatto la lettera per Barcella e per Ovieni Dalmir (un altro leghista vicino a Rosi Mauro, ndr) quindi ho fatto tutto quello che dovevo fare”.
Belsito illustra così il curriculum di Barcella: “Il direttore del personale mi ha detto che è la prima volta nella storia di Fincantieri che facciamo firmare un contratto del genere a uno che esce dalla scuola professionale. Gli hanno messo tutto per iscritto, anche la casa”. Anche il direttore del personale di Fincantieri si vergogna un po’ e, come dice Belsito allo stesso Barcella, consiglia di firmare il contratto prima che arrivino gli operai. Il contratto da dirigente per Barcella (che secondo Fincantieri poi non sarebbe stato firmato) cozzava con l’annuncio della cassa integrazione per i dipendenti. Incredibilmente, quando esce l’audio della telefonata in cui Bel-sito dice a Barcella “sbattiamocene ai coglioni e pensiamo a noi”, Bono sopravvive alla figuraccia in tv. Mario Monti non lo rimuove e il 26 settembre l’ad di Fincantieri va a deporre come persona informata sui fatti nell’affare brasiliano davanti ai pm di Napoli. Improvvisamente l’uomo che non aveva subito mai pressioni racconta ai magistrati l’invito a palazzo Grazioli con Berlusconi che, pressato dal suo amico Valter, gli intima di tener presente il faccendiere Lavitola come suo referente sull’affare delle navi in Brasile. Anche in quell’occasione, però, Bono si conferma uno smemorato. I pm Henry John Woodcock e Vincenzo Piscitelli indagavano e stanno indagando tuttora sui politici Scajola, Nicolucci e sull’imprenditore Graziano perché ipotizzano che abbiano corrotto qualcuno in Brasile. Il manager di Finmeccanica Lorenzo Borgogni aveva raccontato ai pm che, a detta detta del direttore commerciale di Finmeccanica Paolo Pozzessere, nella vendita di 5 miliardi sarebbe dovuta volare una tangente dell’11 per cento: 550 milioni.
Il Fatto Quotidiano ha scoperto che una società, la PR International consulting di Piero Ruzzenenti, aveva ottenuto il 6 aprile 2010 da Fincantieri, sei giorni prima della firma di un primo accordo tra i due governi a Washington, un contratto che gli attribuiva una commissione del 10 per cento, pari a 500 milioni di euro. Eppure Bono si dimentica di riferire questa piccola circostanza ai pm.
Al Fatto Ruzzenenti racconta che quel contratto era anche frutto della sponsorizzazione di Paolo Graziano (personaggio chiave dell’affare perché amico del ministro della difesa Jobim) su Bono da parte di Graziano: “Nell’ottobre 2008 avevo chiuso un primo contratto con Fincantieri con un oggetto limitato e una percentuale più bassa, mi pare del 6 per cento. Al rinnovo nel 2010 mi rivolsi a Paolo Graziano, con il quale lavoravo già in Brasile per i prodotti della sua azienda, la Magnaghi Aeronautica. Sa- pevo che conosceva Giuseppe Bono. Graziano parlò con Bono e io ottenni il rinnovo del contratto con un oggetto più ampio, che includeva le navi della Marina, e con una percentuale più alta: il 10 per cento. Avrei avuto 500 milioni di euro se il contratto fosse stato concluso. A luglio 2010 mi inviarono una prima lettera per sostenere che il contratto non valeva più a seguito dell’intervenuto accordo del 21 giugno 2010 tra le due Marine. Dopo quella prima lettera ci fu un carteggio. Io avrei accettato una riduzione della percentuale, certo non dal 10 all’uno però”. Ruzzenenti, comunque, fino all’estate 2011 continua a lavorare e a telefonare (intercettato dalla Procura di Napoli) ai manager di Fincantieri e Fin-meccanica.
Alla fine di agosto 2011 la Procura di Napoli chiede l’arresto di Lavitola e Tarantini. Escono sui giornali (senza che nessuno le capisca) le intercettazioni di Ruzzenenti (non identificato dalla Polizia) con il direttore del settore militare di Fincantieri, Maestrini. Il 26 ottobre 2011, Fincantieri, che sa bene chi è il Piero non identificato dagli inquirenti, scrive una lettera che è la pietra tombale sull’affare per Ruzzenenti: “Vi abbiamo esplicitato in termini chiarissimi e incontrovertibili a partire dalla nostra raccomandata del 30 luglio 2010 che il richiamato contratto è stato risolto essendo venuti radicalmente meno i presupposti che ne avevano ispirato la conclusione per effetto degli accordi raggiunti dai governi il 24 giugno del 2010”. Fincantieri inoltre contesta “la falsa affermazione della prosecuzione di rapporti ‘intensi e proficui’ tra le nostre aziende”. Infine invita PR Consulting ad adire le vie legali se non è d’accordo. Giuseppe Bono, che ha incontrato più volte Piero Ruzzenenti e dovrebbe conoscere i termini del contratto, quando viene sentito nel settembre 2012 in procura a Napoli, è molto vago: “L’azienda aveva già avviato dei contatti con la Marina militare brasiliana, rivolgendosi a una società locale riferibile a un italiano, tale Ruzzinetti (sic!) Piero da 30 anni impiantato in Brasile e che aveva un ufficio a Rio de Janeiro di fronte alla base della Marina militare brasiliana. Dal momento che erano intervenuti degli accordi direttamente dai governi, noi liquidammo l’agente disdettando il contratto, invitando lo stesso, se avesse avuto delle pretese, a rivolgersi all’autorità giudiziaria”.
L’uomo di fiducia del presidente Rousseff
Bono ai pm che cercano la mazzetta dell’11 per cento non spiega che il contratto con Ruzzenenti prevedeva una percentuale del 10 per cento. Né spiega il ruolo di Andrade Gutierrez, grande finanziatore di Dilma Rousseff, presidente del Brasile. Bono dice solo: “Fin-cantieri avrebbe dovuto costituire una società con un partner brasiliano al 50 per cento per la realizzazione in loco di una parte dei lavori necessari all’esecuzione del contratto. Il partner non ci è stato indicato nominativamente”. Eppure, stando a quanto raccontato da Ruzzenenti al Fatto , e anche a quanto emerge dalle intercettazioni, era chiaro il ruolo di partner di Fincantieri nell’affare del grande finanziatore di Dilma Rousseff.
Bono non dice ai pm nemmeno che Graziano aveva raccomandato, almeno stando alla versione di Ruzzenenti, la PR. Inoltre Bono si vanta con i pm di avere sfidato Ruzzenenti a portare in giudizio Fincantieri ma non spiega che è proprio lui l’uomo intercettato nel 2011 mentre discute ancora a maggio-giugno con Fincantieri dell’affare delle navi. Né spiega perché il
capo del settore militare Maestrini parlasse con Ruzzenenti, un anno dopo la lettera di disdetta del contratto. Né dice ai pm che la dura lettera con la quale si chiudono definitivamente i rapporti con PR è successiva all’uscita delle intercettazioni.
Monti e Letta hanno mantenuto Bono al suo posto. Chissà cosa ne pensa il rottamatore Renzi.