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 2014  febbraio 19 Mercoledì calendario

LA TESSERA N° 1 DEL PD E LA PASSIONE DEL BURATTINAIO


A novembre ne compirà 80, ma ancora Carlo De Benedetti non trova pace. Colpa del carattere. E anche della sfortuna. Mentre vorrebbe fare solo ciò che ama – sputare sentenze sullo stato deplorevole in cui versa la Patria – deve rintuzzare l’accusa di essere il “grande burattinaio” dell’opaca operazione Renzi Uno. E anche occuparsi del figlio Rodolfo, alle prese con una possibile bancarotta di dimensioni ligrestiane. Ieri la holding di famiglia, la Cir, ha dovuto emettere su richiesta della Consob un comunicato pieno di inquietanti notizie.
PRIMO: Sorgenia, controllata che produce energia elettrica, ha un mese di vita se le banche non concedono ulteriore credito. Secondo: il debito è di 2,2 miliardi di euro (pari circa al fatturato), e il gruppo è impegnato in una serrata trattativa con le banche per la cosiddetta “ristrutturazione”. Terzo: le banche non potranno in ogni caso rifarsi sulla holding della famiglia De Benedetti che, spiega la nota, “non ha rilasciato garanzie” in favore di Sorgenia. Insomma, la solita storia, come un imprenditore italiano qualsiasi: le banche erogano, le garanzie non ci sono, quindi gli azionisti Cir si rilassino, se va male si può fare ciao ciao con la manina. Comunque ieri il titolo Cir ha perso in Borsa il 3,11 per cento. L’Ingegnere ha chiarito che sono cavoli di Rodolfo: “Non c’entro nulla, non sono in consiglio e non sono più azionista Cir”. E se non c’entra con il bubbone Sorgenia, c’entrerà con il governo Renzi? Ha sbagliato Fabrizio Barca, ministro dell’Economia nel pectore di molti, a chiamarlo in causa? Nella telefonata rubata del finto Nichi Vendola ha protestato contro le pressioni di chi lo vuol trascinare nella opaca operazione Renzi Uno, indicando nell’Ingegnere il mandante. Replica secca: “Non mi occupo di nomine politiche perché non è il mio mestiere. Ho sempre rispettato l’autonomia della politica”. Ecco, questa è una balla. È il carattere che lo frega. Diventò celebre una quarantina d’anni fa quando l’avvocato Gianni Agnelli lo chiamò a guidare la Fiat e lo mise alla porta tre mesi dopo: voleva insegnare il mestiere al capo. È da almeno un quarto di secolo che l’incontinenza verbale gli vale l’accusa di essere (o voler essere) il “grande burattinaio” della politica italiana. A fine anni ’80, quando si instaurò il cosiddetto Caf (Craxi-Andreotti-Forlani ), De Benedetti era accusato di tirare i fili di un antipartito facente capo all’ex segretario Dc Ciriaco De Mita e al leader del Pci, poi Pds, Achille Occhetto. E dopo l’ascesa politica di Silvio Berlusconi gli toccava l’accusa di tessere la trama della controffensiva.
DOPO IL TRIONFO elettorale di
B. nel 2001 non resistette alla tentazione di rivelare, in un’intervista al Corriere della Sera (quando ha una notizia ama dare il buco, come si dice in gergo, a Repubblica , sua creatura prediletta) che si era immischiato nella scelta di Francesco Rutelli come candidato contro il Caimano. Gianni Cuperlo, allora attendente di Massimo D’Alema, protestò su l’Unità: “Il prossimo leader non lo sceglierà De Benedetti”. Anche perché la designazione di Rutelli non si rivelò tra le più felici.
E qui torna il tema della sfortuna. Quando De Benedetti si lascia prendere dall’ansia di battezzare un nuovo condottiero non è che ci prenda tanto. Però sa prendere atto e cambiare idea. Nel 2007 chiese la tessera numero uno del Pd, dicendo che Rutelli e Walter Veltroni erano i due uomini giusti per portare a meritati trionfi il centrosinistra. All’improvviso la parabola dei due promettenti strateghi si fece discendente. Arrivò Pier Luigi Bersani, e De Benedetti disse che il Pd lo aveva deluso, ma anche Bersani, appena nominato segretario, lo aveva deluso. Poi cambiò idea e disse che alle primarie del 2012 avrebbe votato per Bersani contro Matteo Renzi, fulminando il sindaco con un lungimirante “di Berlusconi ce n’è bastato uno”. Poi cambiò idea e scelse Renzi per le primarie 2013, provocando, dieci anni dopo, la stessa reazione di Cuperlo: “È in corso un’Opa di Repubblica sul Pd”.
E LA STORIA continua infinita, l’Ingegnere invecchia e parla, parla e invecchia, le sue intemperanze imbarazzano i giornalisti di Repubblica che prima di digitare un aggettivo si chiedono: “Diranno che me l’ha dettato il padrone?”. E tutti a dirgli “burattinaio” senza che nessuno dei cavalli su cui ha scommesso abbia mai vinto una corsa. Saranno tutti così i poteri forti?