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 2014  febbraio 19 Mercoledì calendario

IL BURATTINAIO COL VIZIO SENILE DEI MINISTRI


L’Ingegnere, ossia Carlo De Benedetti, è davvero in grado di decidere come sarà il governo Renzi? Lo sosteneva ieri il titolo della prima pagina di Libero. Ma non credo che sia così. Piuttosto ritengo che Cidibì abbia soltanto una gran voglia di mettere la propria impronta sulle caselle più importanti del nuovo esecutivo, a cominciare da quella dell’Economia. Il perché lo dice la storia stessa dell’Ingegnere. Anche se tra il volere e il potere corre una distanza abissale.
Nel novembre del 2014, De Benedetti compirà 80 anni. L’aspetto è di un signore fatalmente invecchiato, ma neppure tanto. Si è inciccionito ed è diventato massiccio. Le guancione tutto sommato gli giovano perché ricordano quelle di un bulldog, pronto ad azzannare. L’Ingegnere sa essere al tempo stesso accattivante e brutale. Non sempre i numeri uno hanno la sua schiettezza. Molti imprenditori e finanzieri si guardano bene dal comportarsi come lui. Se gli capita di essere intervistato, si abbandona al piacere di parlare. Ma così i suoi giudizi diventano imprudenti e gli scappano di mano. Allora può ricevere repliche altrettanto brutali.
Di questi incidenti a De Benedetti importa poco. Lui si considera un vincitore. Ed è portato a dimenticare che in più di un caso ha perso. Chi osserva da anni il suo percorso rammenta bene alcune sconfitte: alla Fiat, al Banco Ambrosiano, nella spedizione in Belgio, nella contesa per il possesso dell’intera Mondadori. Ma rivangare il passato è un esercizio sterile. E non ci aiuta a comprendere la figura attuale di un protagonista.
Oggi l’Ingegnere incarna il grande potere di Repubblica. La sua forza deriva dalla proprietà del Gruppone, l’impero editoriale che lui possiede e governa. Dalla fine dell’ottobre 2012 lo fa in splendida solitudine poiché ha ceduto ai tre figli tutte le aziende che non hanno a che fare con l’in formazione. E ha riservato per sé l’attività che gli è più cara, tanto da vantarsi di essere diventato un editore puro.
Nel Gruppone ci sono Repubblica, l’Espresso, la rete robusta dei quotidiani provinciali, le radio, i siti internet, i primi esperimenti di tivù, con tutti gli annessi e connessi. In Italia ben pochi privati hanno un dominio tanto esteso e senza soci in grado di contare. Soltanto la Fininvest della famiglia Berlusconi sopporta il confronto. Ma il successo non ha evitato a Cidibì di subire i colpi di una crisi che lui aveva intravisto prima di altri big della finanza e dell’impresa.
Nel nostro ultimo incontro, avvenuto alla fine del novembre 2008 nel suo studio romano, l’Ingegnere si era dimostrato profetico e molto pessimista. Non si faceva illusioni. A sentir lui ci trovavamo soltanto all’inizio di un lungo ciclo di crisi, ossia in piena deflazione. Poi sarebbe arrivata la recessione. E allora avremmo visto «i disoccupati fare la fila con la gavetta in mano per ottenere un piatto di minestra». Nel novembre 2012 non aveva cambiato opinione: «La crisi durerà ancora dai tre ai sette anni».
Adesso anche il Gruppone si trova alle prese con la tempesta globale. Le sue testate primarie perdono copie su copie e quantità importanti di pubblicità. Accade in modo massiccio a Repubblica e in misura ancora maggiore all’Espresso. A volte lo sconcerto diventa allarme. Soprattutto in chi aveva seguito la crescita ininterrotta del quotidiano nel ventennio della direzione di Eugenio Scalfari e in seguito sotto la leadership di Ezio Mauro, oggi arrivata a un passo dal diciottesimo anno.
Reggono meglio, così sembra, i quotidiani locali. Sono una rete senza uguali in Italia, fatta di diciotto testate. Nata da un’intuizione preveggente di Carlo Caracciolo, copre in pratica l’intero paese, dall’Al to Adige fino a Salerno. I giornali locali sono il nerbo di un impero di carta stampata che per ora non vacilla. Ma la crisi ha costretto l’Ingegnere a operare una robusta spending review. Consiste nel tagliare costi ritenuti pesanti, compreso il numero dei giornalisti.
La decimazione sta avvenendo senza badare troppo alla qualità del prodotto. E soprattutto senza immaginare una strategia per il futuro. Sono giornali che vanno ripensati oppure no? I critici di Cidibì, anche all’interno delle singole testate, sostengono che è indispensabile progettare di nuovo tanto Repubblica che l’Espresso. Sono opinioni per ora coperte, sulla base di un’elementare regola di cautela: fare la bucce al padrone è sempre rischioso.
La critica più pesante prende di mira la figura stessa dell’Ingegnere. Lui non ha creato nessuno dei giornali che possiede, ma si è limitato ad acquistarli. L’Espresso esisteva ben prima che Cidibì scendesse in campo, ossia dall’ottobre 1955. Repubblica è nata nel 1976 da un quartetto di editori che non aveva nessun rapporto con lui.
Quando uno di loro, Scalfari, gli propose di diventare socio del giornale che stava progettando, De Benedetti rifiutò di far parte della compagnia. Il suo ingresso sulla scena come proprietario totale risale all’aprile 1989, quando si era già insediato nella Mondadori non ancora conquistata da Berlusconi. Fu una svolta nella vita dei due venditori, Scalfari e Caracciolo. Loro si ritrovarono di colpo miliardari, in lire. E De Benedetti iniziò a considerarsi un imprenditore della carta stampata.
Oggi le critiche dell’Ingegnere alla Prima Repubblica, quella dei partiti, e a quanto ne è trasmigrato dentro la Seconda e agli albori della Terza, sono diventate sempre più pressanti. Le sue frecce continuano a piovere sulla Casta di sinistra, senza riguardi per nessuno. Lo si constata nell’ultimo dei suoi scritti, «Mettersi in gioco», pubblicato nel novembre 2012 da Einaudi. Ma sarebbe una piaggeria cortigiana non rammentare che anche De Benedetti è figlio della Prima Repubblica. E ne ha assorbito i difetti. Sino ad appartenere anche lui a una casta di eterni intoccabili.
Il difetto più vistoso è la pretesa di dettare la linea politica dei giornali posseduti. Non è l’unico editore ad attuare questa continua invasione di campo. Il capitalismo non è mai un pranzo di gala dove il menù e la disposizione dei posti a tavola sono dettati da qualche consigliere illuminato. Nel capitalismo la proprietà comanda, anche sui media in apparenza liberi di fare ciò che gli pare e piace.
La pressione dell’Ingegnere si vede poco in Repubblica. Mauro è un direttore coriaceo e per niente malleabile. Tra lui e De Benedetti, che lo ha voluto alla testa del giornale sfrattando Scalfari che non intendeva lasciare la direzione, esiste una sintonia politica e personale che elimina la necessità di un intervento esplicito dell’editore.
Dove l’Ingegnere ha mano libera è sull’insieme di quotidiani locali. Tutti rispecchiano realtà sociali, economiche e culturali molto diverse fra loro. Ma la linea politica è una sola. Qui vige un dirigismo autoritario imposto da De Benedetti, un editore meno liberal di quanto lui affermi di essere.
Come tutti sanno, la linea è quella di una sinistra riformatrice, ma con scarti di umore che sembrano dettati dalle opinioni dell’Ingegnere a proposito di questo o quel big progressista. Adesso esplode il caso di Fabrizio Barca, caduto nella trappola del falso Nichi Vendola. Lui sostiene che De Benedetti lo voleva a tutti i costi al ministero dell’Economia, con un pressing insistente.
L’Ingegnere ha smentito, ma non credo che Barca abbia raccontato una favola. Un tempo i potenti vicini agli ottanta cercavano di sentirsi giovani con l’aiuto di ragazze pimpanti e qualcuno lo fa ancora. Più pratico, Cidibì si ormonizza tentando di influenzare i premier incaricati. È un gioco pericoloso per la democrazia? Penso di no. L’unico vantaggio di quest’epoca confusa è che ciascuno si diverte come può. Purtroppo De Benedetti si trova di fronte un pirata senza bandiera e senza bandana, che si chiama Matteo Renzi. E che cosa accadrà non lo sa nessuno.