Benjamin Sverkey, GQ febbraio 2014, 19 febbraio 2014
STAR WARS
I cavalieri jedi sono al buio, assorti in silenziosa meditazione. Molti serrano forte gli occhi, come per accrescere la concentrazione. Stanno tentando di mettersi in contatto telepatico con l’energia psichica dell’universo, di connettere le onde cerebrali nella grande coscienza cosmica che chiamano “Forza”.
Dieci minuti dopo l’inizio di questa esplorazione meditativa, uno dei presenti inizia a emettere rumori come se russasse, poi comincia a ronfare apertamente e con un certo fragore. Passano pochi altri minuti e la quiete è turbata da una suoneria ronzante-sibilante-bippante ma riconoscibile: C1-P8. Il maestro jedi Angelus, che conduce l’esercizio spirituale, zittisce il suo Droid 4G. «Colpa mia», ammetterà in seguito il 33enne insegnante di recitazione di Chicago, il cui vero nome è Gabriel Calderon. «Mi ero dimenticato di spegnere il cellulare...».
Essere uno jedi, evidentemente, non è facile come sembra nei film. La gente riunita in questo scantinato, però, ce la mette tutta. Diciotto adulti (quindici uomini e tre donne) si sono dati appuntamento nella sperduta cittadina di Norris in Tennessee (1493 abitanti) per l’undicesimo convegno annuale dei praticanti dello jedismo, inteso come vero e sentito culto religioso. Sì, sono seguaci della chiesa di Star Wars che aiutò Luke Skywalker a pilotare a occhi chiusi i caccia X-Wing Starfighter; e ha permesso ad Anakin Skywalker, noto come Dart Fener, di soffocare la gente a distanza.
Si sono ammassati in una specie di casa-vacanza in affitto, il Rabbit Run Retreat, per partecipare a un gran numero di attività jedi. C’è il corso di arti marziali, in cui imparano pure un pizzicotto ascellare al cui confronto la presa al collo praticata da Fener sembra un gentile massaggio; due ore di presentazione in PowerPoint sulla storia delle “locuzioni” (la percezione di voci oltremondane) e combattimenti con spade di legno, prima che il convegno culmini la domenica sera in una cerimonia di investitura in cui i neo cavalieri jedi mulinano le spade laser giocattolo. «Noi non adoriamo Yoda, no», dice Ally Thompson, graziosa 28enne del Tennessee e veterana della guerra in Iraq, che riceverà l’investitura nel corso della cerimonia, «né ci dedichiamo necessariamente alla telecinesi. Però, dico la verità, la Forza è molto presente in tutti i nostri insegnamenti. C’è chi la chiama magia; la comunità scientifica la definisce energia. Come ha fatto Mosè quando ha separato le acque del Mar Rosso? Ha usato l’energia. La Forza».
Per intenderci, nessuno dei jedi presenti al Rabbit Run Retreat è riuscito a levitare neanche di un millimetro; eppure molti credono alla telepatia, alla telecinesi e a numerose altre idee mistiche mutuate dalla saga di Star Wars, tra cui viaggi sciamanici e ordalie allucinatorie (come quella che Luke Skywalker intraprende in L’impero colpisce ancora, quando Yoda lo manda a combattere contro un Dart Fener fantasma). Ecco perché in 18 si sono dati appuntamento in Tennessee, questo sabato sera, e se ne stanno stesi sul pavimento di uno scantinato a irradiare i pensieri nella galassia... Per poi tornare a terra improvvisamente, richiamati dallo squillo di un cellulare.
Un sorrisino di compatimento è quasi inevitabile, ma una cosa bisogna ammetterla: provate a passare un paio di giorni con gli jedi e comincerete ad avere il sospetto che forse – dico forse – non hanno proprio tutti i torti. Centinaia di milioni di persone credono a vergini che hanno dato alla luce bambini o a divinità dalla testa d’elefante. Dopo tutto, cosa mai renderebbe lo jedismo più strampalato? Il semplice “dettaglio” che si fonda su una serie di film, mentre il cristianesimo è basato su un libro? «Gli jedi rientrano in una lunga tradizione di nuovi culti che traggono origine dalla fantascienza», dice Carole M. Cusack, docente della University of Sydney e autrice di Invented Religions: Imagination, Fiction and Faith. Altri film hanno generato vere e proprie liturgie ma la fantascienza, sottolinea Cusack, va a toccare le stesse corde metafisiche del sentimento religioso: «È naturale: il genere ha spesso a che fare con domande legate al senso della vita», spiega.
Ciò è particolarmente vero per Star Wars. George Lucas ha creato un impasto formato da una gran quantità di archetipi cristiani (come Luke, anche Gesù ha avuto grandi difficoltà ad accettare il Padre) e tanta di quella filosofia New Age californiana Anni 70, che non c’è da stupirsi se il pubblico ha avuto reazioni spirituali così profonde.
A sorprendere, però, è la quantità di persone coinvolte. In Inghilterra e in Galles, 175 mila individui si sono dichiarati di religione jedi nel censimento del 2011, facendo di questo culto il settimo per grandezza nel Regno Unito. Segue il buddhismo, ma precede il paganesimo, la wicca, il rastafarianesimo e Scientology.
«Sono certo che negli Stati Uniti vivano almeno 5000 jedi», dice John Henry Phelan al telefono da Beaumont, in Texas, quartier generale del Temple of the Jedi Order (okay, è anche casa sua), da cui prende il nome anche il sito web jediista più frequentato d’America. «Parlo di jedi seri e impegnati, non di persone che si sono registrate per curiosità o per noia».
Phelan, come se non bastasse, sostiene che il numero dei convertiti continua a crescere e che potrebbe addirittura esplodere grazie al lancio, previsto nel 2015, del revival di Star Wars, con J. J. Abrams in veste di regista e co-sceneggiatore (che, ovvio, potrebbe persino finire per riscrivere del tutto la mitologia jedi, dato che i diritti sono ora di proprietà della Walt Disney, non più di George Lucas... Un po’ come se Dio, all’ottavo giorno, avesse deciso di vendere il creato alla Sony).
Nell’attuale fase della propria evoluzione, comunque, lo jedismo non è tanto un impero quanto un senato galattico di voci che cavillano in rete. Il Tempio dell’Ordine Jedi quello di Beaumont, cioè per esempio ha di recente causato una piccola fibrillazione della Forza quando si è inaspettatamente pronunciato in favore dei matrimoni gay. «È una faccenda che attiene ai diritti umani», dice Phelan, «ed è pure una questione morale: in quanto tale, non può non riguardare anche lo jedismo».
Durante il convegno uno dei partecipanti sembra ergersi su tutti, e di un bel po’: si chiama Kevin Trout, meglio conosciuto con il nome jedi Opie Macleod. È un 33enne addetto alla sorveglianza di una società di security di Santa Clarita, in California, che nel tempo libero ha scritto e auto-pubblicato cinque libri, tra cui un erudito volume del 2007 intitolato The History of the Jedi Community. Imbattersi in lui al Rabbit Run Retreat è come incontrare Mosè a un bar mitzvah (la cerimonia che nella religione ebraica sancisce il raggiungimento della maturità a 13 anni e un giorno per i maschi, 12 e un giorno per le femmine, ndr).
I primi anni dopo la fondazione del culto sono stati particolarmente densi di lotte di potere e controversie dottrinarie (come in una vera religione!) , in cui Trout è spesso stato coinvolto. All’inizio del nuovo millennio, dice, le «beghe politiche» l’avevano definitivamente «deluso», e per un certo periodo aveva abbandonato la fede (non prima di aver cancellato tutti gli archivi da tutti i siti, per «impartire una lezione jedi» ai litigiosi seguaci).
Le Scritture, nella vita reale, non impongono il celibato agli jedi, a prescindere dal rango, ma molti mantengono comunque tale stato civile. Anche perché essere jedi non è proprio una calamità per le ragazze.
«E vero al 100 per cento», conferma Trout, che infatti al momento è single: le relazioni con gli infedeli, ha scoperto, possono rivelarsi piuttosto difficoltose. «Quando inizio a uscire con una ragazza non dichiaro di essere uno jedi», confessa. «Resto vago, dico che lavoro sul mio benessere personale».
È domenica sera, l’ultima del raduno. Le rane toro gracidano negli acquitrini dei boschi circostanti mentre le lucciole illuminano il cortile. Gli jedi, in abiti da Obi Wan Kenobi dall’aria pruriginosa o con tuniche alla lan Solo con il collo a fascetta, attendono che inizi la cerimonia di investitura di Thompson. Dura pochi istanti: Spaulding le chiede di avvicinarsi a un leggio posto sul prato, dove lei pronuncia un breve giuramento. «Sono uno jedi, guardiano della pace. [...] Uso il mio addestramento per difendere e proteggere, mai per attaccare», dice e, quando ha finito, fa un piccolo inchino. Ecco fatto: Ally è un cavaliere jedi.
«In Iraq, i miei commilitoni mi prendevano sempre in giro», racconta con un sorriso dopo il rito. «Per esempio, mi chiedevano di usare la Forza per accendere la luce. Io mi alzavo, andavo a premere l’interruttore e loro obiettavano: “Ma cosi non hai usato la Forza!”. Rispondevo: “Invece si!”. Per me la Forza è energia. Quando le sostanze chimiche del cervello mandano un impulso alle dita, io sto usando la Forza: quindi, in pratica, accendo la luce grazie alla forza del pensiero».