Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2014  febbraio 19 Mercoledì calendario

«Il presente ricorso — mette nero su bianco l’avvocato di un condannato a 2 anni e 8 mesi per droga — viene presentato per finalità trasversali, al solo fine di evitare il passaggio in giudicato della sentenza»

«Il presente ricorso — mette nero su bianco l’avvocato di un condannato a 2 anni e 8 mesi per droga — viene presentato per finalità trasversali, al solo fine di evitare il passaggio in giudicato della sentenza». Sembra una barzelletta, e invece è tutto vero il contenuto limpidamente dichiarato da un sempre maggiore numero di ricorsi difensivi in Cassazione. Dove non soltanto in un anno si ammassano 7.600 fascicoli di imputati che prima nei Tribunali chiedono e ottengono di patteggiare una pena per il reato contestatogli, e poi però impugnano il patteggiamento al solo scopo di allontanare il più possibile il momento in cui quella pena da loro concordata diventerà definitiva. Ma dove soprattutto si va ormai affermando anche una nuova moda, a metà tra indecenza e sincerità, e cioè quella di impugnare una condanna senza nemmeno fare lo sforzo di inventare un motivo per cui sarebbe sbagliata, anzi candidamente spiegando a cosa davvero miri l’impugnazione in Cassazione: «Il presente ricorso viene presentato al solo fine di impedire che il passaggio in giudicato della sentenza abbia come conseguenza l’immediata emissione dell’ordine di carcerazione», verga ad esempio il difensore di un condannato a 5 anni e 8 mesi per 1,2 chili di cocaina. Quella di impugnare in Cassazione i patteggiamenti, che sino a un momento prima l’imputato davanti al giudice di primo grado aveva fatto di tutto per concordare con il pm, è lucida schizofrenia consentita dalle norme vigenti: per non fare diventare definitiva la pena e ritardare il momento della sua messa in esecuzione, c’è chi legittimamente sfrutta queste norme per impugnare quello che ha appena finito di concordare. E non sono pochi casi: 7.621 sui 52.834 ricorsi (di cui 33.980 inammissibili) che nell’ultimo anno hanno alluvionato la Cassazione penale, unica Corte Suprema al mondo investita da un così enorme numero di fascicoli, tale da far produrre a ciascuno dei 108 magistrati una media di 493 provedimenti l’anno. Ma il bello è che ormai gli avvocati, forse avvertendo per primi l’assurdità di talune prassi consentite dalle norme, nei testi dei loro ricorsi confessano ai giudici di Cassazione di stare proponendo impugnazioni del tutto campate in aria, addirittura sprovviste di un qualunque motivo, ma ugualmente e comprensibilmente richieste dall’imputato verso il quale hanno obblighi deontologici, e finalizzate appunto a ritardare il più possibile il gong finale. Solo che questo giochetto non è gratis: lo pagano indirettamente tutti coloro che alla Cassazione hanno da sottoporre questioni serie e meritevoli di approfondimento. E invece la macchina della Suprema Corte viene intasata da questi ricorsi strumentali che assorbono tempo, cancellieri e giudici, prima di poter essere cestinati dietro una solo simbolica ammenda di 1.000 euro. Anche se non enuncia alcun argomento, infatti, e dunque anche se è «all’evidenza originariamente inammissibile, allo stato della legislazione» il ricorso «non può essere dichiarato de plano manifestamente inammissibile». Le ordinanze della Cassazione sono costrette a spiegare che il ricorso deve invece essere ugualmente «gestito dalla cancelleria della Corte d’Appello con le relative incombenze amministrative e processuali» per essere «trasmesso alla Cassazione». Qui passa la fase della «registrazione, della «fascicolazione», dell’«esame preliminare (spoglio) nella sezione tabellarmente competente», della «successiva assegnazione alla sezione competente per materia», della «fissazione dell’udienza» (secondo i carichi dell’arretrato) e delle «previste notificazioni». Solo alla fine di questa catena di montaggio di una fabbrica costretta a girare a vuoto nel lavorare su così tanti fascicoli, la Cassazione riesce a scrivere nelle sue ordinanze che, «tanto premesso, oggi (un oggi che però arriva in media 7 mesi dopo la presentazione del ricorso campato per aria, ndr ) può quindi finalmente dichiararsi che il ricorso presentato dall’imputato nella consapevolezza della sua strumentale inammissibilità, perché non accompagnato da alcun motivo, è effettivamente inammissibile». Effettivamente. Luigi Ferrarella