Emanuela Audisio, la Repubblica 18/2/2014, 18 febbraio 2014
BASTA CON BAMBI, SONO UNA DONNA IN PISTA LE PASSIONI DELLA MIA VITA
[Carolina Kostner]
Carolina Kostner è tornata. Ha preferito allenarsi a Oberstdorf, in Germania, lontana dalla pazza folla. Ha vinto molto, quasi tutto, ma non è mai riuscita a mettersi al collo una medaglia olimpica. Era troppo piccola a Torino 2006 (undicesima) e troppo sbagliata a Vancouver 2010 (sedicesima). Questa è la sua ultima possibilità sul ghiaccio a cinque cerchi. Domani esordirà nel corto. Eleganza e qualità dei movimenti in quella che è la disciplina più seguita in tv.
Preoccupata?
«Il primo giorno è sempre quello più difficile, anche perché io di dubbi ne ho sempre molti. Come si nota dalle occhiaie. Se le cose vanno bene non riesci a gioire, anzi ti monta l’ansia perché temi che qualcosa andrà storto. Sono sfinita, ma contenta, vorrei pattinare con il sorriso. In questa settimana ho molto lavorato con la mia coreografa Lori Nichol, sulla posizione delle braccia e tutto il resto. Ma non siamo robot: si scivola, si casca, ci si rialza».
Coraggio, ha soli 27 anni.
«Ma pattino da quando ero piccolina e ora ho il mal di schiena da tenere a bada. Anche se mi dico: ancora due giorni e tutto sarà finito. L’Italia mi vede solo in queste grandi occasioni, ma la vita è fatta di giornate normali, molto uguali, di allenamento e di esercizi che ripeti e che fai in solitudine. Senza pubblico né applausi ».
Lo strazio di Vancouver si vide benissimo.
«Quanti schiaffi presi, sentiti, patiti. Fanno parte di me, piacerebbe a tutti avere un cancellino, fare finta che nulla sia capitato, se guardo indietro, risento lo schianto.
Ero un’adolescente incerta e insicura, non sapevo quale strada scegliere. E poi non mi sentivo libera».
Troppo staff?
«Preparatore atletico, fisioterapista, allenatore, mental-coach. C’era sempre qualcuno che mi diceva cosa fare. Non do la colpa a nessuno, ma mi sono sentita imprigionata, anzi soffocata, Non tutti reagiamo allo stesso modo davanti alle mille attenzioni».
Però è risalita dalla fossa.
«Mi pare un buon paragone. Sì dopo Vancouver ero morta, un cadavere senza più carriera. Nemmeno io conoscevo la mia ostinazione, ma quando la vita ti scaraventa fuori, è vero che trovi forze straordinarie. Da lì sono ripartita alla conquista del mondo e anche un po’ forse alla scoperta di me stessa. Una Cenerentola zoppa che si è rimessa in piedi, non sapevo di quanta forza avrei avuto bisogno per andare avanti ».
E’ rinata.
«Altro che. Da quel momento non sono più scesa dal podio. Ne ho fatti ben 23. La sberla mi ha bruciato, ma mi anche dato una spinta importante. Non parlerei di vendetta, ma di nuova motivazione ».
Ora ha avversarie minorenni che giocano in casa.
«Niente polemiche sulle nuove generazioni. E nemmeno sulla quindicenne russa Julia Lipnitskaia. C’è sempre stata in ogni olimpiade una ragazzina che ha stupito per la sua consistenza. Cambiano solo i nomi. E non serve contestare la giuria, non l’ho mai fatto né inizierò adesso. In questo sport si è sempre valutati da altri, bisogna accettarlo, senza gridare allo scandalo. Io devo solo pensare a pattinare ».
Dice: non sono più Cenerentola.
«Guardo avanti, mi capisco di più, faccio confronti: salire sul podio è bello, ma non è tutto. Soprattutto ho cambiato programma. Niente più vecchio corto sulle musiche di Dvorak, ‘Umoresque’, né libero con Scheherazade. Sono cresciuta, sono fatta di cose e di sentimenti diversi, anzi contrastanti. Poesia e carne. Grazia e materialità».
Dvorak non andava bene?
«Cercavo di prendere una farfallina, che volava via. Come la vita. E questo mi inteneriva e mi spaccava il cuore. Forse un tema troppo delicato. Quanto a Scheherazade di Rimski-Korsakov dovevo pensare troppo a chi ero, si vedeva, e non mi faceva concentrare sui salti».
Quindi Ave Maria e Bolero.
«Sì. Schubert e Ravel. Spiritualità e sensualità. Mi hanno spesso descritta come Bambi, un cerbiatto delicato e spaventato. Basta, per favore. Non sono un uccellino spiumato, vivo sulla terra, sudo anch’io, ho voglie, energie, corpo. Non sono eterea, né perfetta. Posso essere un angelo che vola, ma anche l’opposto. Quando ai mondiali di Nizza ho scelto il requiem di Mozart è perché ho sempre pensato alla sua grande modernità. Fosse vivo oggi scriverebbe per Lady Gaga».
Però che manifesto.
«Sono una giovane donna che non interpreta più passioni di altri. Qualcosa l’ho vissuto anch’io, no? E anche se non parlo di fatti privati, né di Alex Schwazer, la vita mi ha ferita e trafitta. Non alludo solo a cadute sul ghiaccio, ma di momenti tremendi in cui non ti senti corrisposta, ti sacrifichi per niente, tutto ti cade addosso. E tu lentamente devi trovare la forza per respirare e guardare avanti. Forse aiuta anche un po’ di egoismo, congeli una parte di te, fino a quando potrai di nuovo sbrinarti».
La scelta dell’abito?
«L’ho disegnato io e poi la Fraema lo ha confezionato in venti giorni. Con ventimila pietre Swarovski. Bianco con un po’ di azzurro per Schubert, nero per il Bolero».
Mao Asada tenterà un triplo Axel.
«Le avversarie sono tante: russe, coreane, canadesi, americane. Ma la mia più grande nemica sono io: patisco troppo e tutto. C’è un momento quando la gara deve ancora iniziare che si fa un silenzio immenso. Io lo sento. E’ un attimo, pieno di destino».