Maria Elena Vincenzi, la Repubblica 18/2/2014, 18 febbraio 2014
POLIZZA VITA A SPESE DEL SENATO GASPARRI VERSO IL RINVIO A GIUDIZIO
Aveva provato a dire che era stata la banca a proporgli quell’affare, ma i magistrati non gli hanno creduto. La procura di Roma ha chiesto il rinvio a giudizio per Maurizio Gasparri, accusato di peculato per aver stipulato, con 600mila euro del gruppo parlamentare, una polizza vita i cui beneficiari sarebbero stati i suoi eredi. Secondo i magistrati, l’attuale vicepresidente di palazzo Madama «quale senatore della Repubblica e presidente del gruppo parlamentare Pdl» intestatario del conto del gruppo, si legge nel capo di imputazione, «si appropriava di 600mila euro utilizzandoli il 22 marzo 2012 per l’acquisto di una polizza a lui intestata personalmente avente quale durata la sua vita intera e i cui beneficiari, in caso di morte, erano i suoi eredi legittimi». Soldi che il 1 febbraio 2013 Gasparri ha restituito. Ma il peculato è un reato istantaneo, si consuma nell’attimo in cui ci si appropria del denaro. E quindi non importa che, come scrivono il procuratore Giuseppe Pignatone, gli aggiunti Francesco Caporale e Nello Rossi e i pm Giorgio Orano e Alberto Pioletti, il senatore abbia proceduto «al riscatto anticipato della polizza», liquidata «in 610.697,28» e successivamente restituito quel denaro, con due bonifici, «a seguito di specifiche richieste della direzione amministrativa del gruppo Pdl». Resta peraltro il dubbio sulla fine degli oltre 10mila euro di interessi: non sono stati restituiti.
E mentre ieri il M5S chiedeva le sue dimissioni da vicepresidente del Senato, lui ribadiva: «Non ho sottoscritto alcuna polizza sulla vita, né ho fatto uso improprio delle somme che mi erano destinate quale presidente del gruppo Pdl al Senato. Ritenevo di aver chiarito le mie ragioni e la verità dei fatti ma, a quanto pare, questo finora non è bastato. Confido che un esame più sereno e giuridicamente più corretto dei fatti che mi interessano possa consentire una definitiva chiarificazione e la conclusione di una vicenda che definire “kafkiana” è riduttivo».