Marco Zatterin, La Stampa 18/2/2014, 18 febbraio 2014
E SUL TETTO DEL DEFICIT SI PUÒ TRATTARE
C’è chi dice “no”. Come Olli Rehn, che non arretra nella difesa dei principi vincolanti, ribadisce che «l’Italia è profondamente europeista», e confida che «continuerà a rispettare i Trattati, compreso quello di Stabilità e Crescita». Vuol dire che la Commissione non ammette margini sul 3% nel rapporto deficit-pil. «Impilare debito su debito non migliora la competitività. Bisogna ridurre il debito e, più importante, sbloccare il formidabile potenziale di crescita delle imprese nazionali».
Arriva Matteo Renzi, ma la strada difficile delle riforme non cambia. Rimbalzano da Roma le voci che parlano di inviti ad allentare la pressione sui conti pubblici, «ad andare oltre i 3%». Dice il vicepresidente della Commissione, Antonio Tajani, che l’Italia potrebbe «ottenere risultati importanti nell’interpretazione del Patto di stabilità» qualora «si presentasse con un progetto serio». E’ un’apertura di credito, che però Rehn nega con sobria determinazione. Il finlandese ne ha discusso col ministro dell’Economia, Fabrizio Saccomanni, al termine dell’Eurogruppo. Un incontro carico di aspettative in apparenza tradite. Si pensava che l’uomo di via XX Settembre sarebbe arrivato con qualche numero sulla spending review per spiegare l’azione del governo uscente, e cercare di ammorbidire il giudizio che sarà contenuto nelle previsioni economiche Ue attese per martedì 25. Nulla. Si è parlato dei provvedimenti paralleli alla legge di stabilità - privatizzazioni, rientro dei capitali, quote Bankitalia, revisione della spesa: quest’ultima «sarà presentata dal nuovo governo». Tutto qui. I dati preliminari «prevedono risparmi di circa 2 punti di Pil entro il 2016».
E’ seguito un curioso teatro sull’esistenza «di una scadenza specifica per l’Italia», smentita da Rehn. Non c’erano limiti su misura per Roma, eppure questo non toglie che si sia arrivati fuori tempo massimo, per la review che non è pronta. Il giudizio di Bruxelles, cruciale per definire gli obiettivi di consolidamento, sarà basato sui piani di novembre, gli stessi che non hanno consentito il ricorso alla clausola di investimenti, lo sconto di bilancio per chi ha le carte in regola. Clausola che, fra qualche mese, potrebbe tornare sul tavolo. L’Italia resta oggetto di attenzioni. Ieri mattina, a Bruxelles, l’Ocse ha presentato un rapporto sulle sfide economiche dell’Eurozona, da cui emerge che siamo ultimi per crescita potenziale della produttività del lavoro, a quota zero nel periodo 2012-2017; quinti per cuneo fiscale sulle imprese; terzultimi per brevetti e per affari nel settore della Ricerca e l’Innovazione; fra i fanalini di coda per alfabetizzazione, tradizionale e informativa. E’ un sistema con la testa nella sabbia, il nostro. Così poco concorrenziale che non può essere «tutta colpa dell’euro». «La stabilità politica è importante, l’Italia deve migliorare la competitività», dice il presidente dell’Eurogruppo Jeroen Dijsselbloem. Impossibile sterzare, dunque. La correzione strutturale deve continuare. Magari, però, domandandosi se il 3% sia davvero una soglia insuperabile. Le fonti ufficiali dicono che è intoccabile. In realtà, anche in considerazione dell’euroscetticismo che monta, c’è chi suggerisce che il dogma non sia così ferreo.
«Renzi dovrebbe prendere il suo ambizioso percorso riformista e presentarlo a Bruxelles - spiega una fonte - poi negoziare margini di flessibilità legati ad un preciso calendario». Sarebbe una forma anticipata dei contratti “riforme per deficit”. E’ fattibile? Politicamente può essere utile a tutti, assicurano più interlocutori. Alla vigilia delle elezioni, darebbe fiato a Roma e al consenso per l’Europa. Una scelta «Win-win», come dicono gli anglofoni. Forse.