Giuseppe Lo Bianco, Il Fatto Quotidiano 18/2/2014, 18 febbraio 2014
CASSIBILE I DELITTI DEL MOSTRO CHE UCCIDE PER QUATTRO SOLDI
Lo accusano di avere compiuto nove omicidi e otto tentativi di omicidio in un arco di undici anni, dal 1998 al 2009, tutti con un fucile semiautomatico calibro 12, forse di marca Breda: forse, perché l’arma non è mai stata trovata. Tutti delitti compiuti con un colpo solo, di fatale, millimetrica, precisione: il “mostro di Cassibile” è un tiratore scelto dalla mira non sempre infallibile, e oggi la Procura di Siracusa retta da Paolo Giordano accusa Giuseppe Raeli, inteso “Pippo ‘u lupu”, un agricoltore in pensione di 72 anni con la passione delle armi, padre di due figli, introverso e silenzioso, che nega tutto e agli interrogatori ripete come un mantra: “Non sono stato io”. Il movente dei delitti seriali sembra uscito da un romanzo di Verga: la “roba”. Raeli avrebbe ucciso suoi debitori per poche centinaia di euro, infuriato per il mancato pagamento di lavori di sistemazione del giardino o della fornitura di legna per il camino, alcuni dei familiari delle vittime hanno confermato agli inquirenti i contrasti economici. Quando lo hanno arrestato, il 29 novembre 2010, nel garage adiacente alla sua villetta i carabinieri hanno trovato un fucile e due pistole con cui si esercitava al tiro a segno. Dentro una cassaforte c’erano 20 mila euro in contanti e una delle pistole piazzata sopra il denaro.
QUELLA DELLA “ROBA” è apparsa subito un’ossessione per “Pippo ‘u lupu” , una vita da agricoltore spesso alla guida di una pala meccanica, che gli ha fruttato l’acquisto di ben 21 appartamenti. I carabinieri sono arrivati a lui seguendo le indicazioni di Giuseppe Leone, un agricoltore di Cassibile vittima di un tentativo di omicidio il 15 marzo 2009, l’ultimo dei delitti seriali: in quell’occasione i carabinieri costituirono la squadra antimostro “leggendo” tutti i crimini fino ad allora irrisolti in un unico contesto. Scoprirono che Raeli, dopo avere trascorso la giornata con la moglie, i due figli e i nipoti, usciva la sera inoltrandosi nelle campagne del paese, da qui l’appellativo di “Pippo ‘u lupu”. Per il capitano dei carabinieri, Laura Seragusa, che ne ha tracciato il profilo criminale, “Pippo ‘’u lupu” è incapace di tollerare i fallimenti e di gestire le emozioni, per il pubblico ministero Antonio Nicastro, che in aula sostiene l’accusa, non ci sono dubbi: “Il serial killer è lui”. Ma la prova regina manca: o meglio, è appesa a due cartucce calibro 12 (una appena percossa, l’altra soltanto camerata) di una sola delle quali Raeli riconosce il possesso. Sono una Winchester rossa e una Fiocchi arancione che, secondo i periti del Ris di Parma, presentano caratteristiche uguali a quelle di altri due delitti, il tentato omicidio Leone, e il duplice omicidio dei coniugi Tinè-Spadaro, considerato legato a tutti i precedenti. Tesi contestata alla scorsa udienza dal perito della difesa Giuseppe Di Forti che ha sostenuto che tra i bossoli dei due delitti e quelli trovati in casa Raeli non c’è alcuna compatibilità di classe e un solo elemento individualizzante: dati, ha detto, che il protocollo di analisi balistica americano Afte ritiene insufficienti per accertare l’equiprovenienza delle cartucce. “Perché non è stata effettuata una perizia balistica unitaria su tutti i delitti? – si chiede l’avvocato Stefano Rametta, difensore di Raeli – e perché non è stata effettuata una comparazione diretta tra le due cartucce rinvenute in casa Raeli e quelli del duplice omicidio?”. Stranezze come la costituzione di parte civile dei familiari del taglialegna Rosario Rizza Timponello, ucciso con una scarica di pallini di piombo la sera del 28 gennaio 1999, alla periferia di Noto: i due figli, Gaetano e Maria Cristina sono stati assunti alla motorizzazione di Siracusa in virtù della legge regionale che prevede benefici per le vittime della mafia, nonostante l’omicidio del padre sia tuttora senza colpevoli. Di quel delitto (insieme ad altri otto) è oggi accusato “Pippo ‘u lupu”, che stamane uscirà dalla gabbia dal vetro blindato dell’aula della Corte di assise di Siracusa dove assiste al processo sorvegliato a vista da due guardie carcerarie che non consentono a nessuno di avvicinarsi a lui, per sedersi di fronte alla presidente Maria Concetta Spanto e rispondere alle domande di pm e avvocati.