Paolo Siepi, ItaliaOggi 18/2/2014, 18 febbraio 2014
PERISCOPIO
Non invidio Renzi quando, lui così insofferente e sbrigativo, sarà costretto a trattare con la destra del clan dei siciliani e a sorbirsi pippe dalla sinistra narrativa. Antonio Padellaro. Il Fatto quotidiano.
Una volta un pezzo grosso del mio partito, il Pd, mi disse: «Ciccio, a me hanno insegnato che a 34 anni si rispetta la fila». Disse proprio così: «Si rispetta la fila». Come al supermercato quando tutti abbiamo da svuotare il carrello. Uno per volta, rispettando la fila. Solo che, facendo così in politica, non si svuota il carrello ma si svuota l’entusiasmo. Decisi che non volevo (e ancora oggi non voglio) fare il pollo di batteria. Non volevo che gli altri decidessero i miei tempi. Non volevo stare alle loro regole, le regole di una generazione che ha già dato tutto quello che poteva dare. Matteo Renzi. la Repubblica.
Se non avessi rischiato, oggi sarei al secondo mandato da presidente della Provincia di Firenze. Matteo Renzi, tv.
Il Pd in questi ultimi anni ha sacrificato nove leader, tutti caduti per fuoco amico. È evidente che il Pd fatica a liberarsi da istinti cannibalici. Filippo Andreatta, figlio di Nino, maestro politico di Enrico Letta ai tempi della Dc. Corsera.
Non mi piace perdere neppure alla playstation. Matteo Renzi. Agenzie.
La mamma di Matteo Renzi, Laura Bovoli, mi dice, sull’uscio di casa. «Matteo? L’ho affidato alla Madonna. Io non ho consigli da dargli anche perché Matteo ascolta tutti i consigli, ma poi decide di testa sua, aggiungerei per fortuna». Michele Brambilla. La Stampa.
Anche Spadolini fu toscanaccio come lo è Matteo, non toscanucci come Enrico Letta, nel senso che si impenna ma non piagnucola. Renzi, proprio come Spadolini che arrivò ai calci, maltratta con amore i suoi collaboratori: Dario Nardella, ora designato sindaco di Firenze; il fedele Luca Lotti, detto Lampadina, letteralmente menato sul campo di calcio; Marco Agnoletti, il povero portaborse che lo sopporta con abnegazione. E Renzi è sboccato, batte i pugni, la sua ambizione è anche esuberanza fisica, gli è persino capitato di pestare letteralmente i piedi ai cronisti, come un La Russa qualsiasi: lo fece a David Allegranti, prima firma del Corriere fiorentino, che si era intrufolato dove non doveva stare. Il toscanaccio fa l’irascibile e il maligno e mai il carino come il toscanuccio, ti tira indifferentemente una schioppettata in fronte o una pugnalata alla schiena, sempre convinto, come macumbe, che a lui, solo a lui, in nome della grandiosità, sarà comunque perdonato tutto, anche l’aver detto «grazie Enrico». Francesco Merlo. la Repubblica.
Enrico Letta ha presentato stancamente quella sessantina di pagine che sono «Impegno Italia», il nuovo patto di governo definito dall’estensore medesimo «poco sexy». Non ce la fa, Letta, ad essere sexy. Non ci prova nemmeno, non è certo questo il terreno sul quale sfidare quel container d’ormoni che è Matteo Renzi. Mattia Feltri. La Stampa.
Quando cadde B. poco più di due anni fa, Paolo Mieli vaticinò per l’Italia un replay del dopo-Nerone. L’imperatore-dittatore era stato una figura talmente ingombrante che alla sua morte, nel 68 d.C., si susseguirono, in pochi mesi, tre governicchi guidati da altrettanti sfigati, nessuno dei quali riusciva a riempire il vuoto e infatti, di lì a poco, veniva eliminato e rimpiazzato dal successivo. Il primo fu Galba, vecchio grand commis, noto per la crudeltà e per l’esperienza in questioni finanziarie: un tecnico che, per risanare i bilanci sfondati dal predecessore, aumentò le tasse al popolo e alle province a lui ostili. Durò appena sette mesi, poi morì ammazzato in una congiura. Il secondo fu Otone, restò sul trono tre mesi, poi finì suicida. Il terzo fu Vitellio, resistette otto mesi poi finì ammazzato. Il cerchio si chiuse con Vespasiano, che rimise in piedi l’impero e regnò dieci anni. Galba è la fotocopia di Monti. Otone è Enrico Letta, per la palese incapacità, per la breve durata e soprattutto per il suicidio. Resta da capire se Renzi è Vitellio, il terzo ominicchio rottamato alla velocità della luce; o invece è Vespasiano, destinato a segnare la politica italiana nei prossimi anni. Ma lo capiremo subito nei prossimi mesi. Marco Travaglio. Il Fatto quotidiano.
In quattro e quattr’otto non si può costituire il governo Renzi. Se l’ambizione è grande non può esserci fretta. Angelino Alfano, segretario del Ncd. Adnkronos.
C’era una volta il Regno di Arcore, il cui sovrano era Silvio Primo. Che, quando nasceva un figlio maschio, aveva l’abitudine di chiamarlo Pier qualcosa. Un bel giorno, ne nacque anche uno che il re battezzò Pier Matteo. Il neonato disgraziatamente fu rapito nella culla da un gruppo di comunisti arrivati dal Gran Ducato di Toscana. La cui intenzione era quello di mangiarselo, come da tradizione bolscevica, alla Festa nazionale dell’Unità che si svolgeva a Firenze. Per sua fortuna, il latitante ancora in fasce fu sottratto nottetempo ai comunisti da una famiglia democristiana, che lo accudì e lo crebbe finché non diventò grande. Un giorno, Pier Matteo, divenuto nel frattempo, per ironia della sorte, proprio il capo dei nemici del Regno di Arcore, incontrò suo padre. I due si guardarono, si riconobbero, e finalmente Matteo Silvio Primo potè di nuovo stringere a sé Pier Matteo. In un abbraccio mortale... Ma non è tutto. Di lì a poco, rispuntò pure un altro figlio prodigo: un certo Pier Ferdinando. Dario Vergassola. il venerdì.
Che cos’ha Enrico Letta che non va? Possiede esperienza, passione, conosce le lingue, ha frequentato l’Europa da piccolo, dice buongiorno e buonasera, ha gli occhiali, è educato, è ancora assai giovane, anche se non ha più i calzoni corti, e anzi, a questo proposito, una cosa soprattutto va apprezzata di lui: più il tempo passa, più ragiona da grandicello. Andrea Marcenaro. Il Foglio.
Renzi è solo il peggio di Dc e Pci. Achille Occhetto. Il Fatto quotidiano.
Noi che fummo comunisti (settant’anni di attesa del soviet, poi mi fecero votare Bartolo Ciccardini) siamo chiamati a nuova dura prova che, insieme, esige pazienza e ardimento. E se perplessi, facciamo, come sempre convinti. Lo siamo stati per Andreotti, per Dini, per Prodi, per Amato: dobbiamo (possiamo) esserlo per Renzi. Il Foglio.
I renziani sono giovinotti senza garbo. Paolo Cirino Pomicino. Il Fatto quotidiano.
Renzi, l’ascesa del bamboccio di talento. Claudio Cerasa. Il Foglio.
La felicità è fatta di niente, dice chi ha tutto. Roberto Gervaso. Il Messaggero.