Cristiano Gatti, il Giornale 18/2/2014, 18 febbraio 2014
CUCCI E IL FIGLIO DEPRESSO SALVATO DALL’ELETTROSHOCK
C’è soltanto una sciagura peggiore della depressione: avere un figlio con la depressione. Milioni e milioni di genitori sparsi in tutto il mondo conoscono le pene di questo tormento. Italo Cucci fra questi. Sì, proprio il«pacato Italo»,gloriosa carriera nella carta stampata e quindi volto noto agli italiani per i suoi commenti tv. Dietro al giornalista di fama, una struggente storia di famiglia, tra dramma e dignità, tra dolore e speranza, tra disperazione e coraggio. Nella lunga stagione degli outing di genere chissenefrega, ecco la decisione di uscire invece con un libro angoscioso e al tempo stesso edificante, scritto con il figlio Ignazio, il vero protagonista dell’epopea dolorosa sfumata nel lieto fine possibile.
Il libro verità, il libro che prima sconvolge e poi consola, è forte come il suo titolo: Elettroshock . Sta in questo vocabolo terrificante, che evoca l’incubo di terapie disumane, il senso sorprendente e positivo della storia: se Ignazio Cucci, oggi 33enne, è qui a raccontarsi con suo padre, in un dialogo ritrovato che non nasconde nemmeno le dure recriminazioni di figlio, è solo grazie alla terapia estrema cui è approdato negli ultimi anni, dopo il calvario interminabile e sanguinoso ben noto a quelli del ramo, con tutto il solito film di strizzacervelli e santoni depositari di assolute verità.
Che storia è mai questa? Prima è la storia di Italo, un uomo di successo che apre il viaggio delle parole raccontando il compagno immancabile della sua vita di padre, il dolore. È il giugno 1979 quando perde l’adorata Francesca, 13 anni appena: soltanto dodici mesi prima definita un po’ stanca, sarà un’influenza,cosa vuoi che sia,dodici mesi dopo viene rapita dalla leucemia, la mano stretta a quella del padre, stammi vicino, ho paura, papà perché non mi hai mai detto che dovevo morire?
Ignazio nasce diciotto mesi dopo, nell’81, «non per prendere il posto di Francesca, ma per restituire la vita a una famiglia piombata nel buio».Qui però Italo lascia lentamente la scena, come esaurisse il compito d’accompagnatore, eclissandosi sullo sfondo: tocca a Ignazio, il suo ragazzo, disperato Telemaco di un’interminabile Odissea. Ignazio tocca tutti i punti più neri e più bassi della malattia canaglia. Ignazio sta male, Ignazio sente le Voci. Ignazio è guardato come un mezzo matto, anzi pazzo completo. Viene mollato dagli amici, viene respinto dal grande amore. Ignazio prova di tutto, Ignazio incombe per anni sulla sua famiglia, padre madre sorelle, come un’incancellabile cappa mortale...
Gli ipocriti eufemismi l’hanno chiamata per un lungo tempo esaurimento nervoso. Ma questa belva implacabile si chiama depressione. Già riconoscerla, definirla, accettarla è un primo passo per metterla un po’ in difficoltà. Poi però c’è il percorso doloroso delle cure, degli ospedali, dei medici: un percorso che si sbaglia sempre, più volte, fino all’incrocio giusto. In tutte queste storie di cuori sanguinanti e di anime perse deve presto o tardi comparire un angelo, inviato da chissà chi. Ignazio e Italo, nel 2006, incontrano un professore di Pisa: per il grande giornalista sportivo il suo cognome non evoca esattamente affidabilità, ma questo è un Cassano genialoide con qualche studio in più. Elettroshock, questa la sua proposta e la sua soluzione. Ignazio ci prova, Ignazio ce la fa.
Oggi Ignazio non cade nel tranello di definirsi guarito. Sa che la belva non se ne va mai davvero, mai del tutto. Ma Ignazio vive e vive decentemente. Sta a Pantelleria, fa il bibliotecario, gioca a calcio con i ragazzini, coltiva un po’ di terra e si gode i tramonti indescrivibili. Soprattutto, come un nuovo Giuseppe Berto, riesce a scrivere del male oscuro prendendolo anche un po’ per il naso. Ogni giorno manda mail a suo padre, ogni giorno suo padre gli risponde. Si stanno gustando una seconda vita. Bisogna perdersi, per ritrovarsi.