S.Pru., il Messaggero 18/2/2014, 18 febbraio 2014
DAL JEANS POST PANINARO ALL’ABITO SCURO LA RIVOLUZIONE NEO-KENNEDIANA DEL LOOK
IL CASO
ROMA L’amico Roberto Cavalli l’ha già definito «un grande uomo, come a Firenze ne nascono ogni 500 anni». I suoi stilisti di riferimento, Scervino e Cucinelli si trincerano da giorni dietro un granitico no comment: «Nessuna dichiarazione sull’argomento». L’«argomento», manco a dirlo, è Matteo Renzi e quel suo modo di vestire e apparire che ha già invaso così pesantemente l’immaginario collettivo da almeno un paio d’anni (e primarie del Pd). Fino alla falcata kennediana nella Loggia d’Onore al Quirinale, ieri, dopo il colloquio con Giorgio Napolitano.
Prima venne Matteo Fonzie in chiodo nero dalla De Filippi. Poi Matteo in camicia bianca, senza cravatta e maniche arrotolate, stile Obama. Per non parlare del Matteo rottamatore in jeans Roy Rogers anni 80. E poi giù di fenomenologie del ciuffo: quando lo portava, nella sua versione nerd alla Ruota della fortuna di Mike Bongiorno (1994) e poi engagé in Provincia, prima del fatidico taglio a fronte scoperta durante il mandato a palazzo Vecchio, grazie ai consigli del barbiere Tony. Renzi Icona Pop, insomma, come lui stesso aveva ammesso implicitamente pompando il singolo dell’omonimo duo dance («I don’t care, I love it!») per festeggiare la vittoria contro Cuperlo e Civati a dicembre. E ieri il premier in pectore non ha tradito le aspettative.
TRA CASUAL E PROVINCIA
«Rassicurante, elegante, giovane, dinamico: Matteo Renzi è il nostro John Kennedy», osserva un costumista di esperienza come Giovanni Ciacci. «La camicia bianca Brooks Brothers e la giacca due bottoni portata sul pantalone a sigaretta sono un richiamo evidente a quello stile. Siamo davanti a un leader che ha azzeccato pienamente il look nella sua comunicazione, tanto da far pensare che ci sia dietro una mano di cinema e televisione più che di moda», prosegue Ciacci, anni a vestire i grandi protagonisti della cultura e dello spettacolo, oggi nel cast di Detto Fatto (Rai 2). «Farti vedere in maniche di camicia suggerisce che stai lavorando, ma anche il colletto della canotta che spunta è un dettaglio che rende Renzi più umano, vicino alla gente». Il Renzi style in una formula? «Casual ma non troppo» secondo Chiara Boni. Mentre più critico è Stefano Dominella, presidente della maison Gattinoni. «In generale, lo trovo un look scostante e un po’ provinciale. È come se il nuovo leader del Pd ogni mattina andasse in nevrosi davanti all’armadio: un giorno indossa il giubbetto, un altro il giaccone doppiopetto tipo potomac, addirittura ridicolo il chiodo da Fonzie per uniformarsi all’estetica di una trasmissione tv… e non voglio nemmeno pensare alle volte in cui dalla camicia traspare la maglietta della salute. Suvvia, nei trent’anni non ce n’è bisogno!», incalza Dominella.
Vezzi da stilisti, perché in politica è il dettaglio che stupisce, quel casual-ma-non-troppo. E forse non è nemmeno un caso che sia praticamente impossibile risalire alla griffe dell’abito scuro indossato da Renzi al Colle. Dalla Ermanno Scervino assicurano di non avere nulla a che fare con la mise, né lo staff di Renzi si abbassa a commentare. Ma è giusto così. «L’uso di cravatte non firmate e abiti non di alta sartoria aiuta le persone a immedesimarsi», osserva Ciacci. Certo è che ne è passata di acqua sotto i ponti, da quel 2006 in cui Berlusconi confidò ai suoi: «Matteo è bravo ma sbaglia a vestirsi di marrone perché fa tanto sinistra perdente».
S.Pru.