Antonio Carioti, Corriere della Sera 18/2/2014, 18 febbraio 2014
DUE UOMINI PER DUE CARICHE LA TRADIZIONE DC (E LE TENSIONI)
Segretario del partito e capo del governo? Il cumulo delle due cariche, che oggi si prospetta per Matteo Renzi, era decisamente malvisto nella Democrazia cristiana. Divisa in correnti numerose e instabili, la forza dominante della Prima Repubblica si mostrò sempre allergica all’emergere di leader carismatici. Mentre Giovanni Spadolini (Pri) e Bettino Craxi (Psi) rimasero segretari dei loro partiti durante i rispettivi soggiorni a Palazzo Chigi negli anni Ottanta, le abitudini dello Scudo crociato erano ben diverse. A partire dal primo segretario, Alcide De Gasperi: divenuto capo del governo nel dicembre 1945, già al successivo Congresso della Dc (aprile 1946) dichiarò che «in tempi normali» era opportuno evitare di sommare le due cariche. Attese il referendum istituzionale e poco dopo, nel settembre 1946, lasciò la guida del partito al suo vice, Attilio Piccioni. Ben diverso il caso di Amintore Fanfani, che assunse la segreteria democristiana nel 1954 e nel 1958 divenne anche presidente del Consiglio e ministro degli Esteri. Davvero troppo per la Dc, dove subito molti si misero all’opera per indebolirlo. Bersagliato a più riprese dai franchi tiratori, Fanfani si dimise da capo del governo nel gennaio 1959, dopo appena sette mesi, e in marzo perse anche la segreteria del partito ad opera della nuova corrente dorotea. Il cumulo divenne da allora una specie di tabù e lo rimase fino al 1988, quando approdò a Palazzo Chigi Ciriaco De Mita, segretario della Dc dal 1982. Ma il suo destino fu analogo a quello di Fanfani. Nel giro di un anno, l’asse tra Arnaldo Forlani e Giulio Andreotti lo mise alle corde con il sostegno di Craxi. Nel 1989 De Mita fu sostituito in febbraio da Forlani alla testa della Dc e in luglio da Andreotti alla guida del governo. Erano altri tempi, ma per Renzi non sembrano precedenti incoraggianti.